Autore: panfoli

  • Comprendere l’ondata secessionista globale

    Comprendere l’ondata secessionista globale

    Interpretazioni spesso ardite del diritto all’autodeterminazione dei popoli, insieme all’azione di forze politiche ed economiche globali, stanno destabilizzando molte regioni del mondo. Nelle ultime settimane, i governi regionali della Catalogna in Spagna e del Kurdistan in Iraq hanno tenuto referendum non autorizzati sulla propria indipendenza. E in Camerun, i gruppi separatisti della regione inglese di Ambazonia hanno dichiarato unilateralmente l’indipendenza dalla parte francofona del paese.

    Nel frattempo, la Scozia sta valutando se tenere un altro referendum per poter continuare a far parte dell’Unione Europea una volta che la Brexit dovesse concretizzarsi. E decine di altre regioni con potenti forze separatiste – tra cui le Fiandre in Belgio, Biafra in Nigeria, Somaliland in Somalia e Québec in Canada – stanno osservando l’evoluzione di questi eventi con attenzione e si tengono pronte all’azione a loro volta.

    L’autodeterminazione dei popoli è stata una forza trainante della geopolitica del ventesimo secolo, portando alla creazione di molti nuovi stati dopo le due guerre mondiali e poi ancora dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Quando le Nazioni Unite furono fondate nel 1945, vi erano solo 51 Stati membri; oggi, 193. Ma la strada verso l’indipendenza è di solito sanguinosa, violenta e lunga, come mostra l’esperienza africana caratterizzata da guerre civili e conflitti etnici. La pacifica divisione della Cecoslovacchia nel 1993 o della Norvegia e della Svezia nel 1905 sono le eccezioni alla regola.

    All’alba del ventunesimo secolo, la maggior parte delle aberrazioni storiche che il colonialismo e l’imperialismo sovietico avevano imposto sulla mappa del mondo erano state riassorbite e la spinta globale per l’autodeterminazione sembrava perdere vigore. Mentre tra il 1981 e il 1997 furono fondati quasi 30 nuovi paesi, dal 2000 ad oggi ne sono emersi solo 5. Con la globalizzazione, che aveva portato all’omogeneizzazione culturale, politica e economica, si era creata la percezione che le distinzioni regionali non contassero più. Il mondo era entrato in quello che il filosofo Jürgen Habermas definiva l’età dell’”identità post-nazionale”.

    Il riemergere del secessionismo oggi è quindi inatteso; ma non deve sorprendere. In molti casi, la democrazia diretta ha sostituito la forza militare come principale strumento di lotta. Persino Putin ha cercato di annacquare l’illegalità dell’invasione e dell’annessione della Crimea nel 2014 nella legittimità spuria di un referendum. Dalle democrazie mature come il Regno Unito alle democrazie fragili come l’Iraq, l’autodeterminazione sta alimentando nuove forme di micro-nazionalismo, alcune più legittime di altre.

    Visto il grande numero di movimenti secessionisti attivi e dormienti in giro per il mondo, l’importanza dell’irredentismo per il secolo attuale non può essere sottovalutata. Molto probabilmente continuerà a giocare un ruolo importante. Le analisi dei commentatori di Project Syndicate relative ai recenti eventi in Spagna, Iraq e sono di vitale importanza per capire quando la secessione sia davvero legittima.

    Il diritto a uno stato proprio
    L’autodeterminazione dei popoli, spiega Joseph S. Nye dell’Università di Harvard, “è generalmente definita come il diritto di un popolo a costituire il proprio stato” – un diritto introdotto nel 1918 dal presidente americano Woodrow Wilson e ancora sancito dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945. Se da un punto di vista concettuale, l’idea dell’autodeterminazione è auto-esplicativa, la sua realizzazione pratica è alquanto complessa. Come osserva Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, “non esiste un insieme di standard universalmente accettato da applicare a leader e popolazioni che cercano di autodeterminarsi”.

    Gli stati nazionali rimangono i pilastri del sistema internazionale, e quindi la loro disintegrazione solleva inevitabilmente timori di destabilizzazione globale o regionale. Ma, come sottolinea Peter Singer dell’Università di Princeton, “violazioni diffuse dei diritti umani, causate o tollerate da un governo nazionale, possono dare origine a ciò che a volte viene chiamato un diritto rimediale alla secessione per gli abitanti di una regione”. In questi casi, che includono la separazione del Bangladesh dal Pakistan nel 1971 o la dichiarazione di indipendenza da parte della Serbia del Kosovo con l’appoggio della NATO nel 2008, “la secessione potrebbe essere giustificata come ultima risorsa, anche se impone grossi costi sullo stato di cedimento”.

    Quando invece non vi sia alcuna prova che una minoranza culturale o etnica sia oppressa, la secessione può avvenire solo attraverso un accordo negoziato, consensuale e legale tra la popolazione in partenza e lo stato che stanno lasciando. Nel minuscolo Liechtenstein, la costituzione effettivamente consente ai singoli comuni di separarsi dall’unione. E nel 2014, osserva lo storico Robert Skidelsky, “il primo ministro britannico David Cameron è stato costretto a consentire un referendum sull’indipendenza” in Scozia, in modo da “mantenere la governabilità” nella regione a seguito della vittoria parlamentare del Partito nazionale scozzese nel 2011.

    Tuttavia, queste sono eccezioni. La stragrande maggioranza delle costituzioni nazionali non consente la secessione. Nel 1998, ad esempio, la Corte Suprema del Canada ha dichiarato che il governo canadese sarebbe obbligato a negoziare con il Québec se gli elettori della provincia esprimessero un desiderio inequivocabile per l’indipendenza attraverso un referendum; ma ha anche stabilito che il Québec non ha il diritto di separarsi in modo unilaterale. E in alcuni paesi, tra cui la Turchia e la Spagna, il principio dell’integrità territoriale è esplicitamente sancito nella costituzione.

    Come tale, osserva l’ex ministro degli esteri spagnolo Ana Palacio, “un referendum sulla secessione” in Spagna “non può procedere legalmente senza compromettere l’ordine costituzionale che il paese ha costruito negli ultimi 40 anni, dalla morte del dittatore Francisco Franco nel 1975. “E inoltre, Palacio sottolinea che la Costituzione spagnola mira a” proteggere i diritti umani, la cultura, le tradizioni, le lingue e le istituzioni dei “popoli spagnoli”. “A causa di questo impegno costituzionale, ora c’è” un complesso di diritto che concede un’autonomia regionale, in particolare per la Catalogna, con importanti poteri trasferiti al governo regionale catalano “.

    Decidere chi decide
    Il referendum per l’indipendenza catalana del primo ottobre non era solo incostituzionale; era anche apertamente antidemocratico. Il governo regionale catalano ha adottato una “legge di disconnessione” senza consentire una corretta discussione sulle implicazioni dell’indipendenza. Peggio ancora, non ha neanche fissato una soglia minima per la partecipazione al referendum. Il risultato è stato de facto una dittatura della minoranza. “Solo il 43% della popolazione catalana ha votato al referendum”, osserva Shlomo Ben-Ami del Toledo International Center for Peace. Il fatto che “anche il sindaco di Barcellona, Ada Colau, sostenitore di stato, ha messo in discussione come fondamento per un piano unilaterale dichiarazione di indipendenza.”

    La situazione catalana – dove il presidente del governo regionale, Carles Puigdemont, ha dichiarato e sospeso l’indipendenza – sottolinea un paradosso centrale dell’autodeterminazione. Anche un voto non democratico e incostituzionale può avere implicazioni politiche enormi se i protagonisti lo dipingono come un’espressione della “volontà popolare”.

    Tuttavia, come osserva Singer, mentre un referendum è in realtà “una forma di persuasione rivolta al governo dello stato esistente”, può avere un effetto persuasivo solo con una “grande partecipazione che mostra una netta maggioranza per l’indipendenza”. Di conseguenza, nessuno può aspettarsi che la Spagna permetta alla Catalogna di staccarsi. Secondo Ben-Ami, “è ormai molto probabile che il governo centrale invochi l’articolo 155 della Costituzione spagnola, che gli permette di prendere il controllo diretto della Catalogna”.

    Anche se una super-maggioranza dei catalani avesse votato per la secessione, una questione fondamentale sarebbe rimasta. Come Nye si domanda: “chi ha il diritto di autodeterminarsi?” La risposta dipende da dove e anche quando le persone si determino. Negli anni ’60, quando i “somali nel Kenia nord-orientale” cercavano l’indipendenza, “volevano votare immediatamente”, mentre il Kenya, “ che per effetto del periodo coloniale era formato da decine di popoli o tribù”, avrebbe voluto “aspettare 40 o 50 anni per cercare di formare un’identità keniana a discapito delle vecchie etnie locali”.

    “Un altro problema”, secondo Nye, “è come tenere in considerazione gli interessi di coloro che rimangono indietro”. Si consideri l’esempio di Scozia ricca di petrolio, il cui distacco avrebbe causato notevoli danni economici al resto del Regno Unito. È ragionevole che tutti i britannici, e non solo gli scozzesi, debbano esprimere la propria opinione sull’indipendenza scozzese. E Singer ci ricorda che proprio questo è accaduto “quando i popoli della Nigeria orientale hanno deciso di separarsi e formare lo stato di Biafra negli anni ’60.” Considerando che “il Biafra inglobava gran parte del petrolio della Nigeria,” altri nigeriani “sostenevano che l’oro nero appartenesse a tutte le persone della Nigeria, non solo nell’area orientale “.

    Valutando la fattibilità
    Per essere legittima, una secessione deve tanto identificare il gruppo che sia autorizzato a fare una simile richiesta e rispettare il dettato costituzionale e le norme internazionali quanto preservare “la vitalità dello stato da cui si stacca e la sicurezza degli stati limitrofi”, scrive Haass.

    Per Volker Perthes del German Institute for International and Security Affairs, la sicurezza degli stati confinanti è una preoccupazione particolarmente rilevante nella questione dell’indipendenza dei curdi iracheni. “L’indipendenza curda potrebbe incoraggiare le richieste di autonomia nelle province a maggioranza sunnita che confinano con Siria, Giordania e Arabia Saudita”, scrive. E “rimuovendo il terzo elemento costitutivo – oltre agli arabi sciiti e sunniti – della politica irachena”, potrebbe aggravare la pericolosa “polarizzazione settaria” di quel paese.

    Ma altri respingono tali valutazioni aprioristiche della situazione kurda. Il filosofo francese Bernard-Henri Lévy ritiene che uno “stato-curdo rappresenterebbe una” città brillante su una collina “, una luminosa stella polare per i figli e le figlie persi del Kurdistan, e una fonte di speranza per tutti gli sfollati del mondo .”Allo stesso modo, Ben-Ami afferma che uno Stato kurdo non avrebbe solo” una reale possibilità di prosperare “, ma potrebbe anche” combinare la ricchezza delle risorse naturali con una tradizione di governance stabile e pragmatica, creando così una democrazia sostenibile “in una regione altamente volatile.

    Infatti, per Haass, la vitalità economica e politica dovrebbe essere un altro requisito preliminare per la secessione, in quanto il mondo ha già abbastanza stati falliti che destabilizzano le regioni circostanti. Nel 2011, il Sud Sudan era moralmente giustificato ad ottenere il proprio stato dopo decenni di oppressione.

