Il giornale La Repubblica titola “Il vaccino, è vero, protegge poco o nulla dall’infezione, ma è sempre un’arma molto efficace ”contro la ‘malattia grave””, con che base scientifica quindi buona parte della popolazione italiana è stata emarginata?
Vedi, il problema non è la base scientifica. Il problema è la psicologia.
Io potrei fornirti una sfilza di studi scientifici che mostrano i dati sull’efficacia dei vaccini anti-covid contro il contagio dalla variante originale e dalla delta. Potrei anche mostrare tutti i dati sull’occupazione delle terapie intensive in mezzo mondo, la cui saturazione rendeva fondamentale l’abbassamento della quantità di malati gravi, per cui era importante che ci si vaccinasse anche solo per evitare di occupare altri posti letto.
Ma sarebbe inutile.
Se io mostrassi un articolo preso da una rivista scientifica che dimostra che i vaccini hanno avuto una buona efficacia contro i contagi nel 2021 e parte del 2022, e un’ottima efficacia contro la malattia grave sempre, la risposta che susciterei nel novax di turno sarebbe una delle seguenti:
Mi direbbe che quella non è “vera scienza”, magari corroborando tale tesi con un link ad un post su Facebook o ad un video su YouTube che dimostrino ciò che debba intendersi per “vera scienza”.
Elencherebbe dati di segno opposto, ma senza fonti. Una eventuale richiesta in tal senso non verrebbe mai soddisfatta, o al massimo otterrebbe un altro post su Facebook o un altro video su YouTube.
Mi citerebbe le parole di Tizio, che è uno scienziato famoso e che sta spesso in televisione. Come mi permetto io, che non sono nessuno, di dire il contrario di quello che dice l’esimio Tizio? Ovviamente il tentativo di seguire lo stesso ragionamento, ignorandone quindi la palese fallacia, ed elencare una sfilza di scienziati famosi che la pensano al contrario di Tizio sortirebbe l’unico effetto di ascriverli tutti seduta stante alla comunità degli stipendiati da Bigfarma.
Mi rimanderebbe ad articoli scientifici pubblicati su riviste di quart’ordine che risultano noti esclusivamente in ambienti novax e dei quali nessuno nella comunità scientifica ha mai sentito parlare a causa della loro totale irrilevanza. Gli unici scienziati a conoscenza di uno studio del genere sono di solito quelli che l’hanno scritto e quelli che tipicamente hanno pubblicato un successivo articolo di aspra critica o smentita nei confronti del primo. Tale articolo, però, oltre ad essere del tutto sconosciuto tra gli scienziati, lo è pure tra i novax.
Mi farebbe un elenco di politici italiani che hanno detto questo e quello e perciò sono degli infami traditori della patria, e quindi io mi devo vergognare. Qui il mio problema è che difficilmente capisco a cosa ci si riferisca, perché di solito sono concetti travasati direttamente da titoli di quotidiani italiani rispetto ai quali pratico il più assoluto disinteresse. Vengo quindi sommerso da un torrente di dissonanza cognitiva nel tentativo di far comunicare le informazioni scientifiche rispetto all’efficacia di un vaccino somministrato su tutto il pianeta per combattere una pandemia, con quello che avrebbe detto Speranza da Floris un anno fa a proposito del green pass italiano. Davanti ai miei occhi chiusi si incrociano istogrammi di Science con selfie di Salvini, le formule dei modelli epidemiologici di Nature con i titoli a otto colonne dedicati a una vigilessa no-vax da “La Verità”. E mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni e la presente e viva. Ma più le morte.
Mi accuserebbe di aver subìto il lavaggio del cervello da parte dei media. Giusto a titolo di esempio citerei quella volta in cui fui accusato di essermi fatto rincretinire a furia di televisione anziché informarmi dalle fonti scientifiche. Detto a un ricercatore che all’epoca viveva dentro un campus universitario, stava lavorando ad una meta-analisi della letteratura scientifica sul covid, e la cui televisione prendeva solo canali arabi.
Mi coprirebbe direttamente di insulti.
Tutto questo verrebbe avanzato mediante commenti tendenzialmente sgrammaticati e PARZIALMENTE IN MAIUSCOLO, perché con le lettere grosse il sistema si combatte meglio.
Quello che difficilmente otterrei sarebbe una critica nel merito. Non vorrei pensarlo, ma ahimè temo che il motivo principale sia la mera incapacità dell’accanito interlocutore di leggere e comprendere uno studio scientifico, oltretutto in inglese. Che sarebbe anche una cosa normale, visto che parliamo di letteratura specialistica. Il problema è che questo diventa sufficiente perché il fiero sovvertitore di greggi assuma che in quell’articolo debbano esserci scritte solo fregnacce, mentre quel tizio che fa le stories su Instagram sì che parla chiaro.
Ecco, queste sono le principali motivazioni per cui non ripeterò per l’ennesima volta quali siano le basi scientifiche di cui si parla nella domanda. Non ritenendo che la domanda stessa sia posta con l’intento sincero di imparare qualcosa, ma piuttosto con quello di provocare un ennesimo battibecco ideologico, temo che mi ritroverei immerso fino al collo in uno dei casi elencati sopra.
E a ‘na certa il navigar non m’è mica tanto dolce, in questo mare.
Medico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Genova
pubblicata il 25/05/2022
Nel febbraio 1957, un nuovo virus dell’influenza A (H2N2) emerse in Asia orientale, innescando la pandemia di “influenza asiatica” [1].
Il virus H2N2 era composto da un riassortimento di un virus influenzale umano e del virus dell’influenza aviaria A, avvenuto presumibilmente nel Guizhou, nel sud della Cina [1] [2][3] [4] [5].
Segnalato per la prima volta a Singapore nel febbraio 1957, si diffuse a Hong Kong nell’aprile e nelle città costiere degli Stati Uniti nell’estate dello stesso anno [1] [2].
A diversi mesi dalla comparsa del nuovo patogeno, furono segnalati numerosi casi di infezione, specialmente nei bambini, negli anziani e nelle donne incinte [6]: l’impennata dei contagi risultò in un’ondata pandemica che colpì l’emisfero settentrionale nel novembre 1957 [6].
Riguardo le manifestazioni cliniche di malattia, alcuni individui infetti manifestavano solo sintomi minori, come tosse e febbre lieve, mentre altri presentavano complicazioni potenzialmente letali come la polmonite [6] [7].
La pandemia di influenza Asiatica fu tra le più letali della storia [8]: nonostante la scarsità dei dati disponibili si stima, infatti, che il numero di morti sia stato tra 1 e 4 milioni in tutto il mondo e solo in Italia si contarono 70.000 vittime [9].
L’Asiatica fu la seconda grande pandemia influenzale verificatasi nel XX secolo, dopo la pandemia influenzale del 1918-19 e prima della pandemia influenzale del 1968 [6].
Nel 1960 il ceppo umano pandemico H2N2 subì una serie di modifiche genetiche minori, secondo il processo noto come deriva antigenica, producendo epidemie periodiche [6].
Dopo 10 anni di evoluzione, il virus dell’influenza del 1957 scomparve, sostituito attraverso lo spostamento antigenico da un nuovo sottotipo di influenza A, H3N2, che diede origine alla pandemia influenzale del 1968 [6] [10].
Il rapido sviluppo di un vaccino contro il virus H2N2 e la disponibilità di antibiotici per il trattamento delle infezioni secondarie limitarono la diffusione e la mortalità della pandemia del 1957 [6].
Full Professor of History of Medicine and Human Sciences University of Sassari, Italy. SISUMed- Società Italiana di Scienze Umane in Medicina – Roma – La Sapienza.
pubblicata il 02/03/2021
aggiornata il 14/01/2022
L’attenzione verso la prima pandemia del XX secolo si è risvegliata in questi ultimi mesi, spinta dall’esigenza di approfondire le condizioni che fecero da sfondo ad uno degli eventi più letali del mondo moderno, la pandemia influenzale del 1918-19, passata alla storia col nome di “Spagnola”.
Sebbene la penisola iberica non avesse niente a che fare con l’origine della tremenda malattia, non essendo tra i paesi belligeranti, i giornali, non sottoposti alla pesante censura di guerra, pubblicarono le notizie sulla misteriosa malattia, sbarcata in Europa nella primavera del 1918 1. Fu così che, con grande disappunto degli spagnoli, il loro Paese fu per sempre associato alla pandemia, che, in tre diverse ondate, in meno di due anni, attraversò il mondo come un uragano, rappresentando uno dei maggiori disastri sanitari degli ultimi secoli, superata solo per morbilità e mortalità dalla Morte Nera (la peste del Trecento, ndr).
Stando alle stime più attendibili, in soli sei mesi, tra la fine di ottobre e l’aprile del 1919, colpì 500 milioni di persone (poco meno di un terzo della popolazione mondiale del tempo), uccidendone circa 50, secondo le stime più caute. In Italia, che fu il paese più colpito in Europa, insieme al Portogallo, le vittime furono 600 mila e negli Stati Uniti 675.0002.La prima ondata si manifestò in un campo militare americano nella primavera del 1918. Portata in Europa dalle truppe in arrivo dagli Stati Uniti, si diffuse velocemente in Francia, Inghilterra, Italia. Durante la primavera ebbe un carattere mite, non diverso dalla normale influenza stagionale che i medici conoscevano da sempre e attribuivano al maligno influsso degli astri e alla loro sfavorevole congiunzione. La prima definizione, infatti, si deve allo storico fiorentino ‘Matteo Villani’ che, nel 1358, spiegava con le “costellazioni e aria fredda un’Influenza che aveva colpito poco meno che tutti i corpi umani della città e distretto di Firenze e delle circostanti vicinanze”3.
