Categoria: Politica per i nipoti

  • Il 25 aprile visto da vostro nonno Ermanno

    Cari nipoti, continuerete per tantissimi anni della vostra vita a incontrare questa data.

    Non è facile raccontarvi quello che significa per me, perché, quelli che vi diranno che è divisiva, si dimenticano di aggiungere che prima di tutto divide le coscienze. Chi, come me, non ha vissuto in prima persona il periodo fascista e la guerra, compresa quella civile, deve la propria memoria ai racconti dei padri e dei nonni.

    I miei erano antifascisti, così li ho percepiti da ragazzo, c’erano i racconti delle “squadracce” che avevano purgato il marito di Natalina, quelli di mio padre che si nascondeva nel forno per non farsi prendere e spedire a Salò, delle spiate che i fascisti del luogo facevano ai tedeschi, la “buca” in cantina dove andava a nascondersi, il racconto della donna impazzita assistendo alle torture inflitte da nazi-fascisti ai martiri di Jesi.

    I ricordi erano vivi, le persone erano vive.

    Con il passar del tempo ho conosciuto tanti “ex figli della lupa”, tirati su al grido di “credere obbedire combattere”. Nei loro occhi ho visto un lampo di orgoglio per aver vissuto quell’epoca, solo dopo ho scoperto che era semplice nostalgia per gli anni, ormai passati, della loro giovinezza. Poi ho conosciuto, sempre in questa nostra piccola comunità, i “riciclati”, quelli che da fascisti avevano cambiato pelle e diventati “democristiani”, passando da cinturone e camicia nera, all’abito buono. Ho conosciuto i rancorosi, piccoli uomini ai quali il fascismo aveva regalato una “posizione sociale” che non avrebbero mai raggiunto senza la prepotenza del regime. Quelli alla “Gabriele D’Annunzio”, che col fascismo vedevano realizzato il loro desiderio di avventura. Non ho visto negli anni postbellici, né rancore, né livore né volontà di vendetta nei confronti di nessuno di questi ex. Con tanti ho scambiato idee, chiacchiere, ricordi. Finita la guerra ha vinto il carattere mite della nostra gente.

    In maniera molto diversa ho percepito, il periodo della resistenza.

    La repubblica di Salò era lontana, il fronte stava attraversando il paesello senza fare grossi danni, notizie di stragi nei comuni intorno, di famiglie bruciate vive dai tedeschi perché aiutavano i partigiani, morti che parlavano con voci lontane. Solo andando a scuola a Jesi ho capito che non dappertutto la pacificazione era stata così facile.

    Poi, dopo un’infinità di letture, mi sono costruito un mio personale concetto su cosa significasse la parola “resistenza” . In estrema sintesi vorrei farvi capire due aspetti; quello storico, dove a seconda di chi scrive, la resistenza assume un peso ed una dignità diversa, e questo lo valuterete da soli, l’altro è quello “FONDATIVO”. Su questo non si scherza, non esiste revisionismo che tenga, è il pilastro su cui poggia la Repubblica, questo non è trattabile. Non importa quanti continueranno a parlare dei mitici tempi di Mussolini, quanti racconteranno dei misfatti dei partigiani, quanti parleranno del mito della resistenza in maniera negativa. Andrete a votare secondo le vostre idee, voterete per la sinistra o la destra, sarete moderati o radicali, ma non dimenticate mai quelli che vi hanno permesso questa libertà di scelta. E’ questo principio che si festeggia il 25 aprile, è fuso all’interno della bandiera italiana. Capirete leggendo e studiando, quanto questo abbia contribuito a non farci cadere tra le braccia di altre dittature.

    Giorgio Pisanò disse a Vittorio Foa: ‘Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano’. Foa gli rispose: ‘E’ vero abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere’.

    Ciao monelli.

  • In questo modo Mosca finanziava il PCI

    In questo modo Mosca finanziava il PCI

    ROMA – Ventitré milioni e 300 mila dollari in sette anni. Dal ’70 al ’77 questa è la cifra versata dai sovietici ai comunisti italiani, secondo quanto si ricava dal “rapporto Impedian numero 122” del dossier Mitrokhin. Ventitrè milioni di dollari, con un andamento irregolare negli anni, corrisposti nel giardino della villa dell’ambasciatore dell’Urss a Roma nelle mani, in una prima fase, di Anelito Barontini, funzionario del partito e uomo al quale Armando Cossutta, che sovraintendeva al flusso finanziario delegava le delicate funzioni.