    Ma le sue istituzioni politiche ed economiche erano così fragili che dopo neanche tre anni il paese era piombato in una sanguinosa guerra civile. Il conflitto nel Sud Sudan ha generato più di due milioni di rifugiati, frustrando le aspettative di Charles Tannock, membro del Parlamento europeo: “Un Sud Sudan indipendente obbligherebbe l’Occidente a fronteggiare le ortodossie relative all’Africa”. In particolare, l’esperienza del Sud Sudan tende a confermare “la convinzione che paesi come la Somalia e la Nigeria siano più stabili di quanto non sarebbero se fossero divisi in tante parti”.

    L’importanza del riconoscimento internazionale
    La sfera economica e politica di un paese dipende dal fatto che la sua indipendenza sia riconosciuta a livello internazionale. Gli Stati non riconosciuti, senza peso nel processo decisionale globale e incapaci di accedere ai mercati internazionali, tendono a collassare. Ecco perché, dieci anni fa, l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fisher temeva che il mancato accesso del Kosovo ai prestiti sovrani della Banca mondiale o del Fondo Monetario Internazionale avrebbe potuto causare problemi, non solo per il Kosovo ma anche per l’UE, con la quale “il destino del Kosovo è intrecciata”.

    Ma la comunità internazionale è sempre meno propensa ad accettare nuovi membri. Dato che meno di un decimo dei paesi del mondo sono culturalmente omogenei, una secessione sancita a livello internazionale potrebbe incoraggiare i secessionisti di tutto il mondo. Come ha affermato Raju Thomas dell’Università Marquette nel 2007, “permettere al Kosovo di ottenere l’indipendenza dimostrerebbe che il secessionismo violento funziona”. In questo caso, ha concluso, “il mondo dovrebbe abituarsi a vedere la strategia del Kosovo applicata altrove “.

    In questo senso, Palacio esorta i leader mondiali e soprattutto europei a “resistere alle invocazioni dei separatisti catalani per la mediazione internazionale”. Chiede di non iniziare nessuna forma di dialogo che convalidi l’elusione da parte del governo catalano della costituzione spagnola. “Niente di meno che il futuro dello Stato di diritto e della democrazia costituzionale in Spagna – e altrove – dipende da essa”, insiste. Dopo tutto, in un continente con 250 regioni definite da identità culturali, etniche o storiche, una indipendenza in Catalogna potrebbe scatenare un effetto domino, creando un’Europa dei mini-stati dove il processo decisionale sarebbe ancora più difficile di quanto già non sia.

    Naturalmente, la questione del riconoscimento diplomatico dei secessionisti ha più a che fare con meri calcoli di interesse nazionale piuttosto che con il rispetto di principi morali o legali. Quindi non sorprende che altri leader europei, preoccupati per i propri movimenti secessionisti, abbiano considerato la crisi catalana un problema di carattere squisitamente interno per la Spagna. Allo stesso modo, qualora il referendum scozzese del 2014 fosse passato, gli scozzesi (che sono storicamente sostenitori del progetto europeo) si sarebbero trovati al di fuori dell’Unione Europea, perché la Spagna avrebbe imposto il suo veto sull’adesione di Edimburgo, al fine di dissuadere la Catalogna dal provarci a sua volta.

    Anche nel caso dei curdi che chiaramente hanno diritto a uno stato, l’istinto di molti governi è quello di osteggiare il movimento indipendentista. Sotto il presidente americano Donald Trump, osserva Ben-Ami, gli Stati Uniti si sono opposti al referendum per l’indipendenza kurda sulla base del fatto che “avrebbe destabilizzato l’Iraq” e supportato “ i ribelli anti-governativi della Siria”. Allo stesso tempo, però, Trump ha anche dimostrato di essere disposto ad accettare l’annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo 2014, anche se a dire di Jeffrey D. Sachs della Columbia University costituisce “una grave e pericolosa violazione del diritto internazionale”.

    Le cause del secessionismo
    Spinte verso la frammentazione politica in tutto il mondo stanno avvenendo per ragioni diverse. In Medio Oriente e in Africa, il secessionismo è guidato da lotte contro l’oppressione autocratica, e da appelli alle identità locali. Nelle ex repubbliche dell’Unione Sovietica, i movimenti di autodeterminazione sono in gran parte una manifestazione della politica delle grandi potenze, con un revanscista Cremlino che incoraggia l’irredentismo in Crimea, Abkhazia, Donetsk e Ossezia del Sud e minacciando di farlo altrove. E nell’Europa occidentale, i movimenti regionali per la secessione sono crollati in gran parte in risposta alle forze economiche strutturali e cicliche.

    In Europa occidentale, regioni ricche come la Catalogna e le Fiandre sono impazienti di sovvenzionare le regioni più povere; e il loro risentimento è cresciuto dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Scrivendo nel 2008, Ian Buruma, ora redattore della New York Review of Books, ha avvertito che il Belgio stava quasi collassando, a causa di un rinvigorimento etnico che “l’unità europea del dopoguerra avrebbe dovuto contenere. “I belgi francofoni hanno avviato la Rivoluzione Industriale Europea nel diciannovesimo secolo “, osserva. Ma “ora vivono un senso di rancore che necessita di sovvenzioni federali, una notevole quantità che deriva dalle tasse pagate dai fiamminghi più floridi e tecnologici”.

    Skidelsky ritiene che anche il referendum scozzese sia stato spinto dalla crisi finanziaria e dalla conseguente Grande Recessione, che ha aiutato la SNP ad ottenere la maggioranza parlamentare. Ma non bisogna pensare che i secessionisti europei siano motivati solo da fattori economici. Forze strutturali come la globalizzazione e il processo di integrazione europea hanno svolto un ruolo importante. Secondo Buruma, l’UE, promuovendo attivamente “gli interessi regionali, ha indebolito l’autorità dei governi nazionali”.

    Alberto Alesina dell’Università di Harvard ha sostenuto una simile idea quasi 20 anni fa: una forte integrazione economica, attraverso la rimozione delle barriere commerciali, riduce i costi di indipendenza e pregiudica la logica per le grandi giurisdizioni che compongono popolazioni eterogenee. “Con il libero commercio internazionale”, secondo Alesina, “i gruppi etnici, linguistici e religiosi possono trovare più conveniente separarsi se non devono sopportare i costi di trovarsi all’interno di un’economia e un mercato troppo piccolo. ”

    All’inizio di quest’anno, in un articolo per Foreign Affairs, ho sottolineato che i catalani e gli scozzesi capiscono perfettamente questa logica. Entrambi vogliono rimaner parte del mercato unico europeo e allo stesso tempo vogliono allontanarsi dal controllo centralizzato dei rispettivi governi nazionali. Inutile dire che questo è l’opposto di ciò che i fondatori dell’UE pensassero. Credevano che l’integrazione europea avrebbe diluito la sovranità nazionale dall’alto. Non prevedevano una minaccia dal basso per i vecchi stati nazionali. Oggi, i leader europei sono davanti a un dilemma: più spingono per l’integrazione politica ed economica, più rinvigoriscono il secessionismo regionale.

    Cosa attendersi
    Con le forze globali e locali che continuano a guidare il micro-nazionalismo, è probabile che nel prossimo futuro qualche regione diventi indipendente – in modo pacifico o violento. Un Kurdistan sovrano, in particolare, non è più un’idea irrealistica e potrebbe porre la parola fine all’ordine artificiale Sykes-Picot che gli inglesi e i francesi crearono dopo il crollo dell’Impero Ottomano.

    Ma, a differenza dell’era post-coloniale, gli stati di nuova costituzione faticherebbero a trovare sostegno internazionale. Al contrario, la maggioranza dei governi utilizzerebbe tutti i mezzi a propria disposizione, dal boicottaggio economico alla forza militare, per preservare l’unità nazionale. I regimi autoritari hanno la tendenza a reprimere con la forza i gruppi secessionisti, come sta accadendo in Camerun con Ambazonia e in Nigeria con il Biafra. Le democrazie ben consolidate, invece, ricorrono ai dettami costituzionali per prevenire la disintegrazione territoriale, come avviene ora in Catalogna.

    Tuttavia, la repressione dei gruppi separatisti dovrebbe essere l’ultima soluzione, soprattutto per i governi occidentali. Idealmente, i governi devono intervenire molto prima che gli elettori diventino radicalizzati. Si possono addolcire le istanze secessioniste attraverso trasferimenti finanziari, tasse speciali accordi o poteri devoluti. Come osserva Barry Eichengreen dell’Università della California, Berkeley, è importante, però, che i governi centrali mantengano il controllo della politica fiscale e monetaria, oltre alla supervisione della difesa e della politica estera.

    Quando le ambizioni separatiste sono ben radicate come in Catalogna, nelle Fiandre o in Scozia, i governi centrali dovrebbero considerare la rinegoziazione dei termini del rapporto, concedendo una maggiore autonomia. Ancora, Victor Lapuente Giné dell’Università di Göteborg ricorda che entrambi le parti della disputa spagnola si trovano ad affrontare “quello che gli scienziati politici chiamano un dilemma sociale: entrambi beneficiano dal comportamento egoistico a meno che l’altro lato si comporti a sua volta in modo egoistico, nel qual caso entrambi perdono. “Dopo tutto, un divorzio sarebbe costoso sia per la Catalogna e per la Spagna.

    Più in generale, l’ex ministro greco delle finanze pubbliche Yanis Varoufakis invita l’UE a “sviluppare un nuovo tipo di sovranità, che rafforzi le città e le regioni, dissolva il particolarismo nazionale e rispetti le norme democratiche”. Per Varoufakis, la “brutta crisi” catalana dovrebbe essere considerata “un’occasione d’oro per riconfigurare la governance democratica delle istituzioni regionali, nazionali e europee, portando così all’emergere di un’Unione Europea difendibile e quindi sostenibile”.

    In un modo o nell’altro, l’autodeterminazione dei popoli giocherà un ruolo importante nella storia del ventunesimo secolo, proprio come in quello precedente. Per garantire che non diventi nuovamente una fonte di instabilità e distruzione, i governi devono cercare di attenuarlo in anticipo. Possono pagare adesso, oppure possono pagare un prezzo ben più elevato in futuro.

    Edoardo Campanella

  • La Madre

    Primo Levi

    PRIMO LEVI: “…E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire. Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare?”