L’ondata primaverile, mite, non diversa dalle solite influenze stagionali, non mise dunque in allarme i medici. Vincolati da un Decreto dell’ottobre del 1917, che puniva severamente chi provocava allarme, deprimendo lo spirito pubblico, nelle settimane cruciali dell’epidemia, i giornali tacevano sulla preoccupante escalation di quella strana influenza. Del resto, in estate parve scomparire. Nella tarda estate, a partire da agosto- settembre ricomparve però con la forza di un uragano devastante.
La malattia si manifestava bruscamente “con lieve catarro del naso” ed era caratterizzata “da senso di molestia alla gola, da stanchezza, da dolori vaghi a tutto il corpo”. Seguivano rapidamente la febbre, alta, in molti casi, testimoniavano i medici “preceduta da brivido o accompagnata da forte mal di capo, l’arrossamento degli occhi che male sopportano la luce, la tosse stizzosa, molte volte perdita di sangue dal naso”. Forse per non allarmare la popolazione, non si parlava delle possibili e frequentissime complicazioni, responsabile dell’alta mortalità: tracheobronchiti, bronchiti acute, catarri soffocanti, polmoniti lobari, ecc. Ad essere colpiti furono soprattutto i giovani adulti (20-40 anni), piuttosto che gli individui avanti con l’età4.
La scienza medica brancolava nel buio. Le luminose certezze accumulate nell’ultimo ventennio dell’Ottocento con la “rivoluzione batteriologica” si dissolvevano come nebbia al sole, mentre infuriava una delle più micidiali epidemie di tutti i tempi: la malefica “semenza del morbo” restava avvolta nel mistero : appariva sempre più chiaro che l’Haemophilus influenzae isolato nel contesto della precedente pandemia del 1889-90 da un allievo di Koch, Richard Pfeiffer non era l’agente causale dell’Influenza, mentre cominciava ad avanzare l’ipotesi di un agente infettivo di dimensioni infinitesimali – ‘un virus ultra-filtrabile’5. Ad uccidere – spiegavano tutti – non era l’influenza in sé, bensì le complicazioni pleuropolmonari. Non esisteva profilassi: il consiglio divulgato dalle autorità sanitarie6 e dai numerosi ‘avvisi’ pubblicati dai giornali, era di “evitare il contagio e di praticare grande pulizia delle mani, delle cavità nasali, della bocca”.
La tremenda Spagnola trovava le popolazioni in condizioni di debolezza e prostrazione, dovute ai lunghi anni di guerra7. Ma trovava anche strutture sanitarie al collasso. Buona parte dei medici, degli infermieri e dei farmacisti si trovava al fronte, mancavano le medicine e persino i generi di prima necessità per i malati e i convalescenti. Le sparse informazioni parlano di cure a base di tintura d’oppio canforata, di acido fenico, di iniezioni di percloruro di mercurio. Negli ospedali si ricorreva, secondo i casi, a iniezioni ad alte dosi di canfora, al siero anti-pneumococcico, alla somministrazione di fenolo e mentolo. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre , si susseguirono le misure profilattiche adottate dai sindaci e dagli ufficiali sanitari , sulla base delle circolari del ministro dell’Interno: individuazione dei focolai epidemici; isolamento, se possibile, dei malati, anche negli ospedali, dove erano proibite le visite; chiusura delle scuole, eliminazione dei contatti con i malati e con possibili infetti; riduzione al minimo di riunioni pubbliche in locali chiusi come teatri e cinematografi; disinfezione accurata e pulizia di case, uffici pubblici e chiese8.
I vescovi impartirono ordini severissimi ai parroci perché non trascurassero la disinfezione di banchi e confessionali. Era proibito suonare le campane a morto: il lugubre rintocco che scandiva la giornata nelle grandi città come Milano e Roma- dove i morti, a metà ottobre, si contavano a centinaia – era ritenuto deleterio per ‘lo spirito pubblico’. L’orario di chiusura di bettole, osterie e rivendite di generi alimentari era fissato per le ore 21, mentre era prorogato l’orario di chiusura delle farmacie. Tutte le feste patronali erano sospese. Le strade erano invase dall’odore di acido fenico. Medici e infermieri dovevano usare una mascherina di garza. Manifesti e giornali traboccavano di consigli per evitare l’influenza: evitare i luoghi affollati e gli ‘agglomeramenti’, osservare la più scrupolosa igiene individuale, lavarsi le mani, non sputare, un’abitudine allora diffusissima in tutti gli strati sociali. Molti presero a fumare nella convinzione che il fumo uccidesse “i germi dell’influenza”. Altri intensificarono le bevute, con l’idea che l’alcol allontanasse la malefica malattia. Adottata nelle grandi città degli Stati Uniti, la quarantena e le altre restrizioni non furono adottate in Italia, dove lo stato di guerra esigeva la libera circolazione di uomini e mezzi.
Mentre cresceva l’attesa della fine del sanguinoso conflitto, una serie di proibizioni – provenienti da sindaci, medici provinciali, prefetti – modificò nel profondo la vita quotidiana della gente: proibito recarsi a visitare gli ammalati, andare in chiesa, portare le condoglianze alle famiglie dei defunti, un uso radicato nelle tradizioni popolari, seguire i funerali.
Al calare della notte i circoli, i caffè, le bettole chiudevano i battenti facendo precipitare nel buio le strade della città. Da un giorno all’altro, anche aree lontane dalla zona di guerra, le popolazioni civili furono sottoposte ad una rigida disciplina, quasi militare. Nelle farmacie la gente faceva la fila per acquistare chinino e aspirina. L’impegno profuso dai giornali nel minimizzare e l’assoluto silenzio sulle reazioni popolari, non riesce a nascondere del tutto l’ansia, lo sgomento e la paura, l’impatto di misure che modificavano il vissuto della gente.
Nella prima decade di novembre del 1918, mentre nei laboratori, i ricercatori sperimentavano il fallimento dei tentativi di preparare un siero immunizzante efficace con cui eseguire esperimenti sugli animali ed applicazioni terapeutiche, la pandemia sembra allentare la presa, dopo aver attraversato l’Italia come un uragano, facendo fare un balzo del 21 per mille alla mortalità ordinaria nelle regioni più colpite (Lazio, Sardegna, Basilicata, Calabria). Ma nell’inverno 1918-19, favorita forse anche dagli ‘agglomeramenti’ provocati in novembre dalle grandi manifestazioni di piazza di folle festanti per la fine della guerra e la firma dell’armistizio- si verifica una ‘terza ondata’ più mite, legata anche al fatto che come per altri ceppi influenzali, l’influenza doveva essere diventata più attiva nei mesi invernali. Infine, verso la metà del 1920, a circa due anni dal suo esordio, quel ceppo mortale di influenza sembra scomparire, anche se non abbiamo dichiarazioni solenni o memorabili sull’uscita di scena di ‘quel morbo così funesto per l’umana gente’ – per riprendere le parole del direttore del Laboratorio batteriologico della Sanità pubblica, Bartolomeo Gosio.
Che, in una pubblicazione sugli Annali d’Igiene (1922)9 ammette che ‘per fortuna dell’umanità’ era venuto ‘in gran parte a mancare il materiale clinico d’indagine’, anche se era ‘da temersi purtroppo che la semenza del morbo non fosse spenta’. Cosa che suscitava l’inquietudine di igienisti e patologi, impegnati a discutere, nel 1921-22, se ‘i parossismi’ più o meno accentuati di quel biennio fossero ‘epidemie di ritorno’. Si può però dire che la fine della Spagnola si verificò, a due anni di distanza dal suo esordio: il virus aveva circolato in tutto il mondo, infettando così tante persone da ridurre il numero di nuovi ospiti suscettibili perché il ceppo influenzale diventasse di nuovo una pandemia. Si calcola che un terzo della popolazione mondiale avesse contratto il virus che verrà isolato solo nel 1933. Stando alle ultime ricerche10, quella catastrofe fu provocata da un virus A/HIN1 di probabile origine aviaria, completamente nuovo per la popolazione umana, che quindi non aveva difese nei suoi confronti. Nel 2005, un gruppo di ricerca ha annunciato su Science e Nature di aver determinato con successo la mappatura del genoma, grazie al recupero dal corpo di una vittima sepolta nel permafrost dell’Alaska e da campioni di soldati americani morti di Spagnola.
L’esperienza del passato è quanto mai importante nell’affrontare un tema come quello delle pandemie influenzali, eventi che si ripetono nel tempo, senza dimenticare che i fenomeni epidemici ricorrono spesso con le stesse modalità, anche se non in maniera del tutto simile. Il susseguirsi delle diverse ondate epidemiche della Spagnola, dalla più mite alla più grave, propone un possibile andamento naturale delle epidemie. Le lezioni del passato sono preziose e le conoscenze acquisite dalla ricostruzione storica degli eventi pandemici rappresentano un punto di riferimento, restando però pronti – come c’insegna l’attuale pandemia causata da un altro virus che il mondo sta affrontando – a far fronte a dinamiche nuove, bizzarre e inattese, perché anche i virus modificano i loro comportamenti in un mondo globale e in continua evoluzione.
Fonti / Bibliografia
A.W. Crosby, Influenza, in K.F. Kiple, ed., <i>The Cambridge World History of Human Disease</i>, Cambridge University Press, New York, 1993, pp. 807-811.
Alcune fonti parlano di 25, altre di 50 milioni, altre ancora si spingono ad ipotizzare 100 milioni. Cfr. W. Beveridge, L’influenza. L’ultimo grande flagello,Roma 1982.Johnson NPAS, Mueller J. Updating the accounts: global mortality of the 1918–1920 “Spanish” influenza pandemic. Bulletin of History of Medicine 2002, n.76, pp. 105–15.