    E’ Cossutta che tiene i conti, Cossutta che chiede di aumentare i finanziamenti (nel 1970, poi nel 1974), sempre Cossutta che viene convocato all’ambasciata da Rizhov, l’ambasciatore, funzionario del comitato centrale del Pcus, e da Genrikh Pavlovich Smirnov, primo segretario dell’ambasciata, funzionario del dipartimento internazionale del Pcus al momento in cui i dollari giungono in Italia. Chi riceve i soldi (Barontini) firma le ricevute e va.

    L’informativa descrive meticolosamente le modalità del trasferimento del danaro. Da Mosca arriva al “Centro” del Kgb romano la notizia della disponibilità della somma. L’ambasciatore o il primo segretario lo comunica a Cossutta. L’esponente politico allerta Barontini, in codice col nome “Klaudio”, che deve effettuare la delicata missione di trasporto. Si legge dal rapporto: “Si trattava di un metodo da lungo tempo sperimentato. Si riteneva poco intelligente coinvolgere il residente del Kgb nel caso esistessero dei funzionari del controspionaggio nei ruoli guida del Pci”. Si voleva dunque evitare l’ipotesi, quantunque remota, di essere intercettati da funzionari di Botteghe oscure al servizio del controspionaggio italiano e perciò nemici. E allora si conveniva di realizzare l’operazione secondo modalità sperimentate, che il rapporto illustra: “L’operazione (avveniva) in serata nei giardini della villa dell’ambasciata sovietica. “Klaudio” doveva entrare in macchina nei giardini dopo aver effettuato controlli di controsorveglianza”. Bisognava infatti “concludere l’operazione nella villa e non in città”, perchè dava meno nell’occhio, “era normale per funzionari del Pci capitare nella villa …”. “Klaudio” raggiungeva l’ambasciata da solo alla guida, con una macchina di scorta del partito che lo seguiva e che provvedeva a tutelare la sua incolumità fino alla destinazione finale.

    Ciò nonostante i sovietici ritengono ad alto rischio l’operazione. Nel ’76 il Kgb, in un incontro con Guido Cappelloni, si decidono altri sistemi per garantire la sicurezza e la riservatezza del trasbordo. Il luogo convenuto non è più l’ambasciata, ma zone presumibilmente esterne alla residenza diplomatica. L’area viene bonificata congiuntamente da sovietici e italiani: due auto, una del Kgb e l’altra di Botteghe oscure fanno opera di “controsorveglianza”. Malgrado l’aumento dell’attenzione il Kgb insiste perchè la frequenza della consegna dei dollari sia ridotta a 2-3 volte l’ anno, invece che ogni due mesi. E’ Vladimir Zagladim, uomo del Pcus, a indicare le diverse modalità di pagamento, garantendo che il saldo finale di quanto convenuto non muta.

    Anche i sovietici vengono burlati dai falsari. Nel 1969 (ma il rapporto non indica la somma stanziata in quell’anno) e nel 1972 molti biglietti da 100 dollari risultano falsi. Ci sono i soldi, ma ci sono anche le aziende con una sostenuta attività di export. Infatti in quegli anni il rapporto finanziario con Mosca si articola anche in varie società commerciali, partecipate dal Pci, che hanno in Urss quote importanti del fatturato. Attività descritte così nel dossier: “Distribuzione di petrolio dall’Urss all’Italia attraverso il gruppo Monti; acquisto di tre trasportatori di ammoniaca dalla società Efim-Breda; costruzione di alberghi in Urss; fornitura di componenti atomiche; cooperazione ad ampio raggio con la società Finmeccanica…”. Anche i socialisti del Psiup hanno chiesto e ottenuto attenzione economica dal Kgb. Quasi quattro milioni di dollari (rapporto numero 126), tra il 69 e il 72, sono giunti nelle casse del Partito socialista di unità proletaria, consegnati a Francesco Lami, nome in codice “Aleksandr”. La fonte è un ex agente, “di provata affidabilità”. E, con il Psiup, pure i comunisti di San Marino hanno ricevuto un po’ di sollievo: 100mila dollari è il conto tra il ’70 e il ’77

  • Il più “bravo” dittatore della storia moderna

    Questo è Thomas Sankara, il miglior leader africano della storia contemporanea. Negli anni dal 1983 al 1987 ha trasformato la colonia francese in Africa dell’ovest chiamata Alto Volta in una delle nazioni più sviluppata dell’ Africa, il Burkina Faso.