  • I vecchi

    I vecchi

    Senti quella pelle ruvida
    Un gran freddo dentro l’anima
    Fa fatica anche una lacrima
    A scendere giù
    Troppe attese dietro l’angolo
    Gioie che non ti appartengono
    Questo tempo inconciliabile gioca contro di te

    Ecco come si finisce poi
    Inchiodati a una finestra noi
    Spettatori malinconici
    Di felicità impossibili
    Tanti viaggi rimandati e giù
    Valigie vuote da un’eternità
    Quel dolore che non sai cos’è
    Solo lui non ti abbandonerà, mai
    Oh mai

    È un rifugio quel malessere
    Troppa fretta in quel tuo crescere
    Non si fanno più miracoli
    Adesso non più

    Non dar retta a quelle bambole
    Non toccare quelle pillole
    Quella suora ha un bel carattere
    Ci sa fare con le anime

    Ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi
    L’energia, l’allegria per strapparti ancora sorrisi
    Dirti sì, sempre sì e riuscire a farti volare
    Dove vuoi, dove sai senza più quel peso sul cuore
    Nasconderti le nuove, quell’inverno che ti fa male
    Curarti le ferite e poi qualche dente in più per mangiare
    E poi vederti ridere e poi vederti correre ancora
    Dimentica, c’è chi dimentica
    Distrattamente un fiore una domenica
    E poi silenzi
    E poi silenzi
    Silenzi

    Nei giardini che nessuno sa
    Si respira l’inutilità
    C’è rispetto, grande pulizia
    È quasi follia
    Non sai com’è bello stringerti
    Ritrovarsi qui a difenderti
    E vestirti e pettinarti, sì
    E sussurrarti non arrenderti
    Nei giardini che nessuno sa
    Quanta vita si trascina qua
    Solo acciacchi, piccole anemie
    Siamo niente senza fantasie

    Sorreggili, aiutali, ti prego non lasciarli cadere
    Esili, fragili non negargli un po’ del tuo amore
    Stelle che ora tacciono, ma daranno un senso al quel cielo
    Gli uomini non brillano se non sono stelle anche loro

    Mani che ora tremano perché il vento soffia più forte
    Non lasciarli adesso no, che non li sorprenda la morte
    Siamo noi gli inabili che pur avendo a volte non diamo
    Dimentica, c’è chi dimentica
    Distrattamente un fiore una domenica
    E poi silenzi
    E poi silenzi
    Silenzi

  • Perché non basta essere esperti per essere considerati affidabili?

    Perché non basta essere esperti per essere considerati affidabili?

    SCIENZEANTONIO SGOBBA / IMMAGINE DA FACEBOOK: CARTELLO DI UNA MANIFESTAZIONE NO-VAX, IL 20 GIUGNO 2020 A FIRENZE. 11.9.2020

    Perché non basta essere esperti per essere considerati affidabili?

    Una riflessione filosofica sulla sfiducia nella scienza.

    Antonio Sgobba è giornalista. Il suo ultimo libro è “La società della fiducia. Da Platone a WhatsApp” edito da Il Saggiatore. È stato il responsabile della sezione culturale di IL, ha collaborato con La lettura, Wired, Pagina 99 e altre testate. Dal 2016 lavora in Rai.

    Da più parti si ripete che in questo momento abbiamo un diffuso problema di fiducia; si parla in particolare di mancanza di fiducia negli esperti. Non è una novità, la fiducia è sempre stata fragile; è in crisi più o meno da quando esiste. La diffidenza nei confronti degli esperti è antica come la democrazia, e in fondo non c’è mai stata un’età dell’oro in cui i competenti regnassero incontrastati e amati dal popolo. Come in tutte le relazioni ci sono stati alti e bassi, questo è sicuramente uno dei momenti bassi, né il primo né l’ultimo della sua storia. Quello che dovrebbero chiedersi gli esperti non è come riscostruire la fiducia distrutta ma come ritrovare l’affidabilità perduta.

    (…)

    “Vorrei proporre alla benevola considerazione del lettore una teoria che potrà forse sembrare paradossale e sovversiva”. Cominciava con queste parole il saggio di Bertrand Russell Sul valore dello scetticismo, scritto nel 1928, e poi raccolto nei suoi Saggi scettici. “La teoria è questa”, continua Russell, “che sarebbe opportuno non prestar fede a una proposizione fino a quando non ci sia un fondato motivo per supporla vera”. Bisogna riconoscere che è una bella idea, un’espressione moderata ma impegnativa di scetticismo; il mondo sarebbe davvero migliore se tutti facessimo così. “Se questa opinione divenisse comune, ne risulterebbero completamente trasformati la nostra vita sociale e il nostro sistema politico” riconosceva Russell.

    Questa teoria ci può guidare anche quando ci troviamo nella situazione in cui dobbiamo giudicare degli esperti in disaccordo tra loro. Il filosofo inglese scrive proprio che lo scetticismo che lui auspica si riduce a queste tre proposizioni:

    1) che quando gli esperti concordino nell’affermare una cosa, l’opinione opposta non può più essere ritenuta certa;

    2) che quando essi non sono d’accordo, nessuna opzione può essere considerata certa dai non esperti;

    3) che quando concordemente gli esperti affermano che non esiste alcun motivo sufficiente per un’opinione positiva, l’uomo comune farebbe bene a sospendere il suo giudizio.

    Tutto qui. “Queste proposizioni sembrano forse semplicissime: eppure una volta accettate, rivoluzionerebbero completamente la vita umana”, scriveva Russell.

    Quasi un secolo dopo possiamo dire che la rivoluzione scettica non è mai arrivata. L’autore era consapevole delle difficoltà, sapeva che “le opinioni sostenute con passione sono sempre quelle per le quali non esiste alcuna buona giustificazione”. Una frase forse troppo assoluta per uno scettico – sempre? –, ma se guardiamo ai dibattiti pubblici con cui abbiamo a che fare è un’affermazione vera in molti casi.

    Le proposizioni di Russell si basavano su un’assunzione implicita: gli esperti sono autorità epistemiche. È proprio questa l’idea che oggi ci sembra più in discussione. I filosofi la definiscono così:

    L’autorità epistemica è la capacità dell’esperto di influire su altri individui “imponendo” loro l’adozione di una credenza sulla base della superiorità epistemica.

    C’è qui una differenza fondamentale rispetto a un altro tipo di autorità, la cosiddetta “autorità pratica”, quella in grado di imporre l’esecuzione di un’azione; sul piano epistemico le cose stanno diversamente, non si può imporre a qualcun altro di credere qualcosa. Lo fa notare il filosofo Michel Croce in un saggio del 2020 (Di chi posso fidarmi, Il Mulino): “In generale, il termine ‘autorità epistemica’ non gode di buona fama, per via del valore che attribuiamo all’ideale dell’autonomia del soggetto epistemico, che apparentemente è in contrasto con la nozione e il ruolo dell’autorità epistemica”.

    Quello che è difficile da accettare è l’idea stessa che esistano individui autorizzati a dirci cosa credere. Per questo i filosofi considerano l’“autorità epistemica” esclusivamente la proprietà tipica di quanti sono esperti in un determinato ambito. Questa posizione è tacitamente presente anche in gran parte del dibattito pubblico.

    Può essere invece utile, per fare un passo avanti nel dibattito, distinguere i due concetti. Pensare a un’autorità epistemica come qualcosa di diverso da un esperto. Non è così astratto come sembra. Dobbiamo la distinzione alla filosofa americana Linda Zagzebski. Un criterio per distinguere esperti e autorità epistemiche sta nel classificare i soggetti in base al ruolo che svolgono all’interno della comunità e sono tre gli aspetti rilevanti: l’affidabilità dei soggetti epistemici, la loro relazione con i rispettivi interlocutori, le loro abilità intellettuali. Entrambi i soggetti, l’esperto e l’autorità epistemica, sono affidabili, diverso invece è il rapporto con gli interlocutori inesperti: “La nozione di esperto richiede che il soggetto sia epistemicamente superiore alla maggioranza degli individui di un determinato ambito, mentre la nozione di autorità epistemica richiede semplicemente che questi sia superiore all’interlocutore”; l’esperto può quindi avere una migliore comprensione del settore in questione, mentre l’autorità epistemica è in una relazione personale migliore con il soggetto che ne sa di meno.

    La gente non separa la scienza dalle sue implicazioni morali, chi non crede al cambiamento climatico non lo fa perché contesta l’evidenza, ma perché quelle tesi sono in conflitto con i propri valori.

    L’elemento della relazione con l’interlocutore è un requisito necessario per l’autorità epistemica, non lo è per l’esperto: un esperto può essere in grado di contribuire al progresso della sua disciplina indipendentemente dalle relazioni che intrattiene con particolari interlocutori. Un’autorità epistemica e un esperto hanno anche diverse virtù intellettuali: le conoscenze dell’autorità si rivolgono a chi non è un addetto ai lavori, le qualità dell’esperto sono invece orientate alla ricerca.

    Gli scienziati, quindi, per essere creduti devono fare un passo in più, devono ricordarsi chi sono. La ricerca scientifica è sinonimo di patto, comunità, consenso, ma spesso gli scienziati si limitano a riaffermare la loro neutralità, a insistere sul fatto che la scienza non ha un colore politico, sociale, economico o morale, dicendo cose come: “Alla forza di gravità non importa che tu sia di destra o di sinistra”, “Le piogge acide cadono sui ricchi e sui poveri”, “Le emissioni radioattive ti colpiscono sia prima sia dopo le elezioni”.

    Tutto vero, ma non basta. Non è solo su queste basi che possiamo fidarci di loro: che sia corretto o no, l’opinione pubblica mette in relazione la scienza con le sue implicazioni; una distinzione netta tra fatti e valori non funziona. La gente non separa la scienza dalle sue implicazioni morali, chi non crede al cambiamento climatico non lo fa perché contesta l’evidenza, ma perché quelle tesi sono in conflitto con i propri valori, politici o religiosi, o con i propri interessi economici, il proprio stile di vita.

    Gli scienziati di solito considerano queste critiche fallaci: ad hominem, quindi illegittime. “Ma se prendiamo sul serio la conclusione che la scienza è un processo sociale consensuale, allora chi sono gli scienziati è una questione rilevante” ricorda Naomi Oreskes nel suo ultimo saggio, Why Trust Science? Una delle tesi fondamentali del lavoro dell’autrice americana, biologa di formazione, è che l’idea della scienza come un’attività neutrale, priva di valori, sia un mito: dobbiamo ricordare che l’utilità, economica o di altro tipo, è stata a lungo una giustificazione per sostenere la scienza, dal punto di vista finanziario e culturale. La scienza non è un’impresa neutrale e non lo sono gli scienziati come individui. “Nessuno può essere davvero neutrale, quando gli scienziati dicono di esserlo, dicono il falso perché affermano l’impossibile. A meno che non li si voglia considerare ingenui o degli idiot savants, dovremmo considerarli disonesti” scrive Oreskes.

    I valori di molti scienziati possono (o dovrebbero) essere condivisibili da un grande pubblico. Per gli scienziati la riconquista della fiducia passa dal superamento del mito dell’oggettività.

    Onestà, apertura, trasparenza sono valori propri della ricerca scientifica. “Come possono gli scienziati essere onesti e allo stesso tempo negare di avere dei valori?” si chiede. La riluttanza degli scienziati a discutere dei propri valori potrebbe dare l’impressione che quei valori siano problematici e che quindi debbano essere nascosti, oppure che non ci sia nessun valore in cui credono. Voi vi fidereste di una persona che non ha valori? Credereste a una persona che non crede in niente? Direi proprio di no, avremmo a che fare con un sociopatico. Se invece credessimo che quella persona condivide almeno qualcuno dei tuoi valori, non per forza tutti, potremmo essere più disposti a starla a sentire. La neutralità rispetto ai valori può essere difesa da un punto di vista epistemologico, ma nella pratica non funziona: senza valori non c’è comunicazione e non si possono costruire legami di fiducia.

