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  • L’Italia, il paese dei musi lunghi. Siamo più pessimisti di greci, iracheni, e palestinesi

    L’Italia, il paese dei musi lunghi. Siamo più pessimisti di greci, iracheni, e palestinesi

     

    Ma è mai possibile che il record portato a casa nell’ultimo giorno dell’anno sia quello di popolo più pessimista del pianeta? Possibile che riusciamo a formulare per il nostro futuro previsioni più negative di altri alle prese con situazioni forse più gravi come iracheni, greci e palestinesi? Eppure la 39° Indagine di fine anno 2015 sulla felicità nel mondo diffusa alla mezzanotte del 30 dicembre da WIN/Gallup Internationalhttp://www.wingia.com e condotta interpellando un campione di 66.040 persone di 68 Paesi, assegna proprio all’Italia una scomoda maglia nera. A dirsi felici quest’anno sono stati il 66% degli interpellati (in lieve calo dal 70% del 2014). A dichiararsi infelice è stato il 10% (in aumento del 4% rispetto al 2014), cosa che ha indotto i ricercatori a definire un “indice netto” di felicità globale del 56%.

    A guardare con ottimismo alle prospettive economiche del 2016 è il 45% degli interpellati, più 3% sul 2014, più del doppio del 22% dei pessimisti. Ma se l’indice di felicità vede in testa Colombia (85%), Figi e Arabia Saudita (82%) , in coda Iraq (- 12%) Tunisia (7%) e Grecia (9%), è la classifica che combina ottimismo e felicità a penalizzarci: in testa Bangladesh (74%), Cina (70%) e Nigeria (68%). In coda, prima dei pessimisti/infelici proprio l’Italia (-37%), peggio di Iraq (-35%), Grecia (- 28%) e Palestinesi dei Territori Occupati (-27%), con un indice globale del 54% di ottimisti contro un 16% di pessimisti. Ora, pur muovendoci su un terreno scivoloso, visto che sventolare la bandiera dell’ottimismo è stato per anni monopolio dai leader politici, passando agevolmente di mano da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, lo vogliamo dire che questo primato dei musi lunghi è davvero esagerato? Possiamo finalmente provare a domandarci se in un mondo sempre più complicato, oltre a problemi e difficoltà innegabili, che non sono però un’esclusiva del BelPaese, forse questo guardare al futuro sempre a tinte fosche non è realismo impietoso ma ha anche una matrice culturale?

    In coda alla classifica, prima dei pessimisti/infelici proprio l’Italia (-37%), peggio di Iraq (-35%), Grecia (- 28%) e Palestinesi dei Territori Occupati (-27%), con un indice globale del 54% di ottimisti contro un 16% di pessimisti

    Attento studioso dei nuovi fenomeni sociali, Davide Bennato docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Sociologia dei media digitali all’Università di Catania sottolinea a questo proposito l’importanza della cosiddetta Spirale del Silenzio. Una teoria che analizzando il potere persuasivo dei mass media, tv in particolare, gli riconosce la forza di enfatizzare i messaggi prevalenti. In sostanza, un singolo interpellato per un’indagine sarebbe indotto ad allinearsi a quello che è il messaggio che ritiene condiviso dalla maggioranza, in questo caso una prospettiva negativa per il proprio Paese. Difficile confutare il fatto che siano le cattive notizie a dominare nell’informazione quotidiana, rimbalzando da tutto il pianeta. E certo individuare e denunciare problemi, drammi e disservizi è doveroso e sacrosanto. Ma c’è molto altro, in questa esasperata propensione nostrana al pessimismo, che forse alla fine dell’anno, con i buoni propositi per il 2016, dovremmo finalmente affrontare senza timore di impantanarsi in duelli fra gufi e iperottimisti.

    Nel Paese che diede i natali a un personaggio capace di coniugare come nessun altro cultura umanistica, scienza e tecnologia, un certo Leonardo, che continua a sfornare oggi straordinari talenti capaci di affrontare con successo le mille sfide dell’innovazione e della conoscenza, combinando competenze diverse, per questo corteggiati e contesi in tutto il mondo, ebbene in questo Paese nel 2015 che volge al termine l’attenzione e l’ammirazione per chi risolve problemi e crea soluzioni è scostante, distratta, infinitamente minore rispetto a quella che si dedica a chi i problemi li denuncia, magari urlando, spesso col dito accusatorio puntato contro qualcun altro, che ha tutte le coppe e a cui spetta trovare soluzioni.

    Mentre il mondo dell’innovazione corre celebrando la cultura del “problem solving”, noi siamo ancora zavorrati al “problem creating”, rivoli infiniti di potere e sottopotere che sopravvivono grazie alla complicazione e a ostacoli insulsi che nascondono microrendite di posizione

    Mentre il mondo dell’innovazione, da quello delle startup al movimento dei makers, corre celebrando la cultura del “problem solving”, noi siamo ancora zavorrati al “problem creating”, rivoli infiniti di potere e sottopotere che sopravvivono grazie alla complicazione e a ostacoli insulsi che nascondono microrendite di posizione. Con una parte di intellettuali e opinion makers specializzati solo nel criticare e denunciare (compito prezioso, ci mancherebbe) ma spesso del tutto indifferenti, se non diffidenti, nei confronti di chi crea costantemente soluzioni, attraverso nuovi prodotti o nuovi sistemi che migliorano la nostra quotidianità, specie se queste soluzioni sono fuori dagli schemi o contraddicono pregiudizi ideologici. Forse è per questo che nella vetrina dei media chi grida, chi celebra quella che Julio Velasco, allenatore e guru, ha ben definito “cultura degli alibi” (è sempre colpa di qualcun altro”) la fa da protagonista, mentre chi inventa o risolve non merita attenzione.