    Sankara ottenne il potere grazie a un colpo di stato nel 1983, e fu il presidente per soli 4 anni. Durante la sua “dittatura” furono raggiunti tutti questi obiettivi:

    • 2,5 milioni di persone furono vaccinate contro la meningite, la febbre gialla e il morbillo. In solo una settimana!
    • Portò l’alfabetizzazione del suo paese dal 13% quando salì al potere fino al 73% nel 1987.
    • Per combattere la deforestazione fece piantare dieci milioni di alberi.
    • Rese fuorilegge la mutilazione genitale femminile e i matrimoni forzati, oltre a permettere alle donne di ricoprire cariche al governo.
    • Ha venduto la flotta di Mercedes usate dal governo per acquistare macchine più economiche.
    • Ha vietato a se stesso e agli ufficiali del governo di volare in prima classe negli aerei.
    • Ha portato il suo paese all’autosufficienza ( per quanto riguarda il cibo) ridistribuendo i campi di terra agli abitanti. La produzione di grano aumentò da 1700Kg per ettaro fino a 3800Kg per ettaro.
    • Ha abbassato il suo salario a soli 450$ al mese e si rifiutò di utilizzare l’aria condizionata nel suo ufficio dicendo che se nessun altro avesse potuto utilizzarla, non l’avrebbe fatto manco lui.
    • Ha aperto il primo supermercato del paese.

    Inoltre, ha cambiato il nome dello stato in “Burkina Faso”, che letteralmente vuol dire “Il paese degli uomini liberi”.Rifiutò qualsiasi tipo di aiuto esterno per la sua nazione affermando che “ Chiunque ti sfama, ti controlla” . Per collegare meglio lo stato costruì una rete di ferrovie per tutto il territorio.

    E fece tutto questo con zero aiuti esterni.

    Comunque, fu anche abbastanza autoritario, in quanto abolì i sindacati e la libertà di stampa, perché riteneva che potessero intralciare la strada per i suoi obiettivi. Per contrastare l’opposizione trovò tutti i “lavoratori pigri” e i rivoluzionari e li imprigionò.

    Nonostante tutte le buone cose, Sankara fu assassinato nel 1987, in un colpo di stato condotto da Blaise Comparoè, suo vicepresidente e fidato amico. Dietro questo colpo di stato c’erano la Costa d’Avorio e la Francia che avrebbero voluto Blaise al potere.

    E, da allora, la nazione è in declino sempre maggiore, in quanto Blaise ha annullato molte delle buone cose fatte da Sankara. Rimase presidente fino al 2014, quando fu spodestato.

    Sankara era il simbolo del potenziale dell’ Africa, libero da imperialismo, povertà e corruzione. Fu un sostenitore della teoria della pan-Africa, un’ Africa tutta unita. Chissà cosa avrebbe potuto fare se solo avesse avuto altri quattro anni? O magari altri 10 o 20?

    Il nostro mondo potrebbe essere completamente diverso ora…

  • El Che

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  • La mollezza del potere e la resa al caos