    Invece è successo il contrario. I valori di molti scienziati possono (o dovrebbero) essere condivisibili da un grande pubblico. Anche per gli scienziati, come per i giornalisti, la riconquista della fiducia passa dal superamento del mito dell’oggettività. “Anche se siamo in disaccordo” conclude Oreskes “su molte questioni politiche, i nostri valori possono coincidere, almeno in parte. Chiarire i punti su cui possiamo essere d’accordo, e spiegare in che modo sono legati al lavoro scientifico, può aiutarci a superare la sfiducia che spesso sembra prevalere”.

    Estratto da La società della fiducia. Da Platone a WhatsApp, di Antonio Sgobba (il Saggiatore).

  • “VOLEVO SUCCHIARE TUTTO IL MIDOLLO DELLA VITA” – L’EREMITAGGIO DI HENRY DAVID THOREAU

    “VOLEVO SUCCHIARE TUTTO IL MIDOLLO DELLA VITA” – L’EREMITAGGIO DI HENRY DAVID THOREAU

    Mirella Serri per “La Stampa”

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    «Per la prima estate non lessi libri ma mi dedicai intensamente a coltivare i miei fagioli». Rinunciare ai libri? Com’ era possibile per uno studioso del

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    calibro di Henry David Thoreau, uno dei più brillanti e conosciuti allievi di Harvard? Thoreau, che vide la luce un anno prima di Karl Marx, a dieci anni, nel 1827, scrisse la sua prima poesia, The Seasons.

    A dodici parlava latino, greco, francese, italiano, tedesco e in parte pure lo spagnolo. Nel 1833 entrò con una borsa di studio all’Harvard College per studiare retorica, religione, filosofia e scienze. Sette anni più tardi produsse un saggio epico in latino, acclamato dall’Accademia: Aulus Persius Flaccus.

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    E un poema: Sympathy. Poi però, a 28 anni, il filosofo di Concord si rifugiò nei boschi per mettere in pratica i suoi rigorosi principi di full immersion nell’ambiente naturale e pose in un cantuccio i testi di greco e latino, la compagnia prediletta di tante serate. Non rinunciò però solo alla cultura. Amava le passeggiate in abiti eleganti sul corso di Concord, le allegre compagnie degli amici goliardi, le feste negli alberghi di lusso che stavano spuntando come funghi nella cittadina del Massachussets.

    La prima rivoluzione industriale era in corso e suo padre aveva aperto a Concord una fabbrica di matite. Henry David si dedicò anche a questo opificio di famiglia con tanta passione e ne incentivò la produzione mettendo a punto un nuovo tipo di mina per i lapis. Eppure nel 1845 fece a meno di tutto questo e decise di vivere una seconda vita che nulla aveva in comune con la prima. La scelta fu netta e drastica e Thoreau, che era stato anche un eccellente uomo di azienda, divenne nella sua nuova esistenza il profeta dell’anticapitalismo e dell’ambientalismo più radicale. Si fece prestare un’ascia. Fece diventare cenere i panni della prima vita.

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    Si vestì di stracci, si fece regalare delle assi usate e dei chiodi già adoperati che raddrizzò uno a uno, abbatté dei pini, rinunciò a mangiare carne, a parte, saltuariamente, quella di marmotta, si cibò di portulaca oleracea, di polenta di granoturco e di fagioli e si costruì una capanna sulle rive del lago Walden. L’adozione di questa seconda pelle fu gravida di incredibili conseguenze per la sua storia personale ma anche e soprattutto più in generale per il corso della Storia con la maiuscola.

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    «Lavoravo su un bel fianco di collina coperto di boschi di pini attraverso i quali potevo scorgere il lago dove il ghiaccio non s’ era ancora disciolto – raccontava -. Erano bei giorni di primavera, nei quali “l’inverno dell’umano scontento” si sgelava come la terra, e la vita incominciava a risvegliarsi».

    Cosa lo condusse a questa trasformazione? Allievo del filosofo trascendentalista Ralph Waldo Emerson, Thoreau intuì che con il primo capitalismo industriale e con l’esplosione di insediamenti urbani, con la costruzione di ponti, strade e fabbriche (visse per un anno anche a New York), fioriva un nuovo stile di vita orientato dal desiderio di frenetici guadagni.

    Che avevano come corollario la divisione del lavoro, lo spreco delle risorse naturali, il consumismo incontrollato e l’accumulazione fine a se stessa. «Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita (…) per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto. (…) Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita» (questa frase di Thoreau è stata ripresa ne L’attimo fuggente, il celebre film del 1989 con Robin Williams).

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    Ma l’atteggiamento rigorista che lo guidava nelle sue inedite opzioni ebbe anche altre conseguenze: l’eremita fu raggiunto da un’ingiunzione di pagamento di imposte arretrate nella sua casetta sulle rive del lago – a cui dedicherà, dopo averlo riscritto varie volte, il saggio Walden ovvero Vita nei boschi. Thoreau non accettò di versare i quattrini al governo del presidente James K. Polk che disprezzava in quanto fautore della schiavitù e di una politica espansionistica (stava iniziando la guerra messicano-americana al cui termine gli Stati Uniti ottennero il controllo di Texas, California, Nevada, Utah e di parti del Colorado, dell’Arizona, del Nuovo Messico e del Wyoming).

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    I

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    mprigionato, Thoreau fu scarcerato dopo un giorno per l’intervento di una zia che gli pagò, nonostante la sua opposizione, gli arretrati. Ma da questa esperienza nacque un celebre pamphlet, Disobbedienza civile, che gli diede una fama incredibile: fu il pensiero di riferimento per Tolstoj, Gandhi, Proust e Martin Luther King. Una settimana sui fiumi Concord e Merrimack, resoconto di un’escursione nelle White Mountains fatta con il fratello John nel 1839, fece di lui l’idolo della Beat Generation e di Jack Kerouac a cui ispirò Sulla strada.

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    Quando decise di ritornare a vivere nella civiltà, cominciò a viaggiare e divenne uno degli attivisti più convinti dell’abolizione della schiavitù, aiutò molti lavoratori delle piantagioni di cotone provenienti dall’Africa a fuggire in Canada e fu un sostenitore dei diritti dei nativi americani.

    I saggi e gli articoli della sua seconda vita, dopo la sua scomparsa, divennero la Bibbia di chi lottava per l’istituzione delle riserve naturali, dai boschi del Maine alla penisola di Cape Cod alle foreste dello Yosemite: il presidente Theodore Roosevelt fu un seguace di Thoreau come pure John Kennedy. Al pensatore ecologista fece riferimento lo scrittore Jon Krakauer che Nelle terre estreme (il libro è stato adattato a film da Sean Penn, Into the Wild – Nelle terre selvagge) pubblicò la storia di Christopher McCandless, giovanissimo viaggiatore che si lasciò morire di fame in nome di un rinnovato rapporto con l’ambiente.

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    Critico accanito di Thoreau è invece il presidente Donald Trump che detesta la sua predicazione, le riserve e vuole riorganizzare le aeree protette degli States in zone di caccia. Oggi le profetiche parole di Thoreau sulla necessità della tutela della «natura selvaggia» vengono continuamente evocate da chi considera la pandemia come una conseguenza della distruzione degli equilibri naturali. La seconda vita di Thoreau non rappresentò dunque solo uno sconvolgimento intimo e personale del filosofo ma fu lo sprigionarsi di un vento forte che ha cambiato il corso della storia.

  • Umberto Eco – Come dire parolacce in società

    Brani scelti: UMBERTO ECO, La bustina di minerva 2000

    Vedo nel nuovo romanzo di Kurt Vonnegut (Hocus pocus, Bompiani) che il protagonista decide di non usare parolacce e si limita a espressioni che (nella traduzione di Pier Francesco Paolini) suonano come: “che pezzo di escremento!”, “che testa di pene!”, “siamo in una bella casa di tolleranza!” L’invito giunge opportuno in un momento in cui i giornali registrano, da parte degli uomini politici, insulti da carrettiere, e sui teleschermi si affacciano signori distinti che si appellano a vicenda con riferimenti espliciti a parti del corpo solitamente coperte da biancheria detta, appunto, intima.

    È vero che in questa stessa rubrica io avevo tempo fa rivendicato il diritto di usare la parola stronzo in certe occasioni in cui occorre esprimere il massimo sdegno. Ma l’utilità della parolaccia è appunto data dalla sua eccezionalità. Usare parolacce troppo sovente sarebbe come riscrivere l’intero Signor Bruschino facendo battere soltanto gli archetti contro i leggii, mentre gli altri strumenti tacciono. Mussolini, in un momento tragico della storia d’Italia, disse in parlamento che avrebbe potuto fare di quell’aula sorda e grigia un bivacco per i suoi manipoli, e la frase suonò drammaticamente minacciosa. Se avesse detto (e tale era il senso della sua dichiarazione) “brutte facce di merda, avrei potuto mettervela in culo come niente,” o l’avrebbero trattato come un buffo, o si sarebbero accorti che il condizionale era fuori luogo, perché l’evento si era già verificato.

    Si è perduta quell’arte dell’ingiuria celebrata da Borges (“Signore, vostra moglie, col pretesto di tenere un bordello, vende stoffe di contrabbando!”), e pazienza. Ma almeno si dovrebbe ritrovare un’arte della perifrasi. Ed ecco perché, a uso dei protagonisti della politica e dello spettacolo, seguono alcune espressioni indubbiamente eleganti e forbite, sotto il velame della cui elaborata stranezza gli esperti potranno riconoscere l’espressione originaria, ben più volgare e consueta, che esse celano, senza peraltro eliminarne la forza perlocutoria.

    “Taccia, Lei, il cui viso avrebbe potuto essere definito da un noto maresciallo dell’Impero nelle ultime ore della battaglia di Waterloo!” “Ella ha una scatola cranica che più che alla speculazione sarebbe atta alla riproduzione.” “La invito a recarsi là dove potrebbe opportunamente qualificarsi come partner passivo di un rapporto tra maschi adulti consenzienti!” “La smetta, o segmento fusiforme del prodotto finale di un complesso processo metabolico!” “Il tale, nel suo giorno natale, era unito da cordone ombelicale a una signora che aveva saputo condurre la poliandria a manifestazioni quasi frenetiche.”