    Questa propensione a veder nero nasconde una crisi profonda e irreversibile. Non dell’Italia, che non è affatto votata a una decadenza senza speranza come troppi sostengono. Ma di modelli culturali attraverso i quali, per troppo tempo, troppe persone hanno interpretato il mondo. E che a mio giudizio stanno franando. Questi modelli sono alla base di quello che negli anni Cinquanta un celebre studio di Edward C. Banfield definì familismo amorale e del quale non ci siamo ancora liberati. L’idea cioè di poter favorire con vantaggi di breve termine i membri della propria cerchia, a scapito degli altri, con l’idea che tutti si comportino allo stesso modo. Uno sperpero che in un mondo sempre più Villaggio Globale non ci possiamo più permettere.

    La grande speranza sono i tanti, giovani e non, che hanno ben chiaro il potenziale immenso che tutto il mondo invidia: una ricchezza di talento e di cultura che è quel che serve per affrontare le sfide della modernità

    In un Paese che a oltre 150 anni dall’unità ancora fatica a riconoscersi in un’identità condivisa, in valori quali meritocrazia, senso civico e responsabilità individuale, retaggio della cultura protestante, le due matrici culturali principali che permeano la società, quella cristiano cattolica e quella socialista comunista, ci hanno assuefatti a diffidare dell’iniziativa individuale e a privilegiare sempre la fedeltà e l’appartenenza (al circolo, alla parrocchia, al partito, alla corrente) rispetto alle capacità ed al merito individuale. Non sono concetti astratti, quando un imprenditore che considera il suo principale avversario il collega che fa lo stesso lavoro a poca distanza diffida o si oppone al fare squadra o distretto assieme a lui, quando un gruppo di ricerca non condivide i propri risultati con altri e magari ignora cosa facciano i ricercatori del laboratorio a fianco, in un’era in cui la conoscenza è tutta scambio, confronto e interazione.

    Sono questi modelli, segnati da una conflittualità assurda e autolesionista (ho chiamato “Sindrome del Palio di Siena” l’abitudine diffusa a realizzarsi nella sconfitta altrui) ad essere in crisi profonda, a spingere alcuni a credere che l’Italia non abbia speranze, e come su un Titanic che affonda, tanto vale assestare l’ultimo schiaffo a quello che ci sta antipatico.

    Non è così, la grande speranza sono i tanti, giovani e non, che non cedono a questa penosa deriva, i tantissimi che forti magari di esperienze all’estero hanno ben chiaro il potenziale immenso che tutto il mondo invidia: una ricchezza di talento e di cultura che è quel che serve per affrontare le sfide della modernità. Per non continuare a sperperarla e a veder nero, non c’è da invocare miracoli per raddrizzare la nave. C’è solo da fare una rivoluzione culturale. Con un bel po’ di ottimismo. La iniziamo, in questo 2016? Forse è già iniziata.

  • La poesia “Se” di Kipling è l’eredità che tutti i figli dovrebbero ricevere dai propri padri

    La poesia “Se” di Kipling è l’eredità che tutti i figli dovrebbero ricevere dai propri padri

    English writer, Rudyard Kipling (1865-1936)
    English writer, Rudyard Kipling (1865-1936)

    SE

    Se riesci a conservare il controllo quando tutti

    Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;

    Se riesci ad avere fiducia in te quando tutti

    Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;

    Se riesci ad aspettare e a non stancarti di aspettare,

    O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,

    O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall’odio,

    e tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio:

    Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;

    Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;

    Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina

    e trattare allo stesso modo quei due impostori;

    Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto

    Distorta da furfanti per abbindolare gli sciocchi,

    O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita infrante,

    E piegarti a ricostruirle con arnesi logori.

    Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite

    E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,

    E perdere e ricominciare di nuovo dal principio

    E non fiatare una parola sulla perdita;

    Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi

    A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,

    E a tenere duro quando in te non resta altro

    Tranne la Volontà che dice loro: “Tieni duro!”

    Se riesci a parlare con la folla e a conservarti retto,

    E a camminare coi Re senza perdere il contatto con la gente,

    Se non riesce a ferirti il nemico né l’amico più caro,

    Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;

    Se riesci a occupare il minuto inesorabile

    Dando valore a ogni istante che passa,

    Tua è la terra e tutto ciò che è in essa,

    E – quel che è più – sei un Uomo, figlio mio!

  • 11 motivi per cui 2015 è stato un grande anno per l’Umanità

    11 motivi per cui 2015 è stato un grande anno per l’Umanità

    Stiamo vivendo il periodo più stupefacente del progresso umano nella storia. E nessuno ci sta dicendo nulla su di esso.
    Mentre il 2015 volge al termine, sarebbe difficile trovare qualcuno che sostenga che è stato un buon anno per la razza umana. Le cattive notizie sono state implacabili: la guerra in Siria, la crisi dei rifugiati in Turchia e in Europa, i terremoti in Nepal, attentati a Parigi, assassinii di massa negli Stati Uniti, le inondazioni in India. Con i mezzi di comunicazione pieni di omicidi cruenti e social media pieni di piagnistei su quanto l’uomo sia egoista / materialista / miope versi altri esseri umani, dovrei essere perdonato se penso che il mondo stia andando all’inferno.
    Però sbaglierei.
    Franklin Roosevelt disse una volta, “la prova del nostro progresso non è se diamo di più a chi ha già molto; ma se mettiamo a disposizione abbastanza per chi ha troppo poco “. E se applichiamo questi criteri per il mondo nel suo insieme, il 2015 è stato un anno davvero molto buono.
    Ecco perché.

    1) Siamo molto più vicini a garatire l’istruzione universale globale
    Nel mese di aprile di quest’anno l’UNESCO ha pubblicato un rapporto sullo stato dell’educazione globale, mostrando che negli ultimi 15 anni il numero di bambini in tutto il mondo che non hanno accesso all’istruzione è dimezzato, da 100 a 57 milioni.
    Questo grazie a una maggiore sensibilità sui benefici dell’educazione per l’individuo e la società, maggiori investimenti da parte dei governi e aumento degli anni minimi obbligatori di istruzione. E ‘un risultato incredibile – vuol dire che siamo in un mondo in cui nove bambini su dieci stanno imparando a leggere e scrivere. La Banca mondiale ora dice che siamo ad una sola generazione di distanza da un mondo in cui ogni singola persona è alfabetizzata.