    La mollezza del potere e la resa al caos

    La mollezza del potere e la resa al caos

    A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire, predicava Guglielmo di Occam, quello del rasoio. Eppure. Non sembra che alcun governante europeo se lo ricordi. Si interrogano, quando ne hanno voglia, su come uscire dall’angolo o inseguono la pancia degli arrabbiati, il più delle volte, senza capire che è inutile trovare un obiettivo contro cui prendersela invece di cercare di affrontare di petto la globalizzazione. In tre casi, in questi ultimi tempi, abbiamo assistito alla mollezza del potere, quello delle presunte élite, come dei nuovi sovranisti, che contro élite vorrebbero una rivoluzione. Persino nella democrazia più antica del mondo ci si sta arrendendo al caos. In Francia, in Gran Bretagna, in Italia, si innestano clamorose marce indietro in una situazione di caos.Se qualcuno si fosse preso la briga di leggere con attenzione il clamoroso manifesto in quaranta punti dei Gilet Gialli, scesi in piazza per un aumento della benzina di pochi centesimi e finiti per bloccare non solo Parigi, ma un intero paese, avrebbe capito che dietro c’è una mente molto raffinata. Nel documento, che la sinistra potrebbe tranquillamente trasformare in programma politico, si chiedono una serie di cose molto precise per ridurre le disuguaglianze che affliggono tutti i paesi occidentali: salario minimo di 15.000 euro, scala mobile, pensioni almeno a 1.300 euro, ripresa delle piccole opere pubbliche, utilizzo dei pedaggi per le manutenzioni stradali, riaperture delle piccole scuole e dei piccoli uffici postali, divieto di aprire grandi magazzini nelle zone rurali, web tax contro gli over the top. I Gilet Gialli hanno capito, più di chiunque altro abbia responsabilità di governo, che il pericolo oggi arriva dai grandi monopoli digitali che sono talmente transnazionali da permettersi di tenere parcheggiata in Europa una liquidità di 450 miliardi di euro. Una ricchezza fine a se stessa, nella maggioranza dei casi. E mentre Amazon, Apple, Facebook, lavorano per prendere il posto delle banche, delle officine e della logistica tutta, si pensa ai decimali di Maastricht. Emmanuel Macron, pur in calo di popolarità, resta un banchiere e ha capito che è molto meglio ritirare l’odiata tassa ecologica piuttosto che essere travolti da novelli sanculotti. E forse non basterà, perché restano da adempiere gli altri trentanove punti del manifesto rivoltoso.
    La retromarcia francese fa il paio con quella che potrebbe apprestarsi a fare la Gran Bretagna. Oltremanica tardivamente hanno scoperto, grazie al Procuratore Generale, che l’accordo della premier Theresa May non solo è molto peggio di quello del suo predecessore David Cameron, ma trasformerà la Brexit in una gabbia da cui gli inglesi non riusciranno mai a liberarsi veramente, lasciando l’Irlanda del Nord nell’Ue e abbandonando invece il mercato unico. A Westminster si affilano i coltelli per mandare il gabinetto a casa ma intanto gli scozzesi si sono fatti dare un parere dalla Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo per cui, si sensi dell’articolo 50 del trattato, si può anche ritirare la notifica della sciagurata decisione di uscire dall’Ue e riportare le lancette indietro al 2016. Hanno sempre visto lungo da quelle parti, dai tempi delle vedove che sapevano dove ben investire. In questo caso, più che alla rabbia dei neo rivoluzionari francesi o dei brexiters più duri, ci si sta arrendendo al righello dei burocrati di Bruxelles, perché pare essere la soluzione alla fine migliore.
    E anche il sovranismo nostrano ha innestato da qualche giorno una poderosa inversione a U. Il governo Conte, consapevole che in far di recessione insistere su una previsione di crescita impossibile nel 2019 avrebbe comportato mandare in aria tutti i conti pubblici e una stretta creditizia, ha deciso di lasciare fuori dalla manovra (per ora) sia il reddito di cittadinanza che la revisione della legge Fornero sulle pensioni. Tutti hanno sottolineato che sull’esecutivo gialloverde avrebbero prevalso la forza molle dei commissari europei, la tirannia dello spread, l’accigliato Moscovici e i moniti del preoccupato Draghi, quando invece anche Lega e Cinquestelle hanno capito che in Italia, paese ricchissimo con uno stato povero, più che il popolo comanda il risparmio, unico sovrano, insieme ai contribuenti. Forse anche per questo i gilet li hanno indossati gli imprenditori, non la classe media arrabbiata transalpina. Gli industriali sono proprio coloro che dovrebbero sapere che il nemico è alle porte e non si nasconde in un emendamento alla manovra, bensì arriva da settori che non presidiano. Un colosso manifatturiero partito dalla mela dei Beatles apre una modalità di pagamento universale, uno spedizioniere planetario si appresta a fare la banca, un social network vende notizie, pubblicità e identità. D’altronde Steve Jobs lo aveva predetto: banking is necessary, banks not. Siamo a quel punto.
    Contro i veri attori della decrescita serve un’azione comune, senza fingere che i problemi siano altri, la Commissione, gli immigrati, Trump o Putin. E’ del tutto inutile innestare improvvise retromarce, perché denunciano la mancanza di una strategia. Il potere è sempre più debole e gli amministrati sempre più arrabbiati.