E.Tognotti, La ‘Spagnola in Italia’, Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo, Milano, 2015, 2 ed.
E. Tognotti, Influenza pandemics: a historical retrospect, J Infect Dev Ctries, 2009 Jun 1;3(5):331-4.
G. Kolata, Epidemia. Storia della grande influenza del 1918 e della ricerca di un virus mortale,Milano 2000, p. 9.
Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Sanità, Istruzioni popolari per la difesa contro l’influenza,Roma 1918,p. 5.
I più autorevoli clinici del tempo erano convinti che, «avendo la guerra contribuito a fiaccare la resistenza organica delle popolazioni (era) responsabile dei caratteri di gravità che l’epidemia aveva assunto». Questa stessa opinione era stata espressa in Svizzera dove, secondo alcuni, la malattia si era virulentata nei campi degli internati, soggetti a privazioni e sofferenze». Cfr. L. Verney, Sulla profilassi dell’influenza,in «Il Policlinico», 5 gennaio 1919 (XXVI), fasc. 1, p. 8.
Cfr. per l’organizzazione sanitaria «al fine di un efficace sistema di protezione della salute pubblica», Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Sanità Pubblica, Atti Amministrativi (1910-20), bb. 178 bis, 179.
B. Gosio, A. Missiroli, Ricerche sul potere tossigeno del bacillo di Pfeiffer in rapporto alla patogenesi dell’influenza,in «Annali d’Igiene»,, fasc. 1, 1922.
A.H. Reid, T.G. Fanning, J.V. Hultin, and J.K. Taubenberger, Origin and evolution of the 1918 “Spanish” influenza virus hemagglutinin gene, Proceedings of the National Academy of Science, 1991, 96: 1651-1656.
Mi piacerebbe che le persone si trovassero d’accordo almeno su una cosa: l’importanza delle fonti.
Per due anni ho inondato Quora di studi pubblicati su Nature, Science, Lancet, NEJM e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di una infinitesima porzione degli articoli scientifici pubblicati in merito alla pandemia e che io stesso, insieme ai colleghi, ho riassunto in un metastudio che ne analizzava oltre 17000
[1]. Si tratta di studi su riviste scientifiche internazionali, che analizzano dati provenienti da tutto il mondo. Ogni studio ha superato la revisione paritaria ed è stato posto al vaglio della comunità scientifica tramite pubblicazione su riviste specializzate frequentate da addetti ai lavori.
Poi vai su Internet e leggi “Galli ha detto che si è pentito di fare il vaccino”, e gente che si azzuffa su una dichiarazione rilasciata durante un’intervista, capita male, e rimbalzata da blog, webmagazine e quotidiani di dubbia serietà, il tutto rigorosamente prodotto, masticato e digerito da e per italiani che tentano di capire un fenomeno mondiale osservandolo dal buco della serratura di sitarelli di provincia. Ora, il punto non è che la notizia sia l’ennesima bufala
[2], il punto è il livello del dibattito. È come se a un simposio sulla meccanica quantistica arrivasse Pierino a scorreggiare al microfono dicendo che “col fischio o senza è tutta una scemenza” e i giornali pubblicassero a strascico le sue tesi ignorando del tutto gli studi di Heisenberg e Schrödinger, che sono troppo complicati per interessare alla gente. La scorreggia, d’altro canto, ha un appeal universale ed intramontabile, a quanto pare.
Ma benedetti signori, lo capite che voi, con le vostre tasse, pagate della gente che studi certi problemi per voi e vi dica come stanno le cose? Se prima li pagate e poi non li ascoltate, vi rendete conto che state buttando via i vostri soldi? Sarebbe come andare dal barbiere, pagarlo, e poi tornarsene a casa propria a tagliarsi i capelli da soli davanti allo specchio. Fidatevi, non otterrete un gran risultato.
Dall’inizio della pandemia tutte le fonti scientifiche hanno spiegato che l’obiettivo principale doveva essere “flatten the curve”, appiattire la curva. Non mi dite che avete dimenticato questa immagine
Ora, uno guarda agli effetti dei vaccini, e cosa “scopre” (come se non si sapesse già dai risultati dei test clinici del 2020)? Ecco uno dei tanti grafici in merito, ne riporto quasi ogni volta uno diverso da fonte diversa proprio per sottolineare che dicono tutti esattamente la stessa cosa
Ma tu guarda. I vaccini fanno esattamente ciò di cui avevamo disperatamente bisogno e che avevamo stabilito essere il nostro obiettivo fondamentale per riuscire a limitare i danni di questo disastro. Lo abbiamo chiesto alla scienza, la scienza ci ha dato la risposta, con una tempistica ed un livello di efficacia addirittura superiori alle più rosee aspettative.
Questi sono i fatti, il resto è rumore di fondo unito al tentativo di alcuni avvoltoi di carpire il vostro consenso in una battaglia montata ad arte. E Galli ha detto, e Speranza ha fatto, e Draghi venduto, e Fauci comprato. Chiasso informe da dare in pasto a folle fameliche. Se non hanno il pane, mangino bufale.
Molti no-vax sono semplicemente persone che mancano degli strumenti necessari a valutare dati e fonti pubblicamente disponibili e che incontrano individui spregiudicati il cui obiettivo è infilarsi nelle loro paure per sfruttarle a proprio vantaggio. Un po’ come quei parassiti che disconnettono il cervello delle formiche per portarle dove vogliono loro
La quantità di vite salvate dai vaccini è incalcolabile. Una stima dell’ECDC
[6] parla di mezzo milione di persone in meno di un anno contando solo gli effetti diretti del vaccino. Ma quelli indiretti sono davvero inestimabili. Dai lockdown risparmiati alle corsie degli ospedali svuotate (e quindi morti indirette scongiurate) è impossibile fare un calcolo attendibile di tutti i guai evitati dai vaccini.
Ma abbiamo, come dicevo, un problema da risolvere che é più importante di quello di far capire alla gente che i vaccini sono stati una manna dal cielo. E il problema è che nonostante gli studi, le fonti scientifiche internazionali tutte concordi, i dati e i risultati sotto gli occhi di tutti, tanta gente continuerà ad andare su Internet ad appaltare l’uso dei propri neuroni a siti di “controinformazione” che vengono messi sullo stesso piano del MIT, di Oxford, degli organi internazionali di sorveglianza sanitaria, degli scienziati pagati con le tasse dai cittadini per spiegare ai cittadini come stanno le cose.
L’istruzione è il primo passo. La gente deve imparare i fondamenti della statistica e della comunicazione a scuola, come leggere e far di conto. Prima lo capiamo, prima ci buttiamo alle spalle questo Medioevo della comunicazione di massa distribuita.
Uno che non sa niente di immunità, di farmaci, di vaccini, di virus, di ricerca scientifica in generale, legge questa roba e cosa mai può concludere? Io concluderei che uno che si è vaccinato faccia in realtà un danno al proprio sistema immunitario e diventi più fragile di chi non si è vaccinato. Questo vuol dire quel titolo, lo so. Tutta la mia incondizionata e sincera solidarietà.
Però dovete anche prendervi le vostre responsabilità, che comunque ci sono. Primo: vi siete chiesti qual è la fonte di questa notizia? Secondo: oltre al titolo, avete letto cosa c’è scritto nell’articolo? Terzo: cosa ha effettivamente detto Pfizer nel suo testo originale? Ci vogliono cinque minuti per trovare le risposte a queste tre elementari domande.
Primo: la fonte è ”La Verità”, il che dovrebbe già far sollevare un sopracciglio, se non ogni singolo pelo del corpo.
Secondo: nel corpo dell’articolo è scritto: “Le valutazioni cliniche di laboratorio hanno mostrato una diminuzione transitoria dei linfociti che è stata osservata in tutti i gruppi di età e di dose dopo la [prima, nota mia] dose che si è risolta entro circa 1 settimana“. C’è scritto così, ho riportato il testo tale e quale. Sì: il titolo era un evidente click-bait.
Terzo: il testo originale di Pfizer è riportato nell’articolo, anche se sotto forma di un trafiletto estrapolato e appena leggibile. Con molto sforzo si vede che la traduzione è corretta. Non è riportata però la conclusione: “[diminuzione transitoria dei linfociti…] non associata a nessun’altra conseguenza clinica e non considerata clinicamente rilevante. In parole povere, per una settimana hai qualche linfocita in meno, ma il tuo sistema immunitario se ne accorge a stento.
Sì, lo so, hanno montato l’ennesima bufala e tanti ci sono cascati di nuovo. Mi dispiace, davvero. Però la prossima volta un po’ di attenzione in più.
Passiamo alle cose serie.
Secondo EMA, tra l’altro nella persona dell’italiano Marco Cavalieri, è necessaria particolare cautela nell’eventualità di una quarta dose (quarta dose) perché, se troppo ravvicinata alla terza, potrebbe avere un effetto negativo su un sistema immunitario che sta ancora digerendo le informazioni ricevute precedentemente. Questa è una cosa nota che riguarda tutti i vaccini, non solo quelli anticovid. Le attuali raccomandazioni congiunte di EMA e CDC suggeriscono di aspettare prima di proporre la quarta dose nella popolazione generale ed eventualmente riservarla alle persone molto anziane o comunque particolarmente a rischio. E infatti nessuno ci ha detto di metterci in fila, notato?
In tutto questo, stiamo pure tranquilli. Se ci saranno questioni rilevanti da conoscere, comprese scoperte di nuovi effetti avversi o di improvvisa inutilità o dannosità dei vaccini, lo verremo a sapere. Non da La Verità, dall’EMA.