    2) L’estrema povertà è scesa sotto il 10% – il tasso più basso di tutti i tempi.
    Il numero di persone in condizioni di estrema povertà (definite come coloro che vivono con meno di 1,90 $ al giorno) è sceso a 702 milioni nel 2015, ovvero il 9,6% della popolazione mondiale. E’diminuito di 902 milioni di persone, rispetto al 12,8% della popolazione mondiale nel 2012. E ‘il più basso numero di persone che vivono in estrema povertà negli ultimi 200 anni. Come dice Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale: “Questo è il miglior risultato dall’inizio della storia ad oggi – queste proiezioni ci dimostrano che siamo la prima generazione nella storia umana che può mettere fine alla povertà estrema. ”

    3) Sempre più persone sono connesse a Internet come mai prima.
    A livello globale, ci sono ora 3,2 miliardi di persone online, e 2 miliardi di loro provengono da paesi in via di sviluppo. Nel 2000 questi numeri sono stati 300 milioni e 100 milioni rispettivamente. Significa che il numero di persone con accesso a internet è aumentato di otto volte in soli 15 anni. Certo, c’è ancora una lunga strada da percorrere. Nei paesi meno sviluppati, solo il 9,5% della popolazione ha accesso a internet, rispetto al 35,3% per i paesi in via di sviluppo e al 82,2% per i paesi sviluppati. Ma questi numeri sono in rapida evoluzione. La capacità di Internet in Africa, ad esempio, è cresciuto del 51% negli ultimi cinque anni. E i telefoni cellulari stanno conducendo la carica. A livello globale, gli abbonamenti sono più di 7 miliardi, e il 95% della popolazione dispone di un segnale di rete mobile.
    Il 2015 ci ha mostrato che il prossimo miliardo di persone utilizzeranno il web dai telefoni cellulari e a basso costo. Non ci sono stati corsi, nessun tutorial, in grado di scoraggire le persone. L’internet mobile è così intuitivo, e così ovviamente utile, che è diventato la tecnologia più veloce nella storia umana. Per ogni 10 persone che hanno accesso a internet, circa una persona viene sollevato dalla povertà e circa un nuovo posto di lavoro è stato creato. E ricordate … grazie ai nostri successi in materia di istruzione, tutti questi nuovi utenti possono leggere e scrivere. Essi rappresentano decine di migliaia di miliardi di dollari di nuovo potere d’acquisto economico, e un ulteriore miliardo di persone hanno la possibilità di accedere alla rete Internet a portata di mano.

    4) Milioni di persone hanno avuto accesso ai finanziamenti per la prima volta
    Nel mese di aprile di quest’anno una piccola organizzazione la Findex, ha rilasciato il più grande studio sull’inclusione finanziaria nel mondo.
    Sulla base di interviste a 150.000 adulti in più di 140 paesi, ha dimostrato che tra il 2011 e il 2014 ulteriori 700 milioni di persone sono diventate dei titolari dei conti presso banche, altre istituzioni finanziarie, o fornitori di servizi finanziari basati sulla telefonia mobile, e il numero di individui ‘unbanked’ è sceso del 20 %.
    Questa tendenza è stata trainata in particolare da nuovi servizi finanziari basati sul “mobile”. Paesi come la Costa d’Avorio, Somalia, Tanzania, Uganda e Zimbabwe hanno ora più adulti che utilizzano un conto disponibile sul cellulare piuttosto che un conto presso un istituto finanziario.
    Questo è importante, perché l’accesso ai servizi finanziari è ampiamente percepita come un motore di sviluppo, in particolare nei paesi a basso reddito, dove il 54% della popolazione non ha accesso alle banche tradizionali. Ecco perché l’esplosione del mobile è stata così importante. Per i 700 milioni di persone che hanno appena guadagnato l’accesso ai pagamenti digitali, attraverso un telefono cellulare o un terminale POS, si è creata l’opportunità di fornire opzioni di pagamento più comode e convenienti. Significa che saranno in grado di avviare imprese, trasferire denaro, investire in istruzione e affrontare meglio gli shock finanziari.

    5) Il numero dei decessi per AIDS è diminuito per il 15 ° anno di fila
    Negli anni 1980 e 1990, l’AIDS è stato raramente fuori dai titoli della stampa. Eravamo abituati a vedere rapporti quotidiani sulla devastazione che causava, e molte persone si aspettavamo che i pedaggi alla morte sarebbero aumentati. Per i 37 milioni di persone che in tutto il mondo vivono con l’AIDS oggi, però, la malattia è sia curabile che prevenibile. Grazie ad uno sforzo globale concertato per migliorare l’accesso ai farmaci anti-retro-virali abbiamo svoltato nella lotta contro questa terribile malattia.
    UNAIDS afferma che il 41% di tutte le persone che sono HIV positivi, sono ora in trattamento, quasi il doppio della percentuale del 2010. Si rilevano 2 milioni di nuove infezioni da HIV in tutto il mondo nel 2014-15, il numero più basso dal 2000. Anche il numero dei morti sta scendendo, da un massimo di 2 milioni nei primi anni 2000 a 1,2 milioni di quest’anno. L’obiettivo di UNAIDS è quello di porre fine all’epidemia entro il 2030. Ci vorranno più soldi, un maggiore sostegno politico e più lavoro. Ma quello che abbiamo visto quest’anno è che la possibilità di una generazione priva di HIV è ormai in vista.