  • Il grillismo e il “fascismo eterno” (U.Eco)

    Il grillismo e il “fascismo eterno” (U.Eco)

    Con l’elezione di Roberta Lombardi a capogruppo m5s alla Camera, è venuto fuori un suo post del 21 gennaio scorso, a ridosso dell’apertura di Grillo a CasaPound,  intitolato “Italia sotto formaldeide”, nel quale spunta fuori un paragrafo che suona a elogio, sia pure indiretto, del fascismo. La Lombardi difende il suo Capo, sostenendo che comunque

    “da quello che conosco di Casapound, del fascismo hanno conservato solo la parte folcloristica (se vogliamo dire così), razzista e sprangaiola. Che non comprende l’ideologia del fascismo, che prima che degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello stato e la tutela della famiglia. Quindi come si vede Casapound non è il fascismo ma una parte del fascismo. E quindi solo in parte riconducibile ad esso.”

    “Infortunio” o vero e proprio  coming out? Con un’argomentazione un po’ contorta, la Lombardi vuole dimostrare che non contano i simboli (folcloristici) di ideologie che hanno esaurito la propria funzione, e che dunque esse non rappresentano una minaccia presente, ergo, lo sdoganamento di CasaPound ci può stare, anche perché il fascismo, prima di degenerare, era tutt’altra cosa. E non si possono certo confondere i clowns di CasaPound col vero fascismo!

    Ora , questo ragionamento un po’ scombinato e piuttosto avventuroso, di negazione/affermazione, mette per l’ennesima volta in luce la psicologia di massa del fascismo nel nostro sventurato Paese, che risorge al di là dei simboli, e i cui coming out conosciamo (o dovremmo conoscere) abbastanza bene attraverso le innumerevoli sparate dei leghisti, dei Bossi, dei Borghezio, dei Gentilini, di Berlusconi. Fenomeno che risale allo sdoganamento del Movimento Sociale Italiano da parte dello stesso Berlusconi, e ancora prima da parte di Craxi, che non a caso veniva chiamato Benito e non Bettino!

    Forse chiunque di noi ha conosciuto amici, giovani e meno giovani, a volte già “di sinistra”, che nel corso dell’ultimo decennio (o anche prima) hanno espresso coming out simili, improvvisamente dichiarandosi prima berlusconian-fascisti e poi fascisti tout court, con una sorta di liberazione, di sollievo, “ah! Adesso l’ho detto!”. Con il ritiro progressivo dell’egemonia culturale della sinistra, più apparente che reale, favorito dal riposizionamento a destra del PD, sempre più persone, anche fra sedicenti “alternativi”, si sono ritrovate in  sintonia psicologica e culturale col fascismo eterno, o Ur-fascismo, che non era mai morto nel proprio ambiente familiare e quotidiano.

    La nozione di ur-fascismo è stata richiamata in questi giorni da wumingfoundation.com/giap/ , e risale a un articolo del 1995  di Umberto Eco, intitolato “Totalitarismo fuzzy e ur-fascismo”, successivamente divulgato come Il fascismo eterno. Eco si chiede : “ma chi sono loro?”, i “fascisti”?

    “Se pensiamo ancora ai governi totalitari che dominarono l’Europa prima della seconda guerra mondiale, possiamo dire con tranquillità che sarebbe difficile vederli ritornare nella stessa forma in circostanze storiche diverse… Tuttavia, anche se i regimi politici possono venire rovesciati, e le ideologie criticate e delegittimate, dietro un regime e la sua ideologia c’è sempre un modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali, una nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni. C’è dunque ancora un altro fantasma che si aggira per l’Europa (per non parlare di altre parti del mondo)?”.

    Secondo Eco,

    “Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia.  Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Si può dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire – riuscendo ad avere all’estero più successo di Armani, Benetton o Versace. “.

    E dunque il fascismo, contrariamente a quel che pensa la Lombardi, creò fin dall’inizio, “prima che degenerasse”, un folclore, una liturgia, che poi negli anni Trenta venne ripreso in altri Paesi europei, e perfino fuori dall’Europa.