    “Verga sicula, che gran bella porzione di ghiandole di Bartolino e tube di Falloppio!” “Quello? Dalla paura è pronto a secernere preterintenzionalmente, e senza aver prima abbandonato i propri abiti, cellulosa, cheratina, residui biliari, muco, cellule epiteliali desquamate, leucociti e batteri assortiti!” “Gustavo è solo un cinquanta per cento di deliquio dei sensi ottenuto manualmente.” “Silenzio, non imitate un luogo in cui si faccia mercimonio di grazie della seconda metà del cielo!” “Indigenza scrofa, l’ho ricevuta in vaso indebito!” “La prego, non mi deteriori quelli che l’etimologia latina vuole quali testimoni!” “Come dice Dante, usava la parte terminale dell’intestino retto come strumento per segnalazioni militari.” “Ragazzí, che operazione serramentaria!””La baronessa? Ma si dedica alla raccolta e accumulazione di gettoni che testimoniano della sua operosità e a fronte dei quali riceverà un corrispettivo in denaro allo scadere della seconda settimana di attività!” “Guardi, io di Lei e della sua opinione sottopongo a ripetute succussioni l’unica borsa in pelle fornitami da natura, con tutto ciò che essa contiene!” “Ma la smetta di adularmi! Lei è un soggetto le cui papille gustative hanno perduto ogni dimestichezza con il cibo prima che esso abbia subito tutte le trasformazioni a cui viene sottoposto dal nostro organismo onde far fronte alla curva generale dell’entropia!” “Se non la smette sono disposto a interfacciare la parte inferiore delle mie Timberland con la sua zona perineale, imprimendo all’intero suo corpo una forza propulsiva atta a farle percorrere un ampio tragitto senza che Ella debba ricorrere ai consueti mezzi di deambulazione!” “Ha tutta la mia riprovazione, o persona la cui parte posteriore inferiore del tronco necessiterebbe di un intervento plastico a fini di restauro!” “Organo esterno dell’apparato genito-urinario maschile a forma di appendice cilindrica inserita nella parte anteriore del perineo! Ho perso il portafoglio!”

  • Report installazione antenne

    AS1551 – OSTACOLI NELL’INSTALLAZIONE DI IMPIANTI DI TELECOMUNICAZIONE MOBILE E BROADBAND
    WIRELESS ACCESS E ALLO SVILUPPO DELLE RETI DI TELECOMUNICAZIONE IN TECNOLOGIE 5G
    Roma, 21 dicembre 2018
    Senato della Repubblica
    Camera dei Deputati
    Presidenza del Consiglio dei Ministri
    Ministero dello Sviluppo Economico
    Conferenza Unificata Stato–Regioni, Città e Autonomie Locali
    Presidente della Regione Abruzzo
    Presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
    Presidente della Regione Lombardia
    Presidente della Regione Marche
    Presidente della Regione Autonoma Valle d’Aosta
    Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano
    Presidente della Provincia Autonoma di Trento
    Associazione Nazionale Comuni Italiani
    L’Autorità, nell’adunanza del 12 dicembre 2018, ha deliberato di inviare, ai sensi dell’articolo 21 della Legge 10 ottobre
    1990, n. 287, una segnalazione relativa agli ostacoli all’installazione di impianti di telecomunicazione mobile e
    broadband wireless access presenti nelle normativa locale (comunale e provinciale), regionale e nazionale. Si tratta in
    particolare di previsioni normative locali o regionali le quali fissano limiti e divieti all’installazione di impianti di
    telecomunicazione o stabiliscono procedure amministrative di autorizzazione all’istallazione degli impianti difformi
    rispetto a quanto previsto dal quadro normativo statale.
    Tali ostacoli restringono ingiustificatamente la concorrenza nei mercati delle telecomunicazioni e rischiano di
    determinare ricadute negative rilevanti sui livelli di servizio erogati ai consumatori e alle imprese, nonché sulla
    competitività dell’Italia nei confronti di altri Paesi. Le criticità concorrenziali derivanti da queste restrizioni sono
    destinate ad accentuarsi nell’attuale fase di transizione alle tecnologie 5G, che rischia di subire un rallentamento,
    andando a vanificare l’impegno che l’Italia ha profuso con riguardo alle tecnologie 5G, muovendosi in anticipo rispetto
    ad altri Paesi europei nell’assegnazione delle frequenze.
    In particolare, il mercato delle telecomunicazioni mobili in Italia è stato interessato dall’entrata di diversi operatori,
    infrastrutturati e virtuali, che hanno incrementato negli scorsi anni i servizi erogati, soddisfacendo così le esigenze di
    connettività mobile del Paese. Allo stesso modo, i servizi di broadband wireless access (BWA) hanno permesso di
    connettere aree del territorio svantaggiate, precedentemente non raggiunte da connessioni fisse ad alta velocità.
    Appare quindi prioritario il mantenimento e l’ampliamento della concorrenza nei mercati delle telecomunicazioni mobili
    e fisse, rimuovendo gli ostacoli non necessari e riducendo i costi e le tempistiche dei procedimenti amministrativi, così
    da ridurre le barriere all’entrata e la discriminazione tra operatori storici e nuovi operatori, nonché tra tecnologie preesistenti e nuove tecnologie.
    La tecnologia 5G rappresenta un’opportunità di crescita della competitività del Paese e un fattore di innalzamento dei
    livelli di concorrenza. Infatti, tale tecnologia permetterà l’erogazione di nuovi servizi che, oltre alle comunicazioni
    interpersonali, interesseranno diversi comparti industriali, quali energia e utilities, manifatturiero, trasporti, sanità,
    agricoltura, automazione, servizi finanziari. Studi recenti stimano che questa tecnologia potrà determinare un impatto
    sul prodotto globale del 4-5%1. Ne consegue che appare indispensabile favorirne lo sviluppo mediante l’eliminazione di
    restrizioni ingiustificate e non necessarie, nonché attraverso la definizione di best practice per le amministrazioni locali
    volte ad indirizzare la propria azione amministrativa ai principi di efficienza ed efficacia.
    La Direttiva 2014/61/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, recante “misure volte a ridurre i
    costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità”, ha evidenziato la necessità di attuare
    politiche che permettano di abbattere i costi dell’installazione della banda larga sull’intero territorio dell’Unione, anche

    1 [Cfr. IHS, 2017, The 5G economy: How 5G technology will contribute to the global economy.]
    attraverso una corretta pianificazione, un corretto coordinamento e la riduzione degli oneri amministrativi2. Infatti, una
    parte preponderante di tali costi è imputabile a inefficienze nel processo di posa delle infrastrutture (ad esempio,
    installazioni di antenne, tralicci e altre strutture di supporto), a rallentamenti legati al coordinamento delle opere civili,
    a procedure amministrative farraginose di rilascio delle autorizzazioni, che comportano rilevanti ostacoli finanziari, in
    particolare nelle zone rurali. L’articolo 7 della suddetta Direttiva, in particolare, prevede che le autorità competenti
    rilascino, o rifiutino, le autorizzazioni entro quattro mesi dalla data di ricevimento di una richiesta completa di
    autorizzazione. Inoltre, la Direttiva individua altri strumenti da implementare nel processo di autorizzazione, quali la
    previsione di uno “sportello unico” e la messa a disposizione di informazioni minime che devono essere rese agli
    operatori di telecomunicazioni.
    Il quadro normativo
    Al fine di analizzare le criticità riscontrate nelle attività di installazione degli impianti di telecomunicazione mobile,
    occorre preliminarmente esaminare il quadro normativo nazionale, di derivazione europea, nonché i principi
    giurisprudenziali consolidatisi in materia.
    Il Decreto Legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante il “Codice delle Comunicazioni Elettroniche”, agli articoli 87 e ss.,
    ha inteso favorire un’applicazione univoca e uniforme del regime autorizzatorio degli impianti di telecomunicazione
    mobile su tutto il territorio nazionale, definendo modalità e tempistiche del procedimento di autorizzazione, nonché le
    amministrazioni preposte al rilascio delle autorizzazioni.
    Il Codice delle Comunicazioni Elettroniche qualifica gli impianti di telefonia come “opere di urbanizzazione primaria”
    (articolo 86, comma 3) e ne riconosce la natura di pubblica utilità (articolo 90). In tal senso si è altresì espressa la
    giurisprudenza la quale ha riconosciuto che l’installazione sul territorio non costituisce un interesse privato delle
    imprese, ma un preciso interesse primario della collettività: “le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali,
    risultano in generale compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio
    comunale, sottolineandosi che la disposizione dell’articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/1993 ha in tal modo
    evidenziato il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti
    pubbliche di comunicazioni”
    3.
    In secondo luogo, quanto alle caratteristiche dell’iter autorizzatorio, il Codice delle Comunicazioni Elettroniche: i)
    introduce l’istituto del “silenzio assenso”, con l’obiettivo di definire tempi certi di risposta da parte delle Pubbliche
    Amministrazioni; ii) stabilisce forme di semplificazione per l’installazione di impianti di telecomunicazione a bassa
    potenza e iii) prevede un procedimento semplificato per le modifiche non sostanziali delle caratteristiche trasmissive
    degli impianti per mera manutenzione o semplice ammodernamento degli stessi4. Inoltre, l’articolo 35, commi 4 e 4-
    bis, del Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modifiche dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111, sancisce
    ulteriori previsioni di semplificazione per talune categorie di impianti emittenti5.