Ma quale dispotismo! Il Green pass è libertà. Lettera a Cacciari, con un invito al confronto in pubblico
“Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri”. Il direttore di MicroMega replica al testo firmato dal filosofo in coppia con Giorgio Agamben.
Caro Massimo, perché mai, nel tuo testo (in coppia con Agamben), diramato dall’“Istituto di studi filosofici di Napoli” col titolo “A proposito del decreto sul green pass”, non hai speso una sola parola di indignazione, vituperio, condanna, per la “pratica di discriminazione” che non consente di guidare liberamente un’automobile (ma eventualmente anche un Tir, se aggrada), e impone di passare per le forche caudine di esami orali e scritti, solo al termine dei quali il cittadino (ma non è ormai così ridotto a suddito?) riceve un “green pass” definito “patente di guida”?
E perché mai non hai stigmatizzato l’insopportabile “regime dispotico” con cui in Italia si pretende un “green pass”, chiamato burocraticamente “porto d’armi”, per il libero cittadino (ridotto con ciò a suddito) che voglia girare con una P38 in tasca, mentre liberamente e gioiosamente un cittadino statunitense può acquistare al negozio d’angolo anche una Beretta pmx, una Skorpion Vz 61, una Thompson, e altri gingilli di libera autodifesa?
E perché non hai ricordato che queste nefaste pratiche discriminatorie hanno il loro antefatto nell’odiosa volontà (Legge 11 novembre 1975, n. 584, poi Legge 16 gennaio 2003, n 3, rafforzata dieci anni dopo con la “legge Sirchia”) di “purgare” i fumatori, discriminandoli col divieto d’ingresso nei cinema, teatri, ristoranti, caffè, treni, aeroporti, uffici, ghettizzandoli sui marciapiedi e in molti paesi cacciandoli infine anche dai luoghi aperti?
A me queste leggi antifumo sono sempre sembrate invece civilissime, e anzi libertarie. Perché mai dovrei essere costretto a inalare nicotina e catrame se voglio frequentare un luogo pubblico chiuso (o devo lavorare in uno spazio comune)? Ma in un luogo pubblico chiuso il fiato di un contagiato Covid è molto ma molto più dannoso degli sbuffi delle più micidiali Marlboro rosse o Gitanes papier mais.
Che senso ha trincerarsi dietro un generico “il dibattito scientifico è del tutto aperto”? Va da sé: il dibattito scientifico è sempre aperto, per definizione. Ma i dati delle ultime settimane sono costanti e inoppugnabili: contagi, ricoveri (e morti) dei non vaccinati sono, in proporzione al loro numero, dieci volte superiori a quelle dei vaccinati. La “libertà” di impestare il prossimo non è ancora stata introdotta tra i diritti umani e civili inalienabili, riforma costituzionale che il tuo testo solfeggia in filigrana, continua anzi a costituire una forma insopportabile non già di libertà ma di violenza, prepotenza, sopruso.
Le democrazie nascono impegnandosi a garantire l’endiadi “vita e libertà” dei cittadini, ma che vita e che libertà sono garantite a cittadini costretti a rischiare, in ogni luogo pubblico chiuso o all’aperto ma molto affollato, l’alito impestato di chi per privata prepotenza non vuole prendere l’unica misura che abbatte tale rischio: il vaccino? In realtà vi è, come noto (da secoli) un’altra misura: il distanziamento. Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha perciò nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri. Ai governi (il nostro compreso) si può e deve imputare – semmai – di non averla difesa e non difenderla abbastanza, questa comune libertà.
Che il “green pass” costringa a essere controllati e “tracciati” è infine pura menzogna. Vieni “tracciato” se lo usi sul telefonino con localizzatore, ma se te lo stampi (ci vuole un “clic”, appena più del teologico “fiat”), lo presenti dove è richiesto e nessuno ti “traccia”.
Infine, non è solo davvero fuori misura, ha piuttosto qualcosa di indecente e ingiurioso, evocare il passaporto interno di staliniana e brezneviana memoria o le misure di controllo del maoturbocapitalismo di Xi Jinping. Un’offesa sanguinosa ai milioni e milioni di vite umane che il totalitarismo comunista lo hanno subito davvero, carne e ossa, gulag e sangue. Spero che le righe in proposito siano uscite dalla penna del tuo sodale Agamben, che suona questo mostruoso refrain da anni, e tu le abbia accolte solo per momentanea debolezza.
Un abbraccio Paolo
p.s.
Caro Massimo, vedo che in una intervista a “La Stampa”, ripresa da Huffington Post e Dagospia, insisti, con argomentazioni che mi sembra restino più che mai claudicanti e infondate. Dato l’interesse del tema per tutti i cittadini, ti propongo di discuterne in pubblico e col pubblico, in una delle tante occasioni di controversie che stanno riprendendo “in presenza” (Convegni, Festival, Saloni, ecc.). Sono certo che, convinto come sei della forza delle ragioni che hai addotto, non ti sottrarrai al confronto.
Nel V secolo a.c., Erodoto ebbe modo di conoscere questo felino e gli diede il nome di Ailouros (“dalla coda mobile”), termine che presto venne sostituito da Gale, vocabolo greco utilizzato originariamente per la donnola, in età tarda si utilizzò invece kàttos da cui gatto.Una possibile origine semitica del vocabolo potrebbe essere attestata da un’opera armena del V sec., in cui si trova catu, a cui fa riscontro il siriano gatô. Cattus sarà all’origine del nome del gatto nella maggior parte delle lingue europee (cat inglese, katz tedesco, kat olandese, gato spagnolo e portoghese, chat francese, kochka russo).
Nell’antica Roma il gatto selvatico veniva invece detto Felis, da cui derivano i nostri felino, felide, ecc. Solo dal IV sec. d.c., compare il termine Cattus, forse di derivazione africana (nubiano kadis) o celto-germanica (nei cui idiomi viene variamente riprodotta, ad esempio: irlandese cat, antico tedesco chazza, antico scandinavo kötr).Il gatto arrivò a Roma più tardi rispetto alla Grecia anche se nei reperti archeologici degli etruschi sono state ritrovate piccole statue in pietra raffiguranti un gatto. I Romani, come i Greci, erano soliti usare altri carnivori, come la donnola, la faina e la martora, per il controllo dei topi, ma presto si accorsero che i gatti si addomesticavano più facilmente affezionandosi alla casa e ai proprietari, o almeno ad uno di essi.Durante le campagne di conquiste i romani li conobbero, li apprezzarono e li portarono con sé contribuendo alla sua diffusione in tutta Europa.
Tracce della presenza del gatto sono state rinvenute in tutte le regioni conquistate dai romani.Sia gli Etruschi che i Romani conoscevano il gatto, del quale apprezzavano i servigi sia come animale da lavoro (per debellare i topi) che da compagnia. I Greci invece li ignorarono e per cacciare i topi dalle loro case, si servivano delle donnole e dei colubri.Gli antichi Romani apprezzavano lo spirito indomito e curioso del gatto, tanto che la Dea Libertas, era spesso raffigurata in compagnia di un gatto. Nel I sec. d.c. anche a Roma, come precedentemente in Egitto, furono introdotte leggi severe volte a tutelare i gatti e la loro utilità contro i roditori.Nell’antica Roma i gatti erano sacri a Diana, si credeva che avessero poteri magici, concessi loro dalla Dea. La Dea latina Diana, associata alla luna, alla femminilità e alla magia, proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con la natura, i boschi, gli animali e le piante.
Ella, per sedurre il fratello Apollo e concepire da lui un figlio, prese forma di gatto.L’introduzione nell’Impero Romano del culto di Bastet, poi identificata con la Dea Iside, rafforzò nei romani il culto del gatto sacro. In ogni città infatti vi era un tempio dedicato alla Dea, detto Serapeum. Nei templi di Iside i gatti giravano tranquillamente, sia al loro interno che nei suoi giardini, e la gente portava loro offerte di cibo. Ne esistevano pure diverse statue, praticamente tutte distrutte dall’intransigenza cristiana.A Roma l’amore per i gatti si manifestò dal sorgere di diversi nomi propri o addirittura cognomi con etimologia derivante dalla parola “gatto”: Felicula, Felicla (gattina o micina), Cattus, Cattulus (gatto, gattino). Alcuni reparti dell’esercito romano, in particolare i centurioni, sugli scudi recavano come simbolo gatti di colori differenti.Presso i romani, dunque, il gatto godette di un notevole favore, anche se non venne divinizzato come in Egitto.Le matrone si circondarono di gatti di ogni provenienza e colore, e i commercianti dei mari si organizzarono in tal senso, importandone da ogni paese e facendoli incrociare tra loro per ottenere razze più belle e più rare per cui più costose.
Le matrone mettevano collarini preziosi ai loro mici, come nastri di seta decorati di pasta vitrea e pure di pietre preziose, o, a imitazione degli egizi, gli ponevano degli anelli d’oro tipo piercing sul naso e sulle orecchie. I collarini si intonavano al colore del pelo o più spesso dal colore degli occhi, ritenuto molto importante per la preziosità dell’animale.Oppure, sempre sulla moda egizia che era seguitissima in epoca iulia, gli ponevano una pettorina ricamata e decorata.Con il I secolo d.c. il gatto completò la colonizzazione dell’Europa e continuò la sua collaborazione con l’uomo ricoprendo soprattutto ruoli di utilità come disinfestatore dei granai e delle abitazioni. Il gatto (o micio, che è in fondo il suo nome più antico) non teneva solo lontani i topi, ma pure le blatte, i ragni e perfino gli insetti, perché cacciava qualsiasi essere si muovesse nel suo territorio.