    6) Abbiamo dimezzato il tasso di mortalità della malaria
    La malaria è uno dei più grandi assassini dell’umanità, responsabile di più morti di quelli causati da tutti gli incidenti stradali in tutto il mondo. Negli ultimi dieci anni, però, abbiamo preso finalmente sul serio la lotta contro la malattia. Questo è grazie a tre interventi chiave per il controllo della malaria chia: zanzariere trattate con insetticida, trattamento degli ambienti interni con insetticidi e la terapia combinata a base di artemisinina. Dal 2000, per esempio, circa 1 miliardo di zanzariere trattate con insetticida sono state distribuite in Africa sub-sahariana.
    I tassi di mortalità sono diminuiti del 85% nel sud-est asiatico, del 72% nelle Americhe, del 65% nel Pacifico, e del 64% in Medio Oriente. Mentre l’Africa continua a pagare il prezzo più alto alla malaria, nel corso degli ultimi 15 anni, i tassi di mortalità sono diminuiti del 66% tra tutti i gruppi di età, e del 71% tra i bambini sotto i cinque anni, una popolazione particolarmente sensibili alla malattia. A livello globale, il numero dei decessi per malaria è sceso da un valore stimato 839.000 nel 2000 a 438.000 nel 2015. Ciò significa che abbiamo salvato circa 6,2 milioni di persone dalla malaria negli ultimi 15 anni  – un risultato straordinario.

    7) La poliomielite sta per essere debellata per sempre.
    Un quarto di secolo fa, un certo numero di organizzazioni sanitarie internazionali si sono impegnate nella missione di debellare la polio in tutto il mondo. Con 350.000 bambini colpiti e oltre 1.000 paralizzati ogni giorno, sembrava un obiettivo impossibile. Da allora, sono stati investiti più di 9.000.000.000 di dollari, e più di 2,5 miliardi di bambini in tutto il mondo hanno ricevuto le vaccinazioni. Di conseguenza, il numero di casi di polio è stato ridotto del 99% e nel dicembre di quest’anno, l’Organizzazione mondiale della sanità ha annunciato che la polio non è più endemica in Nigeria, aprendo la strada per farla diventare l’ultima nazione africana da dichiarare ufficialmente libera dalla polio entro il 2017. Questo lascia solo due paesi con casi di polio endemici – Pakistan e Afghanistan. Se, come i professionisti della salute prevedono, si riuscirà a eliminare i 334 casi che ancora rimangono, una malattia che una volta ha ucciso e mutilato i bambini a decine di migliaia si unirà il vaiolo e il Verme della Guinea come piaghe consegnata alla storia.

    8) Meno fame quest’anno rispetto al passato.
    Dei 7,3 miliardi di persone sul pianeta, si stima che 805 milioni – o uno su nove – soffriva di fame cronica tra il 2012 e il 2014. Tuttavia, tale numero è sceso di circa 200 milioni da un quarto di secolo fa. Questo è abbastanza impressionante, soprattutto se si considera che la popolazione mondiale è cresciuta di 1,9 miliardi di persone durante lo stesso periodo. E il tasso di fame è anche in declino. Nel 1990, uno degli obiettivi che ci siamo posti come specie è stato quello di dimezzare il tasso di fame. Oggi, 72 dei 129 paesi in via di sviluppo si sono accordati su questo obiettivo. Globalmente solo il 12,9% della popolazione in paesi in via di sviluppo soffrono oggi la fame, rispetto al 23,3% di un quarto di secolo fa.

    9) Più persone hanno acqua potabile.
    Uno degli obiettivi meno considerato tra le storie di successo del 2015 è invece uno di quelli più importanti. Quest’anno, il numero di persone senza accesso all’acqua potabile è sceso sotto i 700 milioni per la prima volta nella storia. Ciò significa che più di 6,6 miliardi di persone, ovvero il 91% della popolazione mondiale utilizza ora una migliore fonte di acqua potabile, dal 76% nel 1990. Nel 2015 solo tre paesi – Angola, Guinea Equatoriale e Papua Nuova Guinea – hanno una fornitura di acqua pulita inferiore al 50%, rispetto ai 23 paesi nel 1990. Solo nell’Africa sub-sahariana, 427 milioni di persone hanno avuto accesso all’acqua potabile, una media di 47.000 persone al giorno, tutti i giorni, negli ultimi 25 anni.

    10) La mortalità infantile è in diminuzione per il 43° anno di fila.
    Il tasso di mortalità, per i bambini sotto i cinque anni, è diminuito in quasi ogni paese della terra. Questo grazie ai progressi nella lotta contro le malattie come la malaria e la tubercolosi, agli integratori di vitamina A, ai nuovi farmaci contro l’HIV / AIDS e ad un migliore trattamento contro la diarrea e la polmonite. Ciò significa che nel 2015, per la prima volta in assoluto, il tasso di mortalità infantile globale (definito come la mortalità infantile sotto i 5 anni) è sceso al di sotto della soglia dei 6 milioni. Negli ultimi 25 anni, circa un terzo dei paesi del mondo – 62 in tutto – ha ridotto la mortalità sotto i cinque anni di due terzi, mentre altri 74 di almeno la metà. E il progresso è venuto da alcuni dei paesi più colpiti al mondo; 10 dei 12 paesi a più basso reddito che hanno ridotto i tassi di mortalità sotto i cinque anni, di almeno due terzi, sono in Africa.
    Ciò significa che si sono salvati circa 19.000 in più al giorno, nel 2015, rispetto al 1990, anno di riferimento per misurare i progressi. Solo dal 2000, abbiamo salvato la vita di 48 milioni di bambini. Questo numero è superiore a quello dei morti causati dalle guerre e dalle violenze durante lo stesso periodo. Significa che meno genitori, hanno dovuto seppellire i loro figli quest’anno che in qualsiasi altro periodo della storia umana. E’una delle notizie più sorprendenti del nostro tempo, e tuttavia il suo peso sui media è di 100 volte inferiore rispetto alle storie sul terrorismo.

