USI LEGATI AL CALENDARIO

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I gennaio.
Si mangiava l’uva (nelle vecchie case, i grappoli d’uva, nel periodo della vendemmia, venivano appesi a lunghe pertiche sospese alle travi della cucina) e anche la lenticchia. Così, si diceva, si sarebbero contati molti soldi durante l’anno.
I contadini mezzadri andavano a pranzo in casa del padrone; essi recavano in dono i gallucci de capodanno.
Il mattino di capodanno, uscendo di casa, si stava attenti alla prima persona che si incontrava: un uomo, segno buono; una donna, segno brutto, il frate portava fortuna, sfortuna invece il prete; il gobbo era segno propizio per l’anno iniziato, e così via di seguito.
Una usanza caratteristica era la seguente; il 1 gennaio le donne gettavano una ciabatta nelle scale; dal modo come cadeva ne traevano auspici per l’anno: se cadeva dritta l’anno sarebbe stato buono; se rovesciata. cattivo.
Un’altra usanza era la seguente: si prendevano tre piatti e li si rovesciava; vi si nascondevano rispettivamente una fede, una chiave e un pettine, poi i piatti venivano mossi in modo che si confondessero e si perdesse la possibilità di sapere ove ciascun oggetto era nascosto. Si andava poi a scoprire i singoli piatti. Se si trovava l’anello, le previsioni per l’anno erano ottime: se la chiave, si trattava di previsioni di anno normale; se infine si trovava
il pettine, l’anno sarebbe stato proprio cattivo. Di qui il detto popolare “st’anno c’è da pettinà!”
Dal 1 gennaio al 25 si avevano i cosiddetti giorni contarelli; i primi dodici corrispondevano ciascuno ai rispettivi mesi dell’anno: dall’andamento climatico del giorno si desumeva l’andamento del corrispettivo mese; poi il conto veniva fatto alla rovescia sino al 24, con lo stesso criterio. Il 25 gennaio, festa di San Paolo Apostolo, per questo detto San Paolo dei segni dava l’indicazione generale sull’andamento dell’intera annata.
Il più delle volte però i giorni contarelli erano solo i primi dodici dell’anno, corrispondenti a ciascun mese.
6 gennaio.
Epifania, detta anche Pasquella, o prima Pasqua dell’anno. Il proverbio dice: Pasqua bifania, tutte le feste porta via. Il vocabolo “befana” è corruzione di Epifania.
Un tempo, per l’Epifania, nelle campagne era in uso cantare le “stanziole della Pasquella”, canti popolari, eseguiti dai cosiddetti cantarini, ossia persone che cantavano dei versi che narravano il viaggio dei Magi per trovare Gesù Bambino.

Per l’Epifania ai bambini giungeva la befana. Non è facile la identificazione della Befana. Il più delle volte era immaginata come una vecchia, con mento appuntito e naso ad uncino che portava i doni ai bambini buoni; a quelli cattivi invece recava cenere e carbone. In genere viaggiava. come le antiche streghe, cavalcando una. scopa, recando sulle spalle un sacco pieno di doni, e scendeva nelle case attraverso la cappa del camino.
Altre volte la Befana era invece confusa con i tre Re Magi. In molte case. infatti, la sera della vigilia, si preparava un tavolo imbandito con alcune cibarie e tre bicchieri di vino; accanto, sopra un banchetto, si poneva una ciottola piena di semola bagnata, il cibo per i cammelli dei Re Magi.
Quella sera (il 5 gennaio) i bambini facevano conoscere ufficialmente alla befana i loro desideri. In un foglio di carta scrivevano quanto richiesto; poi il foglio veniva bruciato e mentre era in fiamme veniva fatto salire verso la cappa del camino perchè la befana lo potesse leggere.

Intanto i genitori, con i loro bambini, accanto al focolare, lanciavano furtivamente verso la cappa dei cioccolatini; i bambini rimanevano fortemente stupiti del miracolo. Si creava insomma un clima di attesa, di festa e di poesia.
I bambini dovevano andare a letto molto presto, e addormentarsi
subito, perchè altrimenti la befana non veniva.
Al mattino del 6, i bambini correvano ad ammirare i doni della befana. Naturalmente era la befana póretta e quella ricca. Quella poretta si accontentava di portare soprattutto cose utili, indumenti, quaderni, cibarie. Ma poteva anche capitare per i bambini cattivi che, sulla tavola apparecchiata, al posto dei doni, trovassero cennere e garbò. E .allora erano pianti.