    2 [Cfr. Direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 , recante misure volte a ridurre i costi
    dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità, GUCE [2014] L155/1, considerato n. 4.]
    3 [Cfr. Consiglio di Stato, sentenza 1° agosto 2017, n. 3853.]
    4 [Nel dettaglio, gli articoli 87 e ss. del Codice delle Comunicazioni Elettroniche stabiliscono che l’installazione di infrastrutture
    trasmissive per le comunicazioni elettroniche e la modifica delle caratteristiche di emissione delle stesse sono soggette al rilascio di
    autorizzazione da parte degli enti locali competenti, previo accertamento, da parte delle Agenzie Regionali per la Protezione
    dell’Ambiente (ARPA/ARTA), in merito alla compatibilità dell’impianto con i limiti alle emissioni elettromagnetiche.
    L’articolo 87 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche prevede, in sintesi, che l’autorizzazione comunale sia rilasciata a seguito di un
    procedimento avviato con il deposito, presso gli uffici territorialmente competenti del Comune e dell’ARPA, di un’istanza corredata da
    una serie di documenti e informazioni finalizzati ad attestare la conformità dell’impianto ai diversi obblighi applicabili. Tale istanza si
    intende accolta qualora non sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte del Comune o un parere negativo da parte
    dell’ARPA entro i successivi 90 giorni.
    Procedure semplificate per alcune fattispecie (ad esempio, installazione o modifica di impianti con determinate caratteristiche) sono
    stabilite dall’articolo 87-bis del Codice delle Comunicazioni Elettroniche che, nel caso di installazione o modifica degli apparati per la
    trasmissione di tecnologie UMTS/3G o sue evoluzioni (ad esempio, LTE/4G), ha previsto la possibilità di presentare una segnalazione
    certificata di inizio attività (“SCIA”), che sarà priva di effetti solamente qualora, entro i successivi trenta giorni dalla sua presentazione,
    sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte del Comune o un parere negativo da parte dell’ARPA. Infine, l’articolo 87-ter
    dispone che, nel caso di modifiche delle caratteristiche degli impianti già provvisti di titolo abilitativo, che comportino aumenti delle
    altezze non superiori a un metro e aumenti della superficie di sagoma non superiori a 1,5 metri quadrati, sia sufficiente
    un’autocertificazione descrittiva della variazione dimensionale e del rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all’articolo 87, da
    inviare contestualmente all’attuazione dell’intervento ai medesimi organismi che hanno rilasciato i titoli.]
    5 [In particolare, ai sensi di queste disposizioni “Al fine di agevolare la diffusione della banda ultralarga in qualsiasi tecnologia e di
    ridurre i relativi adempimenti amministrativi, sono soggette ad autocertificazione di attivazione, da inviare contestualmente
    all’attuazione dell’intervento all’ente locale e agli organismi competenti ad effettuare i controlli di cui all’articolo 14 della legge 22
    febbraio 2001, n. 36, le installazioni e le modifiche, ivi comprese le modifiche delle caratteristiche trasmissive degli impianti di cui
    all’articolo 87-bis del codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, degli impianti radioelettrici per trasmissione puntopunto e punto-multipunto e degli impianti radioelettrici per l’accesso a reti di comunicazione ad uso pubblico con potenza massima in
    singola antenna inferiore o uguale a 10 watt e con dimensione della superficie radiante non superiore a 0,5 metri quadrati […] Ai
    medesimi fini indicati al comma 4, l’installazione e l’attivazione di apparati di rete caratterizzati da una potenza massima trasmessa in
    uplink inferiore o uguale a 100 mW, e da una potenza massima al connettore di antenna, in downlink, inferiore o uguale a 5 W, e aventi
    un ingombro fisico non superiore a 20 litri, possono essere effettuate senza alcuna comunicazione all’ente locale e agli organismi
    competenti ad effettuare i controlli di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36”.]
    Le misure relative al rispetto delle emissioni elettromagnetiche sono invece disciplinate dalla Legge 22 febbraio 2001,
    n. 36, recante “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” (nel
    seguito anche “Legge Quadro”) e dal D.P.C.M. 8 luglio 2003 recante “Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di
    attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici
    ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz”. La Legge Quadro, in particolare, stabilisce
    le competenze dei diversi livelli di governo6 e regola, all’articolo 7, la costituzione del catasto nazionale delle sorgenti
    fisse e mobili dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, che opera in coordinamento con i catasti regionali di
    cui all’articolo 8, comma 1, lettera d), della medesima legge.
    Infine, il D.P.C.M. 8 luglio 2003, in esecuzione della citata Legge Quadro, stabilisce: l’ambito di applicazione (articolo 1)
    – che riguarda i campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz ad
    eccezione delle sorgenti non riconducibili ai sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi (a cui si applicano le
    restrizioni di cui alla Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio 19997) e di impianti radar e ad esposizioni pulsate (a
    cui si applica un differente D.P.C.M.) – le unità di misura (articolo 2), i limiti di esposizione e valori di attenzione
    (articolo 3), gli obiettivi di qualità (articolo 4), le norme in materia di esposizioni multiple (articolo 5), la definizione
    delle tecniche di misurazione e di rilevamento dei livelli di esposizione (articolo 6).
    Le principali criticità riscontrate a livello comunale, provinciale e regionale
    L’analisi dei procedimenti che regolano l’installazione degli impianti di telecomunicazione ha portato alla luce diverse
    criticità concorrenziali, derivanti dalla regolamentazione locale (comunale e provinciale) o regionale, che hanno l’effetto
    di rallentare o ostacolare la realizzazione delle reti di telecomunicazione mobile e di fixed wireless access, comportando
    una copertura incompleta, incrementando i costi amministrativi e determinando una discriminazione tra operatori
    storici e nuovi operatori, nonché tra tecnologie pre-esistenti e nuove tecnologie. Al riguardo, si ricorda peraltro che
    l’Autorità ha, in molteplici occasioni, riconosciuto l’importanza di una corretta azione amministrativa al fine di favorire
    l’infrastrutturazione tecnologica del Paese8.
    La prima tipologia di criticità deriva dalla circostanza che numerosi regolamenti comunali adottati ai sensi dell’articolo
    8, comma 6, della Legge Quadro presentano criteri di localizzazione che precludono e/o fortemente limitano
    l’installazione di impianti di telecomunicazione in ampie porzioni del territorio comunale.
    La maggior parte dei regolamenti comunali, infatti, prescrive criteri di localizzazione degli impianti che non tengono
    conto delle esigenze tecniche legate all’architettura della rete e agli obiettivi di copertura del servizio offerto dagli
    operatori, risultando non proporzionati in quanto non permettono, in molti casi, l’installazione degli impianti e, quindi,
    impediscono la copertura di rete. Non è infrequente infatti riscontrare divieti di installazione in ampie zone del
    territorio, soprattutto nelle aree a destinazione residenziale, che restringono fortemente gli ambiti in cui gli operatori
    possono di fatto collocare i propri impianti, inibendo così lo sviluppo, se non addirittura, la realizzazione stessa della
    rete.
    Si deve osservare che divieti di installazione possono comportare un aumento delle emissioni elettromagnetiche,
    ponendosi in antitesi con gli obiettivi di minimizzazione dell’esposizione. Ciò in quanto l’inserimento di prescrizioni
    aggiuntive rispetto a quelle previste dalla normativa nazionale potrebbe determinare una inefficienza della rete degli

    6 [Lo Stato esercita (articolo 1) le funzioni relative: “a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli
    obiettivi di qualità […]; c) all’istituzione del catasto nazionale delle sorgenti fisse e mobili dei campi elettrici, magnetici ed
    elettromagnetici e delle zone territoriali interessate, al fine di rilevare i livelli di campo presenti nell’ambiente; […] e) all’individuazione
    delle tecniche di misurazione e di rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico; […] h) alla determinazione dei parametri per la
    previsione di fasce di rispetto per gli elettrodotti; all’interno di tali fasce di rispetto non è consentita alcuna destinazione di edifici ad uso
    residenziale, scolastico, sanitario ovvero ad uso che comporti una permanenza non inferiore a quattro ore”.
    Sono di competenza delle Regioni (articolo 8, commi 1-5), “nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi
    di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a)
    l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti
    radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31 luglio 1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all’articolo
    4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all’articolo 5; […] c) le modalità per il rilascio delle autorizzazioni
    alla installazione degli impianti di cui al presente articolo, in conformità a criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei
    campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti; d) la realizzazione e la gestione, in coordinamento con il catasto nazionale di
    cui all’articolo 4, comma 1, lettera c), di un catasto delle sorgenti fisse dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, al fine di
    rilevare i livelli dei campi stessi nel territorio regionale, con riferimento alle condizioni di esposizione della popolazione; […] 2.
    Nell’esercizio delle funzioni di cui al comma 1, lettere a) e c), le regioni si attengono ai principi relativi alla tutela della salute pubblica,
    alla compatibilità ambientale ed alle esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio. […] 4. Le regioni, nelle materie di cui al comma 1,
    definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249”.
    I comuni (articolo 8, comma 6) “possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
    impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.]
    7 [Cfr. Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio 1999 relativa alla limitazione dell’esposizione della popolazione ai campi
    elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz (1999/519/CE) in GUCE 30 luglio 1999, n. L 199.]
    8 [Cfr. ex multis Segnalazione del 31 gennaio 2013 ai sensi dell’articolo 21 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 caso AS1028 – Comune
    di San Filippo del Mela (ME) – Regolamento per l’installazione e l’esercizio degli impianti per la telefonia mobile e per le trasmissioni in
    standard DVB-H, in boll. n. 11/2013; Parere motivato del 31 ottobre 2017 ai sensi dell’articolo 21-bis della Legge 10 ottobre 1990, n.
    287 caso AS1464 – Avviso esplorativo per manifestazione di interesse dell’azienda ospedaliera S. Camillo Forlanini, in boll. n. 1/2018.]
    operatori che si traduce nella necessità per questi ultimi di installare un maggior numero di impianti per compensare
    l’impossibilità di installare gli stessi in determinate zone del Comune9.
    Tali restrizioni sono state ritenute illegittime sia dalla giurisprudenza costituzionale, sia dalla giurisprudenza
    amministrativa, in quanto si traducono in un divieto tout court di installazione in ampie zone del territorio, senza alcun
    bilanciamento puntuale e concreto dei differenti interessi pubblici da tutelare, in violazione del disposto di cui
    all’articolo 86, comma 3, del Decreto Legislativo n. 259/2003, il quale ha assimilato gli impianti di comunicazioni
    elettroniche alle opere di urbanizzazione primaria e a carattere di pubblica utilità10.
    Inoltre, alcuni regolamenti comunali e alcune ARPA fissano in modo ingiustificato limiti alle emissioni elettromagnetiche
    e di potenza, in difformità rispetto ai limiti stabiliti dalla normativa nazionale, ostacolando così ingiustificatamente
    l’installazione di impianti di telecomunicazione nel territorio di cui trattasi. A tale riguardo, si rileva che i valori delle
    emissioni da rispettare sono fissati dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, ispirato a principi di minimizzazione alle esposizioni e di
    precauzione. Inoltre, in materia di inquinamento elettromagnetico, la Legge Quadro affida in via esclusiva allo Stato la
    determinazione degli “obiettivi di qualità”, al fine di uniformare i livelli di tutela della salute umana su tutto il territorio
    nazionale e garantire una efficiente gestione degli impianti di telecomunicazione11.
    Un’ulteriore criticità riguarda la violazione o la erronea applicazione delle procedure autorizzatorie previste dal Codice
    delle Comunicazioni. In proposito si segnala innanzitutto che – in contrasto con l’obiettivo fissato dal Codice delle
    Comunicazioni e dalla Legge Quadro di definire un processo di autorizzazione specifico, unitario, semplificato e con
    tempi certi – molti Comuni continuano a imporre agli operatori la presentazione del permesso a costruire sebbene,
    come previsto dagli articoli 86 e ss. del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e confermato dalla giurisprudenza12,
    l’installazione di impianti di telecomunicazione non è assoggettabile alle procedure previste per il rilascio di
    concessione edilizia di cui al Testo Unico sull’edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).
    Inoltre, alcuni regolamenti locali prescrivono una documentazione da allegare alle istanze per l’installazione di impianti
    per telecomunicazioni ulteriore e più dettagliata rispetto a quella prescritta dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche
    (es. perizia giurata), in contrasto non solo con i principi, di derivazione europea, di semplificazione e non
    aggravamento del procedimento amministrativo13, ma anche con quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza
    amministrativa, secondo la quale l’Amministrazione non può esigere documenti diversi da quelli di cui all’allegato 13,
    modello A o B del Codice delle Comunicazioni Elettroniche14.
    Infine, le amministrazioni spesso impongono il pagamento dei diritti di segreteria e/o di istruttoria, il cui mancato
    versamento è motivo sospensivo e/o ostativo per il rilascio delle autorizzazioni necessarie. Tali richieste di pagamento
    sono state ritenute illegittime dalla giurisprudenza, che ha affermato, sia con riferimento ai regolamenti locali sia alle
    leggi regionali, l’inapplicabilità di qualsiasi onere aggiuntivo rispetto a quelli previsti dalla legge statale per i suddetti
    procedimenti di autorizzazione15. Questa ricostruzione è confermata dall’interpretazione autentica del comma 2
    dell’articolo 93 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, operata dall’articolo 12, comma 3, del Decreto Legislativo
    15 febbraio 2016, n. 33, il quale precisa che la norma in parola deve essere interpretata nel senso che gli operatori che
    forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni
    espressamente previsti dal comma 2 dell’articolo 93 del Decreto Legislativo n. 259/200316.