    11) Abbiamo raggiunto un punto di svolta nella lotta contro il cambiamento climatico.
    Tre grandi cose sono accadute per il cambiamento della politica sul clima nel 2015. La prima è che il 2015 sembra destinato ad essere l’anno più caldo mai registrato. Questo significa che le temperature sono salito di 1 ° C a partire dalla rivoluzione industriale. Il periodo di cinque anni tra il 2011 e il 2015 è anche il più caldo mai registrato; le giustificazioni sul cambiamento climatico addotte dai negazionisti stanno diventando sempre più ridicole. Abbiamo svolato; chi nega l’influenza delle emissioni sul clima non viene più preso sul serio. Il mondo è andato avanti, e i contrari sono diventati reliquie irrilevanti.
    La seconda cosa è che, grazie al forte calo del consumo di carbone in Cina e un ad un continuo aumento delle energie rinnovabili in tutto il mondo, il 2015 sembra destinato ad essere il primo anno in assoluto durante il quale le emissioni di CO2 sono diminuite mentre l’economia mondiale in generale è cresciuta. Se la transizione energetica sia permanente, non è ancora chiaro, ma i segnali sono incoraggianti. Nei paesi sviluppati i segni sono evidenti. Hanno raggiunto un picco nel consumo complessivo di combustibili fossili e ora sta iniziando la transizione verso forme più pulite di energia.

    Il terzo, e più importante evento è stata la firma dell’accordo di Parigi. Il punto centrale è il cosiddetto ‘obiettivo a lungo termine’ che impegna quasi 200 paesi a mantenere la temperatura media globale al di sotto dei 2 ° C, rispetto ai livelli pre-industriali, e di “proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a non più di 1,5 ° C” . L’obiettivo a lungo termine afferma inoltre che nella seconda metà di questo secolo, il mondo dovrebbe arrivare a un punto in cui le emissioni nette di gas serra dovrebbero essere pari a zero.
    Certo, non è abbastanza. C’è una lunga strada da percorrere prima che gli impegni corrispondano a tale obiettivo. Ma è più di quanto ci si potesse aspettare, e un trionfo per la diplomazia. Il più grande raduno di leader mondiali mai avvenuto, il problema più grande che l’umanità abbia mai affrontato, si è concluso con la stesura di un documento giuridicamente vincolante accettato da tutti i paesi. Jonathan Chait riassume perfettamente:
    Le forze tecnologiche e politiche sono finalmente in atto per realizzare il primo patto globale atto a limitare le emissioni di gas serra. Il mondo sta improvvisamente rispondendo all’emergenza clima con – per gli standard del suo comportamento precedente – velocità sorprendente. La partita non è finita. E i bravi ragazzi stanno iniziando a vincere.
    Il mondo non è un posto perfetto. Molte cose sono andate male per l’umanità di quest’anno. Abbiamo ancora grossi problemi, in particolare intorno al degrado ambientale, le migrazioni internazionali, l’estremismo politico e la disuguaglianza economica. Queste sono le grandi sfide del nostro tempo. Ed è anche vero che l’ondata di progresso non ha raggiunto tutti. Troppe persone vivono ancora in condizioni di povertà estrema, 6 milioni di bambini muoiono ancora ogni anno di malattie curabili e centinaia di milioni di persone non possono esercitare le libertà fondamentali. Ma, come uno dei miei preferiti di statistica dice Hans Rosling, “Devi essere in grado di contenere due idee in testa in una sola volta: il mondo sta migliorando e non è abbastanza buono!”
    E ‘facile essere cinici dicendo che nulla sta migliorando nel nostro mondo. L’evidenza empirica contraddice questo punto di vista; guardando a ciò che abbiamo già raggiunto come specie, dobbiamo quandare al futuro con fiducia. Stiamo costantemente sottovalutando le capacità dell’umanità di lavorare in modo cooperativo, affrontare nuove sfide e ampliare la prosperità globale e le libertà fondamentali. Ora abbiamo una finestra di opportunità per creare la più grande era di progresso nella storia umana. Non sarà facile, così come non lo è stato in passato, e ci vorrà coraggio, sacrificio e una forte leadership. Ma i potenziali sviluppi sono impressionanti. E riusciremo a farcela, possiamo sperare in un periodo d’oro per il genere umano e per la terra su cui viviamo.

    Tradotto ed adattato da
    https://medium.com/future-crunch/11-reasons-why-2015-was-a-great-year-for-humanity-70db584db748#.fp21siye4

  • Intervista a George Hornby

    Intervista a George Hornby

    «Quella delle persone con disabilità è una minoranza grande e in qualche modo riguarda (e riguarderà) ogni famiglia, quasi senza eccezione. Dunque, anche se la nostra malattia è particolare, credo che sia decisivo fare parte attivamente del gruppo più ampio di persone con disabilità.».

    “Io e George” è un docu-film sulla sclerosi multipla ospitato da Rai 3 e prodotto da Pesci Combattenti. Un racconto in sei tappe, un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia. Protagonisti la scrittrice Simonetta Agnello Hornby e suo figlio George, diagnosticato di sclerosi multipla 13 anni fa. In onda il venerdì in seconda serata a partire dal 20 novembre. “Un’esperienza ricca di scoperte e riflessioni, nate dalla voglia di «uscire dagli schemi tranquillizzanti» e di mettersi in strada”.

    “Quando cerchiamo di ottenere inclusione sociale è meglio se ci integriamo, se ci mettiamo insieme ad altre associazioni e altre persone”

    Sì, lavoravo in una banca di investimenti. Ho fatto sia l’avvocato che l’investment banker. Il mio lavoro mi portava spesso a viaggiare all’estero, più o meno partivo una volta alla settimana. A un certo punto non riuscivo più a viaggiare così facilmente, ogni viaggio comportava una grande fatica. E allora ho smesso di lavorare.

    Cosa è cambiato, da allora?

    Quando smetti di lavorare il tuo raggio sociale diminuisce di molto, quasi senza avvertirtene. Dopo tutto, è bello non lavorare? E questo rende anche più importante potere uscire di casa e fare cose comuni, così anche qualche contatto con la società esterna si mantiene.

    Anche da voi c’è una pensione, un assegno di sostegno per le persone con disabilità?

    Sì c’è un sostegno, minimo. Io sono fortunato: avevo un’assicurazione, che era parte dei miei diritti quando lavoravo in banca: mi paga due terzi del mio stipendio e continuerà fino a quando avrò l’età della pensione. È uno stipendio a vita praticamente.