    “Fu il fascismo italiano a convincere molti leader liberali europei che il nuovo regime stesse attuando interessanti riforme sociali in grado di fornire una alternativa moderatamente rivoluzionaria alla minaccia comunista”.  Una controrivoluzione preventiva, o una “rivoluzione conservatrice”.

    Perché allora parliamo di ur-fascismo, di fascismo eterno, originario o prototipico, una denominazione pars pro toto per movimenti totalitari diversi?

    Non è sufficiente ritenere che il fascismo italiano venne prima, o che conteneva in sé  “tutti gli elementi dei totalitarismi successivi, per così dire, “in stato quintessenziale”. Al contrario, il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo fuzzy ( un insieme “sfumato”, “confuso”, “impreciso”, “sfocato”).Il fascismo non era una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni.”

    Sono considerazioni simili a quelle che, come abbiamo visto ne Il-popolo-delle-scimmie-da-kipling-a-gramsci/, avevano già svolto Antonio Gramsci ed Emilio Lussu, “in diretta”. Il fascismo fu un alveare di contraddizioni, tanto da passare tranquillamente dallo spirito repubblicano alla monarchia alla “repubblica sociale” , “arricchita di accentuazioni quasi giacobine”, nel 1943. Mentre il nazismo e lo stalinismo imposero un’arte e una cultura monolitica, il fascismo accostò insieme D’Annunzio, Marinetti e le tradizioni rurali. Nelle associazioni studentesche (GUF, Gruppi Universitari Fascisti), circolavano nuove idee “senza nessun reale controllo ideologico, non tanto perché gli uomini di partito fossero tolleranti, quanto perché pochi di loro possedevano gli strumenti intellettuali per controllarle.”. Non si trattava di tolleranza, ma sgangheratezza politica e ideologica:

    “Ma era una “sgangheratezza ordinata”, una confusione strutturata. Il fascismo era filosoficamente scardinato, ma dal punto di vista emotivo era fermamente incernierato ad alcuni archetipi.”.

    Sono proprio questi archetipi emotivi a comporre una lista di caratteristiche tipiche dell’ur-fascismo o fascismo eterno. Mentre il nazismo fu uno e uno solo,

    “Al contrario, si può giocare al fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia. Succede alla nozione di “fascismo” quel che, secondo Wittgenstein, accade alla nozione di “gioco”.  Il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. “.

    Il fascismo era sgangherato, confuso e contraddittorio, ma ciononostante si possono indicare delle caratteristiche che, pur non potendosi irreggimentare in un sistema, perché molte si contraddicono reciprocamente, o sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo, coagulano una nebulosa fascista a partire anche soltanto di una di esse. L’ur-fascismo è esattamente questa nebulosa generata da una o più caratteristiche, come un codice genetico.

    Eco fa dunque la seguente lista di queste caratteristiche (che potete leggere integralmente qui  http://funkallero.altervista.org/wp-content/uploads/2013/02/fascismo_eco2.pdf ):

    • il culto della tradizione e il sincretismo,
    • il rifiuto del mondo moderno e del modernismo,
    • l’irrazionalismo, il culto dell’azione per l’azione il rifiuto della cultura e della critica (“Quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola” Goebbels),
    • il sincretismo (“Per l’Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento) e la paura della differenza(“contro gli intrusi”),
    • l’appello alla frustrazione individuale o sociale (alle classi medie frustrate, compresi gli ex proletari divenuti piccola borghesia),
    • il nazionalismo (come “privilegio”  e ideologia offerti a chi non ha alcuna identità sociale, contro i nemici),
    • l’ossessione del complotto, (possibilmente internazionale, i seguaci debbono sentirsi assediati),
    • la xenofobia e l’antisemitismo,
    • l’umiliazione di fronte a nemici che appaiono allo stesso tempo “troppo forti e troppo deboli”,
    • la guerra permanente (“Siamo in guerra”) e il “complesso di Armageddon” (ci sarà una “battaglia finale”, a seguito della quale il movimento avrà il controllo del mondo; dopo la soluzione finale, ci sarà un’Era di pace, una nuova Età dell’Oro),
    •  l’elitismo popolare (Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito) (Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un “dominatore”. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa),
    • il culto dell’eroismo e della morte (non solo quella “eroica”, propria, ma soprattutto quella degli altri, a cui si sopravvive, E.Canetti),
    • il machismo e i giochi di guerra;
    • il populismo qualitativo, il popolo come entità monolitica che esprime la “volontà comune”; ma dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete (il Megafono):  Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”. A ragione del suo populismo qualitativo, l’Ur-Fascismo deve opporsi ai`putridi” governi parlamentari. (ciò veniva scritto nel 1995, e la scimmia genovese era ancora ben lungi dall’improvvisarsi arruffapopolo);  una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel parlamento italiano fu: “Avrei potuto trasformare quest’aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli.” Di fatto, trovò immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquidò il parlamento. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la “voce del popolo”, possiamo sentire l’odore di Ur-Fascismo.
    • La “neolingua”, da 1984 (G.Orwell), tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow (o del “comizio” di un comico).