L’avvento del cristianesimo invece fu per i gatti una vera calamità. Nella follia cristiana di peccato ed espiazione anche gli animali, senza alcun motivo, vennero divisi in benefici e malefici, i gatti rientrarono tra questi ultimi, colpevoli forse di non essere manipolabili come i cani e gli umani, ma soprattutto di essere creature notturne e quindi demoniache. I prelati videro da sempre questo felino come fonte di peccato, accusandolo di portare con sé tutti i malefici possibili. Per di più, il gatto fu molto presto associato alla stregoneria: le streghe amavano trasformarsi in animali, in particolare in gatte; una donna che vivesse con i gatti, ritenuti inviati dal diavolo per aiutarla nei suoi incantesimi, diventava automaticamente una strega.Durante quest’era di oscurantismo, furono presi di mira soprattutto i gatti neri. Papa Gregorio IX (1170 – 1241) dichiarò i gatti neri stirpe di Satana nella sua bolla papale del 1233, con la quale prese avvio un vero e proprio sterminio di queste creature, torturate e arse vive al fine di scacciare il demonio.
La domanda è pienamente giustificata e probabilmente presente nella testa di molti cittadini, visto l’allarmismo che circola e la reazione di diversi stati che hanno sospeso per il momento la somministrazione di questo vaccino.
Ho parlato di “allarmismo” e non di “allarme”, perché personalmente sono convinto che si tratti di una reazione inopportuna nei confronti di un ritrovato efficace e nell’insieme statisticamente sicuro come gli altri. A mio avviso questa reazione un po’ isterica produce solo effetti deteriori come:
Un incremento dannoso della sfiducia nei confronti della profilassi vaccinale
Un rallentamento dei piani vaccinali che, ovviamente, prevedono anche il ricorso al vaccino di AstraZeneca
L’immagine qui sotto, ottenuta per estrapolazione dai dati attuali, mostra come questo vaccino rientri massicciamente nell’attuale pianificazione europea della lotta contro Covid-19. Si capisce che mettere i bastoni tra le ruote di tale programmazione possa comportare complicazioni non da poco, specie dopo le difficoltà logistiche che si sono profilate (e in merito alle quali resto comunque ottimista, anche per le pressioni esercitate da UE sulle case).
Un lato positivo della faccenda è che le autorità si dimostrano molto sensibili alla materia e non mancano occasione di attivarsi per eseguire tutti i controlli del caso. Devo dire per altri versi che questa attenzione potrebbe essere indotta anche da questioni politiche, ovvero per rassicurare la popolazione e ottenere consensi da essa, piuttosto che critiche per superficialità o irresponsabilità. In effetti, suppongo che le autorità dei vari paesi siano per lo più convinte che il vaccino di AstraZeneca non implichi particolari rischi per la salute.
Diverso è il discorso per la popolazione che sicuramente ha molti più dubbi, spesso fomentati dai media che esaltano ogni particolare pur di attirare lettori o spettatori. Siccome però la popolazione è quella che vota ed elegge i propri rappresentanti, ecco che i responsabili politici si sentono subito chiamati in causa. Il grafico qui sotto illustra le percentuali di persone interrogate in campioni di cittadinanza che vorrebbero cambiare i vari vaccini indicati.
Come si vede, AstraZeneca non gode al momento di buone credenziali presso il pubblico. Fa eccezione il Regno Unito dove il vaccino è nato ed è stato sviluppato. A mio modesto avviso, questa è la reazione più saggia nell’ambito delle popolazioni europee. Spicca invece l’emotività della Germania (dove esistono molti novax) e quella dell’Italia. Questo fa specie, perché in Italia l’adesione ai piani vaccinali è da sempre buona e lo scetticismo è minore che in altre nazioni, essendo concentrato più che altro nelle zone trentine.
In Svizzera (anche qui gli scettici sui vaccini sono ben il 50% della popolazione) la “cattiva reputazione” di quel vaccino ha condotto le autorità a decidere di venderlo. A mio avviso è una decisione errata (come considerato da alcuni virologi svizzeri), ma anche una buona occasione per altri di comprarlo, specie se a prezzo ribassato.
Mi asterrò dal fare considerazioni dietrologiche o cospirazionistiche non comprovabili sulle eventuali ragioni del discredito gettato su questo prodotto; se ne possono produrre a bizzeffe, il che è come non dire alcunché di utile. Può darsi che tra qualche giorno salteranno fuori delle cosiddette “morti sospette” anche per altri ritrovati vaccinali. Lungi da me l’idea di polemizzare e di citare complotti di un tipo o dell’altro, mi limiterò qui a un paio di semplici considerazioni di buon senso relativamente alla domanda posta. Per semplicità, concentriamoci solo sull’Italia.
Ogni anno muoiono in Italia per le più disparate cause una quantità di persone che formano un’intera città di grandi dimensioni. Nel 2020 sono deceduti 746.146 soggetti, il che significa 2044 morti al giorno.
La popolazione italiana attuale ammonta a 60.317.000 milioni di cittadini. Pertanto i morti quotidiani di cui sopra sono 1 su 33.888. Al momento le dosi somminstrate sono 6.610.347. Da ciò risulta che oggi (data di questo post) circa l’11% della popolazione ha ricevuto almeno un’iniezione. Il calcolo non distingue tra prima e seconda dose, ma risulta abbastanza preciso. Infatti, si può verificare che circa il 3,3% della popolazione ha ricevuto entrambe le dosi e circa 7,8% solo la prima iniezione.
Il grafico delle somministrazioni giornaliere nel tempo, iniziate a fine dicembre 2020, è quello sotto riportato:
La correlazione evidenziata (impropriamente) dai media tra i decessi e la vaccinazione col prodotto di AstraZeneca risale agli ultimi quattro giorni circa. Si vede che in quei giorni la somminstrazione ammonta a circa 60.000 dosi giornaliere. Una media di circa 120.000 dosi compete invece al prodotto di Pfizer/BioNTech. I vaccinati quotidiani col prodotto Moderna sono una minoranza, circa 10.000. Abbiamo in totale circa 760.000 vaccinati nei quattro giorni del presunto effetto deleterio del vaccino.
I soggetti vaccinati con Pfizer/BioNTech sono il 63%, quelli con AstraZeneca il 32% e quelli con Moderna il 5%. Abbiamo visto poc’anzi che si contano 2044 morti quotidiane in Italia per motivi di ogni tipo (incluso Covid-19). Su quattro giorni dovrebbero dunque essere 8176. Proviamo a spalmarle sulle percentuali dei vaccinati.
Questi sono l’11% della popolazione. In questa categoria dovrebbero dunque ricadere 900 morti all’incirca. Il 63%, cioè circa 570 decessi, dovrebbero ricadere nella categoria Pfizer/BioNTech. Il 30%, cioè 270 decessi, dovrebbero competere alla categoria AstraZeneca. Il 5%, cioè 45 decessi, dovrebbero rientrare nel gruppo Moderna.
Quante persone sono morte dopo aver ricevuto la profilassi vaccinale col prodotto “incriminato” in Italia negli ultimi quattro giorni? Non ho dati a disposizione, ma oggi si parla di 5 persone decedute per cuase “sospette”. In sostanza, se spalmassimo omogeneamente le morti quotidiane d’Italia sull’aliquota di cittadini che hanno ricevuto il vaccino di AstraZeneca dovremmo aspettarci una media di 270 morti consuete al giorno, invece, dopo la scrematura dei media, ne abbiamo 5 sospette.
Si dirà: si ma il campione di vaccinati non è rappresentativo della popolazione italiana. Questo è vero. Infatti, i decessi totali annuali della nazione riguardano soprattutto persone anziane, mentre i cittadini designati per ricevere il vaccino AstraZeneca non sono persone particolarmente a rischio, come invece nel caso della profilassi con Pfizer/BioNTech. Si veda la grafica qui sotto che illustra il piano vaccinale italiano in quattro fasi temporali:
La platea di cittadini da vaccinare col prodotto incriminato non è dunque rappresentata da individui particolarmente esposti a rischio sanitario, perché non sono coinvolte persone anziane. In effetti, il vaccino non era stato testato fino in fondo nei soggetti con più di 55 anni, il che ha indotto alcuni decisori politici a non impiegarlo sugli anziani. Nessuno esclude però che tra questi soggetti siano presenti ipertesi, cardiopatici, obesi, diabetici o altri soggetti con comorbilità varie. Non è però questo il punto della questione.
Il fatto critico è invece che su questo campione è più semplice effettuare controlli. Ebbene, due autopsie sono già state effettuate ed è stato già affermato (anche se la documentazione non è ancora disponibile) dai patologi che non è stato riscontrato alcun effetto dannoso sull’organismo riconducibile al vaccino AstraZeneca. L’Aifa ha da parte sua escluso un nesso di causalità tra le morti in oggetto e quella specifica vaccinazione.
Si aspettano gli esiti, che arriveranno a breve, delle altre autopsie. Scommetterei sul risultato. Volendo proprio fare i pessimisti, abbiamo comunque a che fare alla data di oggi con 3 casi residui, cosiddetti “sospetti”, contro una media di 270 attesi.
Dobbiamo considerare che l’incidenza di decessi è decisamente ridotta nel campione e che quindi presenta inevitabilmente oscillazioni non lievi nel corso del tempo. Potrebbe quindi succedere che nei prossimi giorni si annoverino ben più di 5 decessi tra i vaccinati con Astrazeneca. Tuttavia, per quanto i morti statistici possano variare nel corso dell’anno, per quanto le fasce d’età facciano una differenza, per quanto i calcoli illustrati siano grossolani, mi sembra che la disparità negli ordini di grandezza parli chiaro:
3 casi sospetti riscontrati in un arco temporale di quattro giorni contro 270 totali attesi!