    È importante, così sei autonomo e non dipendi da nessuno…

    Senza il sostegno morale e finanziario della mia famiglia non vivrei come vivo ora. Però questa assicurazione è un aiuto notevole fino ai 60 anni, è fondamentale. Finanziariamente altrimenti sarei molto più povero e mi sentirei meno indipendente.

    Vivere bene e avere entrate adeguate è un diritto da garantire a tutti. Come si fa a passare da una garanzia individualizzata a un diritto collettivo?

    Quando cerchiamo di ottenere inclusione sociale di chi ha la sclerosi multipla o la SLA è meglio se ci integriamo in una più grande associazione di disabili: anche se non farà esattamente al caso nostro specifico, è meglio se ci mettiamo insieme ad altre associazioni e altri malati, e anche ai vecchietti, che per esempio hanno gli stessi nostri problemi di mobilità nei trasporti pubblici.

    Insieme si è più forti? Non si rischia però che poi arrivino risposte generiche quando i bisogni sono specifici?

    Ho fatto ricerche sul livello di disabilità: in Inghilterra, secondo le cifre ufficiali del Governo, il 19% della popolazione inglese è disabile e dopo i 70 anni più del 50% della popolazione diventa disabile. Quella delle persone con disabilità, dunque, è una minoranza grande e in qualche modo riguarda (e riguarderà) ogni famiglia, quasi senza eccezione. Dunque, anche se la nostra malattia è particolare, credo che sia decisivo fare parte attivamente del gruppo più ampio delle persone con disabilità. Io per esempio faccio parte di un’organizzazione londinese che si chiama “Transport for all”, che fa campagne per avere i trasporti pubblici accessibili. Questo coinvolge tutte le persone con disabilità.

    A proposito di condividere i diritti con tutti, le persone con sclerosi multipla in Italia nel 2014 hanno voluto scrivere, pubblicare e fare firmare da tutti la Carta dei Diritti delle Persone con SM. Ora siamo arrivati a più di 40 mila firme: vuoi aggiungere la tua?

    Sì, sono pronto a firmare anche io.

  • Che cos’è l’Ur-Fascismo?

    Che cos’è l’Ur-Fascismo?

     

     

    Spesso ci troviamo di fronte a personalità politiche, a singole proposte o a interi programmi che suscitano in noi accuse di “fascismo”, pur sapendo che nulla esse hanno a che fare con il fascismo storicamente inteso.

    E non solo il “fascismo” si riscontra in occasioni e in persone temporalmente distanti dal fu Partito Nazionale Fascista: nel corso della storia i detrattori ne hanno ritrovato le caratteristiche in ambiti geograficamente disconnessi.

    Scrive Umberto Eco nel suo saggio Il fascismo eterno (pubblicato come “Totalitarismo fuzzy e ur-fascismo” su La Rivista dei Libri, n°7/8 Luglio/agosto 1995):

    Perché un’espressione come “Fascist pig” veniva usata dai radicali americani persino per indicare un poliziotto che non approvava quello che fumavano? Perché non dicevano: “Porco Caugolard”, “Porco falangista”, “Porco ustascia”, “Porco Quisling”, “Porco Ante Pavelic”, “Porco nazista”?

    Eco parte da questa constatazione per tracciare una distinzione tra i tre principali regimi del Novecento: mentre il nazismo e lo stalinismo furono veri e propri totalitarismi, lo stesso non si può dire del fascismo italiano, il quale rimase una “semplice” dittatura.

    Un regime totalitario, per quanto liberticida e violento sia, è estremamente coerente nei confronti dell’ideologia da cui scaturisce e all’infuori della quale non è dato parlare. Non esiste pensiero fuori dall’unica, vera, filosofia che scorre in ogni angolo del corpo sociale.

    Il nazismo aveva un cuore anticristiano e neopagano, e un testo sacro completo, il Mein Kampf; Stalin fondò il suo regime sulla versione ufficiale del marxismo sovietico, il Diamat, essenzialmente materialista e ateo. Al contrario, il fascismo fu un regime estremamente incoerente e ideologicamente sgangherato, spiega Eco:

    Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica … fu il fascismo italiano a convincere molti leader liberali europei a un’alternativa moderatamente rivoluzionaria alla minaccia comunista … la parola “fascismo” divenne una sineddoche, una pars pro toto per movimenti totalitari diversi … Il fascismo era un totalitarismo fuzzy, un alveare di contraddizioni … nacque proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori.

    Inoltre, da convinto anticlericale qual era, in quegli anni Mussolini firmò i Patti Lateranensi e non disdegnava di farsi chiamare “l’uomo della Provvidenza”.

    Molti di quelli che diverranno intellettuali del Partito Comunista, dopo l’esperienza nelle fila dei partigiani per la liberazione, negli anni Trenta avevano trovato spazio nei Gruppi Universitari Fascisti. E questo non per contiguità ideologica o per tolleranza dei fascisti verso idee filosofiche o artistiche diverse (Eco cita l’esempio degli ermetici), quanto per l’incapacità dell’apparato intellettuale fascista di controllare e quindi censurare sul nascere fermenti ideologici differenti. La dissidenza veniva violentemente perseguita solo quando diventava socialmente pericolosa per il regime: da qui lo squadrismo con le sue aggressioni a sfondo politico, gli assassinii di Matteotti e dei fratelli Rosselli, il confino ad mortem di Gramsci, la soppressione della libertà di stampa, di associazione, lo smantellamento dei sindacati, il controllo governativo dei mass media e dell’attività legislativa del parlamento fino all’emanazione delle leggi razziali fasciste nell’agosto del 1938.

    In sintesi, «Ci fu un solo nazismo … al contrario, si può giocare al fascismo in molti modi». Il fascismo è una di quelle nozioni che, usando Wittgenstein, indica una serie di attività accomunate da qualche “somiglianza di famiglia”. È quello che accade alla nozione di gioco. Tra le configurazioni possibili, sopravvive una «lista di caratteristiche tipiche» di quello che Eco chiama «Ur-Fascismo o “fascismo eterno”».