    Dunque, questa è una possibile lista che ognuno può sviscerare e approfondire a piacimento. Se in questa lista vi sembra riconoscere alcuni aspetti familiari del berlusconismo e del leghismo prima, del grillismo poi, non vi preoccupate, è proprio così:

    “L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!”

    Ciò sarebbe folclore, direbbe la Lombardi.

    “Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo. Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai. Che sia questo il nostro motto: “Non dimenticate”.

  • Analfabetismo funzionale, cultura di massa e fascismo: Umberto Eco ci aveva avvisati

    Analfabetismo funzionale, cultura di massa e fascismo: Umberto Eco ci aveva avvisati

    Sarebbe bello dire che Umberto Eco (Alessandria, 5 gennaio 1932 – Milano, 19 febbraio 2016) si sbagliava, sarebbe come dare un po’ di speranza sul futuro di una società che ha smesso di essere popolo e ha ormai assunto la forma di uno sciame, una massa informe. Sarebbe bello, ma non sarebbe intellettualmente corretto.

    Chissà cosa avrebbe detto Umberto Eco quando alla sua morte iniziò a diffondersi capillarmente nella rete quella che doveva essere una sua citazione:

    Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro.

    Le abbiamo lette ovunque accompagnate dal suo volto, eppure non sono parole sue. Umberto Eco questo concetto l’ha espresso diversamente, e molto meglio, in La bustina di Minerva, l’ultima pagina che curava per L’espresso:

    Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra ricchezza rispetto all’analfabeta (o di chi, alfabeta, non legge) è che lui sta vivendo e vivrà solo la sua vita e noi ne abbiamo vissuto moltissime. Ricordiamo, insieme ai nostri giochi d’infanzia, quelli di Proust, abbiamo spasimato per il nostro amore ma anche per quello di Piramo e Tisbe, abbiamo assimilato qualcosa della saggezza di Solone, abbiamo rabbrividito per certe notti di vento a Sant’Elena e ci ripetiamo, insieme alla fiaba che ci ha raccontato la nonna, quella che aveva raccontato Sherazade.

    Chiunque abbia letto Il nome della rosa, il best seller uscito nel 1980, ha sicuramente presente la quantità di citazioni e riferimenti puntuali con cui Eco ha riempito il romanzo, perché in quanto intellettuale era suo compito pretendere una correttezza metodologica anche all’interno di un prodotto creato per la massa.

    Non gli farebbe piacere sapere che qualcuno gli ha messo in bocca parole che non ha mai detto, ma non ne sarebbe sorpreso. Nella citazione originale si percepisce il suo biasimo nei confronti di coloro che non leggono, un biasimo che è espresso senza mezze misure in quest’altra citazione, tratta da Quanti libri non abbiamo letto?:

    Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro. Dovrebbero preoccuparsi solo coloro che di libri non ne leggono mai. Ma proprio per questa ragione essi sono gli unici che non avranno mai preoccupazioni di questo genere.

    La sua opinione sul fenomeno degli analfabeti funzionali e le sue critiche verso le «legioni di imbecilli» sono state percepite come offensive da coloro che si sono sentiti presi in causa. Il messaggio era chiaro, la comunicazione era riuscita perfettamente.

    Umberto Eco è stato il maggiore esperto di comunicazione in Italia, colui che ha capito l’importanza di quest’azione che si svolge quotidianamente con mezzi diversi, che siano orali o scritti. È stato lui a fondare il corso di Scienze della Comunicazione negli anni Ottanta e ancora prima, nel 1971, il DAMS dell’Università di Bologna, e a tenere corsi dedicati alla comunicazione in svariate università in Italia e all’estero.