    9 [Sul punto si veda TAR Bolzano, sentenze n. 183/2016, 201/2016 e 210/2016.]
    10 [Cfr. Consiglio di Stato, 1° agosto 2017, n. 3853; 3 agosto 2017, n. 3891; 21 aprile 2008, n. 1767. Si veda altresì Corte
    Costituzionale, sentenze n. 331/2003 e n. 307/2003.]
    11 [Si ricorda, inoltre, che secondo gli orientamenti giurisprudenziali consolidati: “è illegittimo un regolamento comunale in tema di
    fissazione dei criteri per la localizzazione delle SRB laddove l’ente territoriale si sia posto quale obiettivo (non dichiarato, ma evincibile
    dal contenuto dell’atto regolamentare) quello di preservare la salute umana dalle emissioni elettromagnetiche promananti da impianti di
    radiocomunicazione, essendo tale materia attribuita alla legislazione concorrente Stato-Regioni dell’art. 117 Cost., come riformato data
    L. cost. 18 ottobre 2001 n. 3”. Pertanto, fermo restando il riconoscimento indiscusso del potere regolamentare comunale (ai sensi
    dell’articolo 8 della Legge Quadro), esso non può spingersi fino al punto di ritenere che al Comune sia consentito di introdurre limiti di
    esposizione al campi elettromagnetici diversi da quelli previsti dallo Stato (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 2128 del 24 settembre
    2010; sentenza n. 8103 del 16 dicembre 2009; TAR Toscana Firenze, sentenza n. 664 del 15 maggio 2018).]
    12 [Cfr., ex multis, TAR Napoli, 10 febbraio 2014, n. 922, Consiglio di Stato, 21 aprile 2008, n. 1767]
    13 [Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 450/2006.]
    14 [Cfr. Consiglio di Stato, sentenza del 9 luglio 2018, n. 4189; TAR Campania Napoli, sentenza del 28 marzo 2008, n. 1630.]
    15 [Con riferimento ai diritti di segreteria e ai diritti di istruttoria, “la relativa imposizione contrasta con l’art. 93, comma 2, del D.lgs. n.
    259 del 2003, che vieta di subordinare il rilascio delle autorizzazioni in materia di telecomunicazioni ad oneri economici diversi rispetto a
    quelli individuati dal legislatore statale e non rientranti nell’ambito dell’elencazione ammessa dal Codice delle telecomunicazioni” (cfr.
    TAR Pescara n. 511/2013; TAR Cagliari n. 119/2010). La Corte costituzionale, con sentenza del 10 febbraio 2015, n. 47, ha dichiarato
    l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14 della L.R. Piemonte 3 agosto 2004, n. 19 in quanto, “l’articolo in esame, imponendo il
    pagamento di spese per attività istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione e modifica di impianti per telecomunicazioni
    non previste della legge statale, si pone in contrasto con l’art. 93 del D.lgs. n. 259/2003, espressione di un principio fondamentale della
    materia “ordinamento della comunicazione” e il quale prevede che “Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni
    non possono imporre per l’impianto di reti a per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti
    per legge”.]
    16 [Attuativo della Direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 e recante “misure volte a ridurre i
    costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità”. Il comma 3, dell’art. 12 recita: “L’articolo 93, comma 2, del
    decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di
    Inoltre, ulteriori criticità derivano dalla circostanza che i procedimenti amministrativi di autorizzazione all’installazione
    di impianti di telecomunicazione risultano eterogenei e farraginosi. In particolare, con riferimento alle modalità di
    presentazione dell’istanza di autorizzazione, spesso i moduli utilizzati sono difformi rispetto a quelli previsti dal Codice
    delle Comunicazioni Elettroniche, le modalità di presentazione delle domande sono eterogenee (via PEC, in modalità
    cartacea, tramite sportello unico) e, in alcuni casi, non vengono individuati gli Uffici preposti a gestire il processo di
    autorizzazione. Ciò comporta una dilatazione dei tempi del procedimento amministrativo, in violazione dei principi di
    economicità e buon andamento, nonché degli obiettivi fissati dal Codice delle Comunicazioni. Sul punto si apprezza il
    modello implementato dalla Regione Sardegna, la quale prevede che le richieste di autorizzazione vengano trasmesse
    al SUAP (sportello unico attività produttive) il quale riunisce tutte le amministrazioni interessate che adottano un
    provvedimento unico, garantendo certezza dei tempi. Tale modello, quindi, appare in linea con gli strumenti individuati
    dalla Direttiva 2014/61/UE. Altri esempi virtuosi sono rappresentati dai protocolli tra operatori e amministrazioni locali
    stipulati per la sperimentazione del 5G, volti a individuare uffici e procedure di coordinamento con altre
    amministrazioni, a promuovere l’utilizzo del patrimonio edilizio degli enti locali e a creare canali di comunicazione che
    agevolano l’interlocuzione con gli operatori di telecomunicazione.
    In tema di attività svolta dalle ARPA regionali per la verifica del rispetto dei limiti elettromagnetici, si è osservato che –
    in alcuni casi – le stesse ARPA hanno autorizzato gli operatori esistenti per valori di potenza nominali superiori rispetto
    a quelli effettivamente erogati in servizio; in questo modo, spesso, i limiti elettromagnetici sono ritenuti saturati
    sebbene – andando a considerare il valore reale e non nominale/teorico – vi sarebbe spazio per l’istallazione di un
    impianto presso lo stesso sito. Inoltre, nella presentazione delle istanze di autorizzazione, alcune ARPA non forniscono
    le informazioni riguardanti le caratteristiche elettromagnetiche e/o le schede tecniche degli impianti preesistenti. Per
    tale motivo gli operatori devono stimare il campo elettromagnetico, aumentando la probabilità di errore e, quindi, di
    diniego, quando le ARPA dispongono già della mappatura completa degli impianti preesistenti e, quindi, di una
    misurazione certa senza necessità di stime. Su questo punto, un esempio virtuoso è quello dell’ARPA Friuli Venezia
    Giulia, la quale ha costituito una piattaforma web contenente i dati degli impianti di tutti gli operatori.
    Le specifiche criticità riscontrate nei regolamenti regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano
    Nel corso dell’esame delle problematiche relative all’installazione di impianti di telecomunicazione sono state rilevate
    altresì alcune criticità presenti nelle previsioni normative di talune Regioni e delle Province Autonome di Trento e
    Bolzano. In particolare, in merito alle criticità derivanti dalla difformità dei procedimenti di autorizzazione rispetto a
    quelli previsti dalla normativa nazionale, si deve segnalare:
    Abruzzo. La Legge Regionale 13 dicembre 2004, n. 45, recante “Norme per la tutela della salute e la salvaguardia
    dell’ambiente dall’inquinamento elettromagnetico” in diversi articoli relativi all’installazione e al risanamento degli
    impianti di telecomunicazione e radiotelevisivi (articoli 9-11, 13, 15, 21) prevede l’acquisizione di un parere
    endoprocedimentale da parte dell’ASL17, in contrasto con la Legge Quadro che attribuisce all’ARTA Abruzzo il controllo
    delle emissioni elettromagnetiche. L’onere aggiuntivo comporta un allungamento dell’iter autorizzatorio, in contrasto
    con la normativa nazionale ed europea citata in precedenza.
    Provincia Autonoma di Bolzano. Il Decreto del Presidente della Provincia 13 novembre 2013, n. 36, recante
    “Regolamento sulle infrastrutture delle comunicazioni con impianti ricetrasmittenti”, agli articoli 10 e 11 prevede
    procedure di autorizzazione difformi rispetto a quelle previste dagli articoli 87, 87-bis e 87-ter del Codice delle
    Comunicazioni Elettroniche e più onerose per gli operatori18.
    Provincia Autonoma di Trento. Il Decreto del Presidente della Provincia 20 dicembre 2012, n. 25-100/Leg., recante
    “Disposizioni regolamentari concernenti la protezione dall’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici
    generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz (articolo 61 della legge provinciale 11 settembre 1998, n. 10 e
    articolo 5-ter della legge provinciale 28 aprile 1997, n. 9)”, all’articolo 6, presenta procedure di autorizzazione difformi
    rispetto a quelle previste dagli articoli 87, 87-bis e 87-ter del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e più onerose per
    gli operatori.
    Friuli Venezia Giulia. La Legge Regionale 18 marzo 2011, n. 3, recante “Norme in materia di telecomunicazioni”, in
    particolare l’articolo 16, comma 6, prevede che la Giunta comunale trasmetta al Ministero per i Beni e le Attività
    Culturali e ai suoi uffici periferici il piano di sviluppo della rete degli operatori, qualora quest’ultimo interessi beni
    culturali. Tuttavia, ciò dovrebbe avvenire solo al momento della presentazione della richiesta di autorizzazione per il
    singolo sito, come previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice del Paesaggio). Pertanto, la norma
    comporta la duplicazione del nulla osta da parte degli enti preposti alla tutela dei beni culturali, il quale viene richiesto

    comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2
    della medesima disposizione.”.]
    17 [Cfr. TAR Pescara, sentenza 248/2017.]
    18 [Sul punto si ricorda che, secondo la sentenza della Corte Costituzionale n. 312 del 15 ottobre 2003, “l’art. 117, comma terzo, della
    Costituzione ha attribuito alla competenza legislativa regionale concorrente l’ordinamento delle comunicazioni e tale attribuzione di
    competenza si deve estendere, in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, anche alla Provincia di Bolzano, alla quale,
    invece, resta precluso dall’art. 8 n. 4 dello statuto l’esercizio della potestà legislativa esclusiva in ordine alla facoltà di impiantare
    stazioni radiotelevisive. Ciò significa che le attività che possono essere sviluppate dalla Provincia di Bolzano nel settore delle
    comunicazioni debbono rispettare i principi fondamentali stabiliti in materia da una serie di leggi statali […]”.]
    sia in fase preliminare, sia in fase di specifico intervento. In tal modo si dilatano i tempi di autorizzazione, in contrasto
    con le previsioni del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e con gli obiettivi definiti dall’articolo 7 della Direttiva
    2014/61/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio.
    Valle d’Aosta. La Legge Regionale 4 novembre 2005, n. 25, recante “Disciplina per l’installazione, la localizzazione e
    l’esercizio di stazioni radioelettriche e di strutture di radiotelecomunicazioni. Modificazioni alla legge regionale 6 aprile
    1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), e abrogazione della legge
    regionale 21 agosto 2000, n. 31” prevede (articolo 11, comma 3, lett. b) l’autorizzazione e il parere dell’ARPA per tutti
    gli impianti di telecomunicazione mobile, quindi anche quelli con potenza fino a 10 Watt, in contrasto con l’articolo 35,
    comma 4, del Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modifiche dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111 (citato
    in precedenza). Ciò comporta altresì il pagamento degli oneri per l’ottenimento del parere previsti dall’articolo 64 della
    Legge Regionale n. 221/2015. Inoltre, l’articolo 13, comma 1, della L.R. 4 novembre 2005, n. 25 prevede l’utilizzo
    della SCIA solo per impianti fino a 20 Watt, in contrasto con l’articolo 87-bis del Codice delle Comunicazioni
    Elettroniche.
    Inoltre, altre norme regionali prevedono restrizioni all’installazione degli impianti di telecomunicazione più stringenti
    rispetto a quelli definiti dalla normativa nazionale, in particolare:
    Marche. La Legge Regionale 30 marzo 2017, n. 12, recante “Disciplina regionale in materia di impianti radioelettrici ai
    fini della tutela ambientale e sanitaria della popolazione”, all’articolo 10 vieta “d) la localizzazione di impianti per
    emittenza radiofonica e televisiva sugli edifici destinati a permanenze di persone non inferiore a quattro ore […]; e) la
    localizzazione degli impianti disciplinati da questa legge su immobili vincolati con specifico provvedimento ai sensi della
    Parte Seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi
    dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) […]”. Tali disposizioni si traducono in un divieto assoluto di
    installazione in ampie aree territoriali e, in particolare, su tutti gli edifici in cui la permanenza di persone è superiore a
    quattro ore. Ciò risulta in contrasto con la normativa nazionale, la quale non prescrive divieti assoluti di installazione,
    ma unicamente limiti rigorosi alle emissioni elettromagnetiche (obiettivi di qualità). Di conseguenza, la copertura della
    rete non è garantita, soprattutto con riferimento ad intere aree urbane, dove la quasi totalità degli edifici è destinata
    alla permanenza umana superiore alle quattro ore. Inoltre, tali previsioni introducono un divieto di localizzazione sui
    beni soggetti alla tutela del Codice del Paesaggio, in contrasto con gli articoli 21 e seguenti dello stesso codice, i quali
    prevedono specifici procedimenti autorizzativi. Peraltro, la legge in questione non prevede meccanismi correttivi, quali
    deroghe ai suddetti divieti o la messa a disposizione di siti alternativi dove installare gli impianti. Ne consegue che la
    norma in esame non garantisce la localizzazione degli impianti e la copertura di rete.
    Parimenti, la Legge Regionale 11 maggio 2001, n. 11 della regione Lombardia, recante “Norme sulla protezione
    ambientale dall’esposizione a campi elettromagnetici indotti da impianti fissi per le telecomunicazioni e per la
    radiotelevisione” all’articolo 4 ha introdotto un divieto, senza alcuna deroga, di installazione di impianti con potenza
    superiore a 7W nelle aree ad alta densità abitativa; ciò potrebbe risultare incompatibile con le esigenze di corretto
    sviluppo e pianificazione della rete, non assicurando l’erogazione del servizio di telecomunicazione e, comportando, in
    taluni casi, l’installazione di un numero di impianti superiori rispetto a quelli che sarebbero stati necessari in assenza di
    tali restrizioni.
    Le criticità relative al quadro normativo-regolamentare nazionale
    In merito alle criticità riscontrate in relazione al quadro normativo regolamentare nazionale, si deve osservare che – in
    primo luogo – sarebbe auspicabile l’adozione di un indirizzo nazionale al fine di uniformare l’iter autorizzativo da
    seguire in caso di realizzazione di impianti di telecomunicazione, definendo chiaramente le procedure e i moduli da
    utilizzare e specificando le disposizioni che possono dar luogo a dubbi interpretativi e applicativi che determinano le
    problematiche suindicate.
    In secondo luogo, si osserva che i problemi di installazione degli impianti di telecomunicazione mobile saranno
    accentuati con l’avvento del 5G in relazione alla presenza di limiti elettromagnetici estremamente ridotti rispetto alla
    media degli altri Paesi europei, nonché di quanto stabilito dalla Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio 199919 e
    dal parere della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP20). Tali limiti,
    infatti, potrebbero essere incompatibili con l’installazione di impianti di telecomunicazione 5G, soprattutto con
    riferimento all’obiettivo di qualità di 6V/m, previsto dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, che è di gran lunga inferiore ai limiti
    stabiliti dalla Commissione ICNIRP (compresi tra 39V/m e 61 V/m) e utilizzati da altri Paesi europei (ad esempio,
    Francia, Germania, Regno Unito, Spagna). Peraltro, il D.P.C.M. 8 luglio 2003 (articolo 1) prevede che tali limiti si
    applichino esclusivamente ai campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse, con frequenza compresa tra 100 kHz e
    300 GHz, escludendo le sorgenti non riconducibili ai sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi.
    Infine, si osserva che, con riferimento ai criteri di misurazione dei campi elettromagnetici di cui al D.P.C.M. 8 luglio
    2003, non sono ancora state recepite le nuove metodologie di stima delle emissioni elettromagnetiche, secondo i

    19 [Cfr. Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio 1999 relativa alla limitazione dell’esposizione della popolazione ai campi
    elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz (1999/519/CE) in GUCE 30 luglio 1999, n. L 199.]
    20 [International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection.]
    criteri denominati IEC 62232:201721. Tali specifiche tecniche sono infatti necessarie per tenere conto delle
    caratteristiche elettromagnetiche di alcune nuove tipologie di impianti emittenti.
    Conclusioni
    Alla luce delle considerazioni svolte sopra, l’Autorità rileva che gli ostacoli ingiustificati all’installazione di impianti di
    telecomunicazione mobile e broadband wireless access precedentemente individuati, restringono la concorrenza nei
    mercati delle telecomunicazioni con rilevanti ricadute sui livelli di servizio erogati ai consumatori e alle imprese, nonché
    sulla competitività dell’Italia nei confronti di altri Paesi.
    Tali restrizioni, inoltre, presentano ulteriori conseguenze sui processi di installazione di nuovi impianti, in particolare: i)
    discriminando gli operatori nuovi entranti e le nuove tecnologie; ii) compromettendo l’assolvimento degli obblighi di
    copertura e iii) depauperando la qualità e la tipologia di servizi erogabili ai consumatori finali e alle imprese.
    È pertanto indispensabile che il quadro normativo regolamentare esistente, a tutti i livelli di governo, abbia come
    obiettivo la rimozione di ostacoli non necessari e la riduzione dei costi e tempi amministrativi, così da mantenere e
    ampliare i livelli di concorrenza nei mercati delle telecomunicazioni mobili e fisse, nonché la definizione di best practice
    per le amministrazioni locali volte a informare e indirizzare la propria azione amministrativa ai principi di efficienza ed
    efficacia.
    L’Autorità auspica, di conseguenza, che tutte le amministrazioni interessate dai processi anzi descritti predispongano
    azioni concrete al fine di rendere più efficiente ed efficace il procedimento autorizzatorio per l’installazione di impianti
    di telecomunicazione.
    Quanto ai regolamenti locali (comunali, provinciali) e regionali, l’Autorità auspica che le amministrazioni interessate
    definiscano i propri procedimenti amministrativi secondo i seguenti indirizzi generali:

    • eliminare le restrizioni ingiustificate all’installazione di impianti di telecomunicazione che sono state peraltro ritenute
      illegittime dalla costante giurisprudenza costituzionale e amministrativa22, quali a titolo di esempio:
      i. divieti di installazione generalizzata su ampie aree, sia per tutti gli impianti che per specifiche tipologie di
      impianti;
      ii. limiti alle emissioni più restrittivi di quelli previsti dalla normativa nazionale;
      iii. instaurazione di procedimenti non previsti dalla normativa nazionale e, nello specifico, dagli artt. 87-bis e 87-ter
      del Codice delle Comunicazioni Elettroniche e dall’articolo 35, commi 4 e 4-bis, del Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98,
      convertito con modifiche dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
      iv. richieste di pareri e certificazioni non previsti dalla normativa nazionale;
      v. imposizione di oneri economici esclusi dalla normativa nazionale;
      vi. imposizione di obblighi asimmetrici e discriminatori che valgono solamente per le nuove installazioni, con effetti
      pregiudizievoli sui nuovi operatori e sulle nuove tecnologie;
    • mettere a disposizione degli operatori di telecomunicazione tutte le informazioni relative agli impianti installati e alle
      loro caratteristiche/schede tecniche, con indicazione dei dati tecnici effettivi e non nominali, nonché relativi alle aree in
      cui è possibile la localizzazione degli impianti;
    • prevedere meccanismi che permettano la localizzazione degli impianti di telecomunicazione, che hanno la qualità di
      opere di urbanizzazione primaria, anche mediante meccanismi di deroga ai criteri di localizzazione degli impianti e
      meccanismi di proposta di siti alternativi. Inoltre, si ritiene auspicabile che i regolamenti locali individuino
      esclusivamente criteri preferenziali di localizzazione e non, al contrario di quanto riscontrato nell’esperienza, di obblighi
      e limiti alla localizzazione;
    • prevedere meccanismi di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione all’installazione di impianti, con la
      previsione di uno sportello unico tramite il quale far transitare tutte le istanze, individuando ruoli di coordinamento tra
      gli uffici della medesima amministrazione e tra amministrazioni diverse, anche utilizzando a tal fine l’istituto della
      conferenza dei servizi di cui agli articoli 14 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, e strumenti quali i protocolli di
      intesa tra amministrazioni e operatori di telecomunicazione.
      Peraltro, in relazione a singoli casi, l’Autorità si riserva di utilizzare i poteri di cui all’articolo 21-bis della legge 10
      ottobre 1990, n. 287, al fine di richiedere la rimozione di eventuali restrizioni non giustificate, idonee a incidere
      negativamente sulle dinamiche concorrenziali.
      Si auspica, inoltre, che le Regioni Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Marche, Lombardia e Valle d’Aosta, nonché le Province
      Autonome di Trento e Bolzano, rimuovano le specifiche restrizioni individuate, seguendo gli indirizzi generali suindicati.
      Quanto alla normativa nazionale, l’Autorità auspica che il Parlamento adotti misure per semplificare l’iter autorizzativo
      per l’installazione di small cell, anche in considerazione degli esiti del processo di adozione di misure di
      implementazione, avviato dalla Commissione Europea in data 6 novembre 2018, concernenti “Light deployment regime

    21 [International Electrotechnical Commission, Determination of RF field strength, power density and SAR in the vicinity of
    radiocommunication base stations for the purpose of evaluating human exposure.]
    22 [Si vedano: Corte Costituzionale, sentenze nn. 307/2003 e 331/2003, nonché ex multis Consiglio di Stato sentenze nn. 3891/2017,
    3853/2017, 2073/2017, 1361/2014, 3282/2010, 1767/2008, 3156/2007, 3452/2006, 3098/2002; Corte Costituzionale, sentenza n.
    47/2015; TAR Pescara n. 511/2013; TAR Cagliari n. 119/2010.]
    for small-area wireless access points”
    23 e che il Governo e il Ministero dello Sviluppo Economico valorizzino e rendano
    pienamente operativo lo strumento del SINFI (catasto delle infrastrutture), al fine di fornire le informazioni necessarie
    per l’installazione di impianti, la messa a disposizione delle informazioni relative alla localizzazione degli impianti e le
    loro caratteristiche tecniche24. Si auspica, infine, una verifica, con l’ausilio delle competenti commissioni scientifiche,
    quali l’Istituto Superiore della Sanità, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Commissione internazionale per la
    protezione dalle radiazioni non ionizzanti, della validità degli attuali limiti elettromagnetici e degli standard di
    misurazione, previsti dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, alla luce delle nuove tecnologie e dei nuovi strumenti in via di
    adozione.
    La presente segnalazione sarà pubblicata nel Bollettino di cui all’articolo 26 della legge n. 287/90.
    IL PRESIDENTE f.f.
    Gabriella Muscolo

     

    https://www.agcm.it/chi-siamo/collegio/gabriella-muscolo