Mi sembra che questo dato porti a ritenere davvero irrazionale un timore che quel vaccino sia all’origine di eventi tromboemolitici, di infarti o di quant’altro possa minare la sopravvivenza di un vaccinato.
Gli effettivi problemi con i vaccini esistono, nulla è sicuro al 100% a questo mondo, nemmeno in ambito farmacologico. Tuttavia, i casi problematici con i vaccini sono rarissimi nell’esperienza medica. Essi vanno solitamente ricondotti alla reazione di pazienti iperallergici, alla contaminazione del preparato da parte di batteri o alla presenza accidentale di piccole particelle di vetro nella dose. Gli esperti escludono che sia questo il caso (in effetti certi batteri possono provocare la formazione di coaguli disseminati).
Ricordiamo poi che il rischio di un vaccino va paragonato al rischio che compete a una mancata vaccinazione, tanto a livello individuale quanto a quello collettivo. Il primo rischio è di interi ordini di grandezza inferiore al secondo.
Nel Regno Unito sono state somminstrati 17 milioni di dosi col vaccino AstraZeneca, anche agli over 55, e non è stato segnalato alcun problema riconducibile al vaccino che fosse inerente alla formazione di coaguli, al tromboembolismo polmonare, alla trombosi venosa profonda, alla trombocitopenia e nemmeno a patologie di altra natura.
A livello europeo abbiamo 30 casi di eventi trombotici su 5 milioni di dosi iniettate. Un numero minimo e perfettamente in sintonia con la casistica dei trial eseguiti dalla casa farmaceutica. Naturalmente, nemmeno questi casi riscontrati nei test o, poi, a livello di profilassi europea implicano che sia stato il vaccino a causare il problema trombotico. Sono evenienze che fanno parte della statistica.
Questo vuol dire anche che nel corso delle prossime settimane e dei prossimi mesi dobbiamo aspettarci altri morti che seguono a una vaccinazione o all’altra. Si tratta di una circostanza data dal gioco del caso, cioè dall’immancabile presenza di decessi che si distribuiscono nel tempo, indipendentemente dalla pratica vaccinale. Alcuni di questi eventi compaiono a ridosso dell’iniezione. Un fatto normale.
Insomma, a che si deve tutto questo can-can su AstraZeneca? Posto che il principio di precauzione impone sempre i dovuti controlli e che questi debbano essere effettuati a dovere e resi pubblici, io farò un’affermazione che potrà apparire antipatica a taluni, ma di cui sono convinto; e sono anche sicuro di essere in buona compagnia di diversi studiosi. Il fatto è che molte persone che sollevano polveroni inutili, a digiuno di cognizioni scientifiche, ancora non accettano quanto segue:
Correlazione non significa causalità
La gente muore tutti i giorni e alcune persone muoiono dopo essersi vaccinate. Ma questo non vuol dire che quelle persone siano decedute per colpa del vaccino. L’unica realtà sicura è che siano morte dopo il vaccino, a distanza di un intervallo di tempo più o meno lungo. Punto. “Dopo” non vuol dire “a seguito di”.
La formazione di coaguli nel sangue che possono anche rivelarsi letali è purtroppo una realtà diffusa, ancorché per fortuna minoritaria. Non fa specie che essa possa presentarsi anche in un certo numero di vaccinati. Quel numero, al momento, si è però dimostrato persino minore delle attese.
Il grafico qui sopra è un esempio classico del discorso qui condotto. Una linea mostra l’andamento negli anni del numero di apparizioni di Nicolas Cage nei film, l’altra l’andamento negli stessi anni del numero di annegati in piscina. I due andamenti hanno una buona correlazione, ma questo non significa affatto che un fenomeno sia all’origine dell’altro. A meno di non avere qualche rotella fuori posto.
Usando la correlazione possiamo mettere a confronto le più disparate dinamiche nei più disparati contesti e con le più disparate intenzioni. Si tratta di un tentativo spesso utilizzato anche da chi “gioca sporco“, ovvero da chi vuole dimostrare una tesi senza avere realmente argomenti forti a suo favore. Ma questo non implica ancora che stiamo costruendo una teoria atta a prevedere qualcosa, come per esempio un incremento di decessi legati al ricorso al vaccino AstraZeneca.
Quello che possiamo invece prevedere con una certa verosimilgianza – data la pianificazione e i contratti in essere – è che se i timori sul vaccino AstraZeneca sono infondati (come ritengo), ebbene l’impedimento prolungato al suo uso causerà una serie di mancate profilassi e quindi di morti che, invece, sono evitabili.
Che si aspettino i dovuti controlli, ma che non si perda troppo tempo sotto l’influsso dell’emotività!
P.S.
Chiarisco un punto a posteriori. Un utente ha fatto un commento errato, ma la confusione (statistica) mi ha fatto venire in mente che il mio post potrebbe essere equivocato. Vorrei quindi prevenire la circostanza. Forse, per maggior chiarezza era il caso di specificarlo prima.
Il numero di decessi segnalati dai media dopo verifica autoptica è di 3 casi di morti “sospette” contro 270 attese nel gruppo AstraZeneca, con i dati aggiornati alla data del post. Naturalmente, le statistiche su lassi di tempo brevi e con minoranze estreme possono essere ballerine. Va però tenuto in considerazione un altro aspetto.
A prescindere dalle oscillazioni che pure contano, 3 casi su 270 possono sembrare perfino troppo pochi. Perché è così? Il fatto è che i media cercano di segnalare ad effetto casi che “potrebbero” essere ricondotti al vaccino per una ragione o l’altra (coagulopatia, infarto, reazione anafilattica, infiammazione acuta, ecc). Pertanto, escludono tutte le morti chiaramente indipendenti: morti violente, malattie gravi pregresse, intossicazioni, ecc. Si capisce che con questa scrematura i morti si riducono.
Bisogna dunque ricordare che stiamo confrontando 270 morti totali attese e consuete che avvengono per svariate cause nel gruppo di AstraZeneca con 3 morti ritenute “sospette”, anch’esse a eziologia indefinita. La coagulopatia è solo una causa indicata, anche se al momento pare la più esaltata. I trombi sono peraltro una causa di morte a incidenza non irrilevante anche tra persone sane e non anziane.
Ora, su 270 morti totali consuete 3 non hanno ancora una causa che con certezza possa essere ritenuta indipendente dal vaccino. A me sembra proprio che si tratti di un fattore che non dovrebbe in alcun caso allarmare. Abbiamo insomma 1% di casi ritenuti “sospetti” solo perché non sono morti violente, da intossicazione, ecc.
Si fumava, ovunque, tantissimo. Nei bar, nei ristoranti e al cinema, ma anche in macchina, con bambini presenti o nell’ascensore con altre persone. Era ASSOLUTAMENTE normale.
Era normale essere poveri. Non che tutti fossero poveri, ma era assolutamente normale conoscere famiglie di 5 persone, che vivevano in alloggi di 2 camere con bagno sul ballatoio. I genitori e il figlio più piccolo dormivano in una camera e gli altri in cucina con un divano letto aperto per la notte. In tanti vivevano così, in modo onesto e con dignità.
Erano molto frequenti scioperi e manifestazioni. E se vedevi una manifestazione, era meglio allontanarsi velocemente, perchè molto facilmente da lì a poco sarebbe finita a lacrimogeni e sassaiola, se non peggio. Il livello di scontro politico era altissimo e anche le manifestazioni più pacifiche potevano facilmente degenerare.
C’era un’inflazione inconcepibile per noi oggi (in alcuni anni superiore al 24% ), quindi la gente, se riusciva a risparmiare qualcosa, cercava di non tenere i soldi in banca, visto che venivano costantemente erosi. Per questa ragione nasce il boom dell’acquisto delle case e dei BOT-CCT.
Era comunissimo trovare siringhe usate per strada, in piazza e nei giardini, e le piazze e i giardini, la sera erano spesso dei posti da evitare. La diffusione delle droghe pesanti era enorme, fino alla fine degli anni ’80, in una grande città era quasi inevitabile incrociare tossicodipendenti in cerca di qualche spicciolo, o schiantati a terra in overdose. Specialmente nei giardini pubblici o in prossimità della stazione. Praticamente tutti conoscevano il figlio di amici o parenti che aveva problemi con l’eroina, in molti hanno avuto un lutto a causa della droga.
TUTTI e sottolineo TUTTI leggevano almeno un giornale, anche chi era meno benestante raramente rinunciava ad acquistare un quotidiano al mattino andando a lavoro. Chi proprio non poteva permetterselo, lo leggeva al bar prendendo il caffè, ma era inconcepibile che un adulto non si informasse leggendo almeno un quotidiano. Il Corriere della Sera, il quotidiano più venuto, superava le 800.000 copie di tiratura, ma tutti gli altri maggiori quotidiani “nazionali”, erano stabilmente sopra le 400.000 copie. Anche un giornale “di nicchia” come L’Unità, l’organo del PCI, si attestava a circa 250.000 copie vendute al giorno!
CITTA’ E TRASPORTI
Le automobili potavano circolare liberamente quasi ovunque e la maggior parte delle piazze, anche fra quelle di enorme valore artistico o storico, erano trasformate in parcheggi a cielo aperto. Per questa ragione tutti i palazzi e monumenti mostravano una patina di smog perenne, che rendeva il grigio il colore predominante in tutte le grandi città.