    Di fronte al suo prestigio dovremmo fare un passo indietro e dare ascolto alle sue parole, alle sue raccomandazioni, perché «di qualsiasi cosa i mass media si stanno occupando oggi, l’università se ne è occupata venti anni fa e quello di cui si occupa oggi l’università sarà riportato dai mass media tra vent’anni».

    Prima di internet e dei social per parlare, o scrivere, ad un grande numero di persone bisognava prima averne acquisito il diritto. Ora è come se chiunque potesse salire su un palco di fronte a un pubblico potenzialmente illimitato, dire quello che vuole senza assumersene le responsabilità, essere acclamato o criticato, e tornare alla sua vita.

    Quello che dice potrebbe essere – e spesso lo è – una falsità, ma la maggior parte della massa, disabituata a un atteggiamento critico verso ciò che sente, gli crederebbe e contribuirebbe a diffonderla. Gli esempi sono sotto i nostri occhi ogni giorno.

    Umberto Eco, esperto della cultura di massa e dei mass media, è stato tra i primi ad avvisarci di questo pericolo e non solo. Nel libro Il fascismo eterno, edito dalla Nave di Teseo nel gennaio 2018 (precedentemente era uscito nel 1997 col titolo Cinque scritti morali), è contenuta una lezione che Eco tenne nel 1995 alla New York Review of Books, nella quale individuava una correlazione tra dittatura e cultura di massa.

    Le caratteristiche ricorrenti sono il culto dell’azione per l’azione, il disaccordo come tradimento, la paura delle differenze, l’appello alle classi medie frustrate, il populismo qualitativo e altre ancora, tutte forme smascherate nel loro riprodursi da sempre.

    Non penso sia un caso che questo libro sia stato riproposto in Francia durante le scorse elezioni e adesso in Italia, in un periodo storico in cui, tra accuse di esagerazione e dubbi, si sta assistendo alla ricomparsa di fatti dalle sembianze storicamente note.

  • Uno vale uno

    Uno vale uno

    Mariacristina Ferraioli

    Il movimento 5 Stelle presumibilmente vincerà le elezioni e non lo farà per via della tanto decantata onestà. Parliamoci chiaro, se l’onestà fosse un valore diffuso e condiviso per questo paese non avremmo il tasso più alto di lavoro nero d’Europa né il più alto numero di evasori fiscali. I 5 Stelle vinceranno perché hanno sedotto quella parte del paese inetta e rancorosa con l’idea che siamo tutti uguali e che lo studio, l’impegno e il sacrificio nella vita siano in fondo un dato relativo. Perché uno vale uno, come nella Fattoria degli animali di Orwell, in nome di una libertà che è in realtà la peggiore forma di dittatura. Così ci ritroviamo un Di Maio che si sente De Gasperi, pur senza averlo mai sentito neanche nominare De Gasperi, una cloaca di sprovveduti che discute di economia o di politica internazionale senza mai aver aperto un manuale di storia e soprattutto una società di persone che pensano di potersi sedere di fronte a chiunque per discutere di qualsiasi cosa. Le conseguenze sociali del movimento 5 Stelle vanno oltre la barzelletta di avere un premier come Di Maio che coniuga i verbi peggio dello studente che ho bocciato lo scorso anno. Il vero dramma causato dai cinque stelle è che hanno offerto la spalla a qualsiasi persona di sentirsi all’altezza di parlare di ogni cosa. Oltre la medicina, oltre chi ha passato la vita nei laboratori e a studiare, oltre i premi Nobel. È gente che non ha coscienza di cosa sia lo studio e quanto sacrificio ci sia dietro ad una ricerca, dietro ad una professione, che non pensano ai ragazzi che hanno passato la vita sui libri per far progredire questo paese. È la presunzione fine a se stessa. L’onestà di cui il movimento si riempie la bocca continuamente non è un vanto. È il grado zero della civiltà cosa che sarebbe nota perfino a loro se avessero studiato un po’ di latino. Occupare un posto che non si è in grado di occupare, essere pagati per un lavoro che non si è grado di fare quella è la peggiore forma di disonestà civile. E come diceva quel vecchio saggio di Seneca “la vergogna dovrebbe proibire a ognuno di noi di fare ciò che le leggi non proibiscono”.