    1. Tradizionalismo o culto della tradizione: il fascismo utilizza un approccio sincretistico alla cultura che mette sullo stesso piano conoscenze, anche contraddittorie tra loro, che alludono a una qualche verità primitiva. Il tradizionalismo impedisce così qualsiasi avanzamento del sapere.

    2. Anti-modernismo: l’ideologia del sangue e della terra (Blut und Boden) condanna la Ragione celebrata invece dall’illuminismo.

    3. Irrazionalismo: l’Ur-Fascismo ammira l’azione per l’azione, senza riflessione alcuna. La cultura e il mondo intellettuale sono perciò visti con sospetto (ricordiamo il tradizionalismo).

    4. Anti-criticismo: un approccio sincretistico, teso a racchiudere nello stesso concetto di verità immagini eterogenee tra loro, non tollera le distinzioni operate naturalmente dallo spirito critico. «Per l’Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento».

    5. Le distinzioni operate dallo spirito critico sulla realtà danno forma al diverso. Il fascismo eterno, opponendosi al criticismo, è quindi essenzialmente xenofobo e razzista.

    6. Timore per la pressione delle classi subalterne: l’Ur-Fascismo si appella alla frustrazione della classe media e fa leva sul suo horror proletariati.

    7. Complottismo od ossessione del complotto: intimamente legato alla xenofobia (paura del diverso), storicamente si traduce nel nazionalismo dei regimi fascisti. L’ossessione del complotto come strumento di governo individua anche nemici interni allo stato (gli ebrei ne sono il modello).

    8. Incapacità di valutare la forza del nemico: la psicologia fascista alterna senso di umiliazione nei confronti del nemico, troppo forte, alla convinzione della propria superiorità su un nemico in realtà infinitamente più debole. «I fascismi sono condannati a perdere le loro guerre».

    9. Guerra permanente e “vita per la lotta” da cui dedurre una soluzione finale che porti a una pacificata Età dell’Oro, concetto che contravviene però, alla vita come eterna guerra.

    10. Elitismo: l’Ur-Fascismo disprezza i deboli. Storicamente però, dovendo attirare le masse popolare, l’elitismo si è manifestato nel provincialismo dei regimi fascisti.

    11. Eroismo e culto per la morte. Troppo bonario per sognare di morire e per vivere continuamente di lotta, il fascista nel suo quotidiano ripiega su un più semplice

    12. Machismo. Che poi indica una ben più banale invidia penis.

    13. Populismo “qualitativo”: secondo Eco, il fascismo utilizza il concetto di popolo come «entità monolitica che esprime la volontà comune (e non “generale”, aggiungiamo noi)». Da questo populismo comprendiamo l’anti-parlamentarismo e il disinteresse verso la maggioranza. «Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo TV o Internet, … l’Ur-Fascismo deve opporsi ai “putridi” governi parlamentari».

    14. Neolinguismo: per neolingua si intendono alcuni impieghi strumentali del linguaggio e dello studio, impiegati a sostegno del potere costituito. L’Ur-Fascismo promuove l’ignoranza e disprezza il ragionamento, caratteristiche riscontrabili tanto nei talk-show televisivi berlusconiani quanto nel «lessico semplice ed elementare dei testi scolastici nazisti e fascisti».

    La lista qui sopra dà corpo storico alla tesi di Eco secondo cui il fascismo non è un regime totalitaristico, poiché impiega queste caratteristiche senza rispettare uno schema ideologico coerente, disponendone con lo scopo del rafforzamento del proprio potere sull’ordine sociale . Può aiutarci a escludere politici vecchi e nuovi che si ripresentano nella corsa al potere. Con l’augurio di un buon voto.

  • La lezione di Pareto. La politica senza élite non è vera politica

    La lezione di Pareto. La politica senza élite non è vera politica

    L’ingegnere-economista ci ha insegnato che l’essenza della democrazia (assieme al popolo) è la classe dirigente. Più che mai assente oggi in Italia…

    E se il difetto fosse nel manico? Se il problema fosse nella democrazia che non seleziona e non riconosce classi dirigenti ma solo demagoghi, istrioni o emissari dei «poteri forti»? Da anni il dibattito politico è inchiodato all’alternativa tra populismo e democrazia dei partiti, tra presidenzialismo e parlamentarismo.

    Il populismo è una risposta, a volte rozza, spesso semplificatrice, al deficit di sovranità, di politica e di democrazia delle società globali sempre più dominate dalle oligarchie. Ma il populismo, come le oligarchie di partito o d’affari, lascia degenerare un processo necessario a ogni società: la formazione e la circolazione delle élite. S’interrompe la selezione delle classi dirigenti, tutto è affidato agli umori della piazza, al fascino seducente dei leader o all’opposto agli interessi forti tutelati dalle oligarchie, siano esse finanziarie, tecniche o partitocratiche. Da decenni si è spezzato il circuito rigenerativo delle élite.

    L’Italia non forma da anni classi dirigenti e negli ultimi tempi, per restare alla distinzione di Gramsci, non ha più nemmeno una vera e propria classe dominante. Chi domina, bene o male, si occupa dei dominati, li opprime ma li comanda. Da alcuni anni, invece, la classe dominante si è fatta classe sovrastante; cioè vive al di sopra e al di fuori del Paese, non si assume precise responsabilità di comando, nemmeno nel segno della dominazione. Si estranea, non coopta nuove energie, preferisce diminuire i rapporti con la plebe, lascia che un ceto medio sempre più vasto si proletarizzi e sprofondi nel disagio del benessere calante e si ritira in un mondo inaccessibile. La degenerazione è dunque doppia: da classe dirigente a classe dominante e da questa a classe sovrastante. Chi si occupa delle sorti del Paese, quali sono i luoghi in cui si formano le classi dirigenti e si premiano le eccellenze? Processi sempre più anonimi, impersonali, poteri opachi e remoti, flussi e logaritmi. Né si delinea alcun blocco storico e sociale in ascesa. Il flusso vitale è interrotto. Non c’è né il lento e continuo mutarsi senza dissolversi della classe dirigente di cui parlava il conservatore Gaetano Mosca né la lotta tra due élite concorrenti di cui parlava il più audace Vilfredo Pareto (1848-1923). Mosca, Pareto e Michels sono noti come machiavellans . Al pari di Machiavelli si attengono al realismo, ritengono invariabile la natura umana sotto l’egida della necessità, della virtù e della fortuna; si governa con la forza e con l’astuzia. Per loro anche le democrazie sono guidate da minoranze attive, non è mai esistito un governo del popolo; la sovranità è sempre nelle mani di pochi, la storia è un cimitero di aristocrazie e la lotta politica è una competizione tra élite in ascesa e in declino. Una società è sana e vitale se riconosce e promuove le élite al potere e la loro circolazione.