Giravano un sacco di automobili in pessime condizioni, con un fumo nero e denso che usciva dallo scappamento e/o gomme completamente lisce, freni che fischiavano per il consumo delle pastiglie, frecce e luci in disordine etc. Non c’era la revisione obbligatoria, quindi tante persone andavano avanti senza fare manutenzione all’auto, fin quando non cadeva letteralmente a pezzi.
Pochissimi usavano il casco in moto. Non era obbligatorio, pochissimi lo usavano in generale, praticamente nessuno d’estate.
Nessuno usava la cintura di sicurezza. La maggior parte delle macchine nemmeno le aveva installate.
Pochissimi rispettavano le strisce pedonali. Attraversare sulle strisce era pericoloso esattamente come attraversare in qualunque altro punto della strada.
Era comune gettare le cartacce per strada, o svuotare il posacenere dal finestrino della macchina. Non che tutti lo facessero, ma era normalissimo vederlo fare.
COMMERCIO
La domenica TUTTI i negozi e supermercati erano chiusi. Le famiglie si organizzavano facendo una spesa più grande il sabato e, nel caso mancasse qualcosa, tipo il pane, il burro, zucchero o le uova, era normale chiedere ai vicini di casa se ne avevano in avanzo da prestare. Lo stesso per le sigarette: tipicamente l’unico tabaccaio aperto anche la domenica era quello della stazione, e nemmeno sempre. Dai noi l’eccezione era Cocciola.
C’erano negozi estremamente specializzati in ogni settore merceologico: c’erano negozi vendevano solo guanti, negozi che vendevano solo cappelli, ma anche cose più di nicchia, come negozi che vendevano solo burro e uova. Il latte lo trovavi solo in latteria. C’erano tantissime cartolerie, librerie e negozi di dischi.
Esistevano piccole botteghe dedicate esclusivamente al gioco del lotto: il lotto non era gestito da bar o tabaccai come oggi, ma da piccole ricevitorie con personale “altamente specializzato”; in grado di dare consigli su cosa giocare in base ai sogni o ai numeri ritardatari. All’avvicinarsi del termine ultimo per fare le giocate (non ricordo se venerdì sera o sabato mattina) si formavano lunghe code, soprattutto se c’era un numero particolarmente ritardatario o c’era stato un importante avvenimento da cui trarre auspici. Non so se in altre città esistano ancora, ma a Torino non vedo più ricevitorie da almeno 35–40 anni.
La maggior parte degli acquisti venivano fatti, quotidianamente, nelle botteghe del quartiere. Spesso si comprava a credito e si saldava il conto a fine mese, all’arrivo dello stipendio. I supermercati erano pochi, erano solo nelle grandi città e non esistevano i centri commerciali.
C’erano tantissimi cinema a luci rosse: gran parte delle sale di seconda e terza visione si convertirono al cinema porno, che era diventato un business enorme. Non era raro che fuori dai cinema porno ci fosse la file per entrare e, almeno nelle sale più chic o in caso di titoli particolarmente celebri, il pubblico fosse formato anche da coppie, curiose di quella novità. Questo continuò fino all’avvento delle videoteche, a inizio anni ’80.
VITA DOMESTICA
Quasi tutte le case avevano la tappezzeria, anziché i muri a vista: c’era l’idea che la tappezzeria fosse più semplice da lavare e si potesse anche applicare su muri non perfettamente rasati. Per risparmiare, spesso la nuova tappezzeria veniva applicata sulla vecchia.
Tipicamente in casa c’era un solo televisore da cui tutta la famiglia, la sera, guardava lo stesso programma (c’erano solo 2 programmi TV). Chi non era interessato, leggeva o, se la casa era abbastanza grande, ascoltava la radio. Le trasmissioni TV finivano alle 23.30 e riprendevano in tarda mattinata. Al pomeriggio i programmi erano sospesi fino alle 17 (quando iniziava la TV dei ragazzi) per non distrarre i bambini dai compiti.
Si trasmetteva pochissimo calcio in televisione, ma era sempre gratis. Le uniche partite di calcio tramesse in TV erano (alcune) delle coppe europee e della coppa Italia. Per vedere immagini delle partite di campionato bisognava aspettare 90° Minuto o, per avere servizi un po’ più ricchi, la domenica sportiva alla sera. Al tardo pomeriggio della domenica inoltre veniva trasmessa la sintesi di circa 40′ della partita più importante della giornata. L’unico modo per seguire in diretta una partita senza andare allo stadio era armarsi di tanta fantasia e ascoltare la radiocronaca su Tutto il Calcio minuto per minuto sulla RAI o su una delle radio private che iniziavano, appunto, a trasmettere le dirette integrali dallo stadio.
Ovviamente non esistevano i cellulari. Quasi tutti avevano il telefono fisso domestico, ma bisognava sperare che la persona che si cercava fosse in casa. Esistevano, ma erano poco diffuse e costosissime, le segreterie telefoniche. In compenso c’erano tantissimi telefoni pubblici, sia in cabine per la strada, sia nei bar. Funzionavano con i gettoni telefonici, anziché con le monete. Nonostante l’assenza di cellulari, le persone riuscivano a incontrarsi lo stesso: ci si dava un appuntamento qualche giorno prima a una data ora e in un dato luogo, senza sentire la necessità di chiamare o messaggiare compulsivamente ogni 5 minuti per dare conferma. Ai millennials sembrerà incredibile, ma funzionava anche per gli appuntamenti galanti.
La maggior parte delle donne, una volta sposata e diventata madre smetteva di lavorare per occuparsi dei figli. La famiglia quindi dipendeva totalmente dal reddito del marito.
Tempo fa un NOTO RELIGIOSO, dalle onde radio di Radio Maria, ha risposto ad un ascoltatore che l’OMOSESSUALITA’ E’ UN ABOMINIO, perchè a dirlo è la BIBBIA (Levetico, 18,22). Un ABOMINIO CHE NON PUO’ ESSERE TOLLERATO IN NESSUN CASO. Quello stesso ascoltatore ha scritto questa lettera al NOTO RELIGIOSO… Lettera del 16 maggio 2009
“Caro sacerdote, le scrivo per ringraziarla del suo lavoro educativo sulle leggi del Signore. Ho imparato davvero molto dal suo programma, e ho cercato di condividere tale conoscenza con più persone possibile. Adesso, quando qualcuno tenta di difendere lo stile di vita omosessuale, gli ricordo semplicemente che nel Levitico 18:22 si afferma che ciò è un abominio. Fine della discussione. Però, avrei bisogno di alcun consigli da lei, a riguardo di altre leggi specifiche e come applicarle.
– Vorrei vendere mia figlia come schiava, come prevede Esodo 21:7. Quale pensa sarebbe un buon prezzo di vendita?
– Quando do fuoco ad un toro sull’altare sacrificale, so dalle scritture che ciò produce un piacevole profumo per il Signore (Levitico 1.9). Il problema è con i miei vicini. Quei blasfemi sostengono che l’ odore non è piacevole per loro. Devo forse percuoterli?
– So che posso avere contatti con una donna quando non ha le mestruazioni (Levitico 15:19-24). Il problema è: come faccio a chiederle se ce le ha oppure no? Molte donne s’offendono.
– Levitico 25:44 afferma che potrei possedere degli schiavi, sia maschi che femmine, a patto che essi siano acquistati in nazioni straniere. Un mio amico afferma che questo si può fare con i filippini, ma non con i francesi. Può farmi capire meglio? Perché non posso possedere schiavi francesi?
– Un mio vicino insiste per lavorare di sabato. Esodo 35:2 dice chiaramente che dovrebbe essere messo a morte. Sono moralmente obbligato ad ucciderlo personalmente?
– Un mio amico ha la sensazione che anche se mangiare crostacei è un abominio (Levitico 11:10), lo è meno dell’omosessualità. Non sono d’accordo. Può illuminarci sulla questione?
– Levitico 21:20 afferma che non posso avvicinarmi all’ altare di Dio se ho difetti di vista. Devo effettivamente ammettere che uso occhiali per leggere … La mia vista deve per forza essere 10 decimi o c’è qualche scappatoia alla questione?
– Molti dei miei amici maschi usano rasarsi i capelli, compresi quelli vicino alle tempie, anche se questo è espressamente vietato dalla Bibbia (Levitico 19:27). In che modo devono esser messi a morte?
– In Levitico 11:6-8 viene detto che toccare la pelle di maiale morto rende impuri. Per giocare a pallone debbo quindi indossare dei guanti?
– Mio zio possiede una fattoria. E’ andato contro Levitico 19:19, poiché ha piantato due diversi tipi di ortaggi nello stesso campo; anche sua moglie ha violato lo stesso passo, perché usa indossare vesti di due tipi diversi di tessuto (cotone/acrilico). Non solo: mio zio bestemmia a tutto andare. È proprio necessario che mi prenda la briga di radunare tutti gli abitanti della città per lapidarli come prescrivono le scritture? Non potrei, più semplicemente, dargli fuoco mentre dormono, come simpaticamente consiglia Levitico 20:14 per le persone che giacciono con consanguinei?
So che Lei ha studiato approfonditamente questi argomenti, per cui sono sicuro che potrà rispondermi a queste semplici domande. Nell’occasione, la ringrazio ancora per ricordare a tutti noi che i comandamenti sono eterni e immutabili.
Da sole, naturalmente, le statistiche dicono poco. Ma insieme questi fatti parlano molto. La storia che stanno iniziando a raccontare è questa.
L’America, a quanto pare, sta diventando qualcosa come il primo paese povero del mondo. E questo è l’elefante nella stanza che non stiamo abbastanza afferrando. Dopotutto, l’autoritarismo e l’estremismo non sorgono nelle società prospere – ma in quelli problematici, che si stanno impoverendo, come l’America è oggi. Cosa intendo per tutto questo?
Iniziamo con ciò che non intendo. Non intendo la povertà assoluta. Gli americani non vivono con pochi dollari al giorno, in linea di massima, come ad esempio la gente della Somalia o del Bangladesh. Il reddito mediano dell’America è ancora quello di un paese ricco, intorno ai $ 50k, a seconda di come viene contato. Né intendo davvero povertà relativa – persone che vivono al di sotto del reddito medio. Mentre questo è un problema crescente in America, perché la classe media sta implodendo, non è proprio questo il vero problema a cui questi numeri accennano.
L’America sembra pioniere di un nuovo tipo di povertà. Uno per il quale non abbiamo ancora un nome. È qualcosa come vivere ai margini del coltello, essere costantemente sull’orlo della rovina, a un piccolo passo dalla catastrofe e dal disastro, sempre con il rischio di cadere attraverso le fessure. Ha due componenti: un’inflazione massiccia per le basi della vita, unita a un rischio schiacciante e asimmetrico. Verrò a quello che vogliono dire a breve.
L’americano medio ha un reddito relativamente alto, quello di una persona in un paese nominalmente ricco. Solo le sue entrate non vanno molto lontano. La maggior parte viene mangiata cercando di offrire le basi della vita. Abbiamo già visto quanto siano elevati i costi sanitari. Ma poi c’è l’educazione. C’è il trasporto. C’è interesse e affitto. Ci sono media e comunicazioni. C’è assistenza all’infanzia e agli anziani. Tutte queste cose riducono l’americano medio a vivere costantemente ai margini della rovina: uno stipendio lontano dalla miseria, un’emergenza che non va persa.
Ma questo non è vero per i colleghi americani. In Europa, in Canada e persino in Australia, la società investe in tutte queste cose e i costi delle società di base che le società non forniscono sono regolamentati. Per esempio, pago $ 50 dollari per la banda larga e la TV a Londra – ma $ 200 per la stessa cosa a New York – eppure a Londra, ottengo mezzi di comunicazione molto più numerosi e migliori per me (anche includendo, sì, spazzatura americana come Ancient Aliens) . Questa è una regolamentazione al lavoro. E quando beni di base come l’assistenza sanitaria o l’assistenza agli anziani o l’istruzione sono forniti e gestiti a livello sociale, è quando sono più economici, e spesso anche della migliore qualità. Quindi, l’assistenza sanitaria costa molto meno a Londra, Parigi o Ginevra e anche l’aspettativa di vita è più lunga.
Quindi, se stai guadagnando $ 50k in America, è una cosa molto diversa da guadagnare $ 50k in Francia, Germania o Svezia – in America, devi pagare in modo vertiginoso per le basi della vita, per le necessità di base. Così, i redditi si estendono molto più in altri paesi, che godono di una qualità della vita molto più alta, anche se le persone lì guadagnano all’incirca la stessa quantità, perché pagano molto meno per i beni di prima necessità. Gli americani sono ricchi, ma solo nominalmente – i loro soldi non acquistano quasi quanto i loro pari, dove conta e conta di più, per le basi della vita.
Cosa succede quando le società non capiscono tutto quanto sopra? Bene, una cosa strana è accaduta all’economia americana. Mentre è vero che cose come TV e Playstation sono diventate più economiche, i costi delle basi della vita sono saliti alle stelle. Tutte le cose che realmente migliorano la qualità della vita delle persone – sanità, finanza, istruzione, trasporti, alloggio e così via – sono arrivate a consumare una quota così elevata del reddito della famiglia media che hanno ben poco da salvare, investire o spendere su qualsiasi altra cosa E quel che è peggio, mentre le basi della vita hanno visto inflazione massiccia, salari e redditi (per non parlare di risparmi e benefici, reti e opportunità di sicurezza) per la maggior parte sono rimasti fermi. Il risultato è un’economia – e una società – che sta collassando.
Tuttavia,
tutto questo è l’effetto diretto di dare, per esempio, il controllo degli hedge fund sulle droghe, o il controllo degli speculatori su alloggi, sanità e istruzione – ovviamente massimizzeranno i profitti, mentre investono in queste cose socialmente, o almeno regolandole, minimizza i costi reali e massimizza l’accessibilità, l’accessibilità e la qualità.
Quindi l’americano medio, che è rimasto alto e asciutto, deve prendere in prestito, prendere in prestito, prendere in prestito, solo per mantenere una qualità di vita decente – perché consegnare il controllo del capitalismo alle basi della vita ha causato un’inflazione massiccia, schizzata alle necessità, mentre flatlining il suo reddito . In fin dei conti, l’assistenza sanitaria non costava la metà del reddito medio di un decennio fa, ma ora lo fa. Quindi cosa succede quando, in un decennio o due, l’assistenza sanitaria costa tutto ilreddito mediano? Come può un’economia – per non parlare di una società – funzionare in questo modo?
Bene, cosa succede se l’americano medio supera la linea? Manca una rata del mutuo, si ammala e non è in grado di pagare alcune bollette in tempo, non può pagare i costi dell’assistenza sanitaria? Quindi vengono puniti severamente e senza pietà. Il loro “rating” (nota come le banche e gli hedge fund non li hanno) è rovinato. Possono facilmente ritrovarsi per strada, senza finanziamenti, senza una seconda possibilità, senza accesso a nessun tipo di riparazione o supporto. E poi vengono rifiutati, evitati e ostracizzati. Potrebbero non avere più un indirizzo – quindi chi li assumerà? Non fanno più parte della società – sono caduti attraverso le fessure e trovare la via del ritorno è spesso quasi impossibile. Rischio asimmetrico: le società, le lobby e le banche non corrono alcun rischio, proprio perché l’americano medio le sopporta tutte ora.
Quindi gli americani non sono solo assolutamente o relativamente poveri, ma poveri in un modo completamente nuovo. In primo luogo, le basi della vita sono esplose nel prezzo, al punto che ora sono inaccessibili per molte, forse la maggior parte, le famiglie. In secondo luogo, gli americani si assumono il rischio di pagare quei costi insostenibili a un livello estremo, con i rischi che le istituzioni dovrebbero, e quindi quei rischi sono ora rovinosamente alti . Una banca o un hedge fund o una società potrebbero andare in bancarotta e liquidare le sue attività, ei suoi proprietari rimangono ricchi – ma se il rating di un americano è rovinato, perde il lavoro, non può pagare le sue bollette, o anche se dichiara bancarotta, cade le crepe, perseguitato, merlato, istituzionalmente segnato dal nero. Si ritrova fuori dalla società, con un piccolo modo di rientrare. Non c’è da stupirsiGli americani lavorano molto più duramente che altrove: sono sempre ad un passo dal perdere tutto, dalla vera rovina, ma i loro pari in paesi veramente ricchi non lo sono.
Marx probabilmente avrebbe chiamato questa immiserimento. I teorici neo-marxisti lo chiamano precarietà.
E mentre c’è la verità in entrambe le idee e le prospettive, penso che manchino tre punti vitali.
Non vediamo l’America come un paese povero, ma dovremmo cominciare. Gli americani vivono vite abbastanza abissali – brevi, solitarie, infelici, piene di lavoro, stress e disperazione, rispetto ai loro coetanei. Questo perché non possono permettersene di migliori: il capitalismo predatore unito alla totale cattiva gestione economica degli investimenti sociali ha reso le basi della vita rovinosamente inaccessibili. In questo modo, è effettivamente un paese povero – sì, c’è un piccolo numero di ultra-ricchi, ma ora sono fuori misura, fuori dalla mappa del normale. Perché non è solo un tipo di povertà, la povertà di ieri, o anche la povertà come siamo abituati a pensarci.
L’America sta sperimentando un nuovo tipo di povertà. Il tipo di povertà sviluppato in America non è solo bizzarro e macabro: è nuovo e invisibile. Non è qualcosa che comprendiamo bene, economisti, intellettuali, pensatori, perché non abbiamo una buona struttura per pensarci. Non è la povertà assoluta come la Somalia, e non è solo una povertà relativa, come nelle repubbliche delle banane dorate. È una creazione unicamente americana. Il capitalismo estremo incontra il darwinismo sociale attraverso una robusta autosufficienza attraversata da crudeltà puritana.
Il tipo di povertà che oggi il pioniere dell’America non è assoluto, o relativo,
ma qualcosa di più simile alla povertà perfettamente sintonizzata, alla povertà strategica, alla povertà di base – persone nominalmente benestanti il cui denaro non è abbastanza lontano da farle vivere bene, vivendo costantemente ai margini della rovina, e così costretti a soffocare la loro rabbia amara e servire gli stessi sistemi che opprimono e soggiogano con sempre più indegnità, paura e servilismo entro l’anno.
L’America è ancora un innovatore oggi. Sfortunatamente, ciò che sta innovando ora è un nuovo tipo di povertà. Eppure la povertà è povertà. Cosa succede nelle società in cui la povertà sta crescendo? L’autoritarismo aumenta, poiché le persone perdono la fiducia nella democrazia, che non sembra offrire loro un contratto sociale funzionante. L’autoritario diventa abbastanza presto fascismo – “questo paese, questa terra, il suo raccolto – è solo per il vero volk!”, Il grido sale, quando non c’è abbastanza per andare in giro. E il resto della storia cupa e cupa della caduta nell’abisso dovresti saperlo abbastanza bene ormai. Finisce in parole che non diciamo.
Eppure, la storia, ridendo, ci ha raccontato questa storia molte volte. E lo dice a domani, ancora, nel racconto del collasso americano.