    Degli autori citati, Pareto ha lo sguardo più ampio e più lungo, da economista e da sociologo, oltre che da osservatore della storia e della politica, dei caratteri e dei personaggi. Cent’anni fa scrisse la sua opera capitale, il Trattato di sociologia , che però vide la luce a guerra inoltrata, quando alcune delle sue previsioni si stavano già avverando: in Russia, in Italia e nel resto d’Europa. La sua lezione sull’impossibile autodirezione delle masse ebbe allievi diversi come Lenin e Mussolini, ma anche Gramsci e Gobetti. Si racconta che i due leader si siano sfiorati solo una volta nella vita, a Losanna, seguendo le lezioni di Pareto. Partendo da un giovanile socialismo e poi un disilluso liberismo, Pareto si accorse che le ideologie erano gusci vuoti senza due ingredienti essenziali: la forza e il mito. Qui Pareto combacia con un altro filosofo che accomunò Mussolini e Lenin, ma anche Gramsci e Gobetti: Sorel.

    Pareto e Sorel, due ingegneri convertiti alla storia delle idee. Il mito di Sorel è lo sciopero generale, il mito di Pareto è la nazione. Pareto fu definito il Karl Marx del fascismo; incoraggiò Mussolini al tempo della Marcia su Roma («Ora o mai più»), scrisse sulla rivista mussoliniana Gerarchia e rappresentò l’Italia fascista alla Società delle Nazioni, ma morì troppo presto – il 1923 – per vedere il seguito. Cent’anni fa polemizzò con Maffeo Pantaleoni sugli esiti del conflitto mondiale: Pareto sosteneva che avrebbe favorito rivoluzioni socialiste, Pantaleoni che avrebbe rilanciato lo spirito patriottico. Ebbero ragioni entrambi perché sorsero il bolscevismo e il fascismo, dopo il biennio rosso. Pareto colse nella storia residui e derivazioni. I primi sono fattori non logici ma persistenti, le seconde sono invece la loro rielaborazione logica. Tra i residui spiccano due impulsi opposti: l’istinto delle combinazioni che produce dinamismo e mix innovativi e la persistenza degli aggregati che induce a permanere negli assetti precedenti. Ambedue le spinte sono necessarie in ogni società per garantire equilibrio tra continuità e novità ma oggi ci sembrano entrambi carenti. Deficit di tradizione e di innovazione. Ci sono anche i residui sessuali sui quali si erige il mito virtuista col suo puritanesimo sessuofobo, che Pareto sferza con sagacia.

    Dietro ogni teoria c’è la lotta per la conquista del potere: l’uguaglianza, ad esempio, è un mito che serve prima per rovesciare le classi superiori, poi per affiancarle e infine sottometterle alle classi in ascesa, istituendo così nuove diseguaglianze. La storia e la società sono mosse dal conflitto incessante tra élite che detengono il potere e le altre che vogliono subentrarvi. Anche la democrazia è succube di questa tensione e non c’è suffragio universale che non celi un passaggio di potere da una minoranza a un’altra. La stagnazione uccide i regimi almeno quanto il vorticoso turnover delle élite. Ma è impensabile che una società possa sopravvivere senza classi dirigenti. Da qui la necessità di ripensare alle aristocrazie come a una priorità assoluta per una società che procede con piloti automatici, rotte prestabilite dalla tecno-economia e leader politici ridotti a livello di guitti e animatori, steward e hostess. Si tratta di ripristinare i circuiti in cui si formano le élite – scuole, laboratori, palestre – e i luoghi, il clima, la cultura in cui si riconoscono meriti, qualità e capacità.

    Nella politica come nella società urge ripartire dalle classi dirigenti. Non c’è capo, demos o sistema di leggi che possa compensare la mancanza di élite alla guida del Paese. Pareto lo aveva capito già prima dell’avvento della democrazia globale di massa. Anche una democrazia senza élite è decapitata e destinata a morire, al pari di una democrazia senza popolo.

  • Più di cento anni fa… un visionario o un veggente?

    Più di cento anni fa… un visionario o un veggente?

    “L’uomo del futuro avrà solo un modesto interesse di conoscere come sono vissuti gli uomini del passato, ma avrà bensì una continua smania di sapere come vivono e cosa fanno in ogni momento gli altri uomini del suo tempo in tutto il pianeta. E attraverso l’uso dell’elettronica avrà i mezzi a disposizione per essere continuamente informato in ogni istante”.

     Filippo Tommaso Marinetti.

  • LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE

    LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE

    “Teoria delle finestre rotte”

    Servizio Pubblico – Gianrico Carofiglio illustra la “Teoria delle finestre rotte” from Roma fa schifo on Vimeo.

    Nel 1969, presso l’Università di Stanford (USA), il professor Philip Zimbardo ha condotto un esperimento di psicologia sociale. Lasciò due auto abbandonata in strada, due automobili identiche, la stessa marca, modello e colore. Una l’ ha lasciata nel Bronx, quindi una zona povera e conflittuale di New York ; l’altra a Palo Alto, una zona ricca e tranquilla della California. Due identiche auto abbandonate, due quartieri con popolazioni molto diverse e un team di specialisti in psicologia sociale, a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.

    Si è scoperto che l’automobile abbandonata nel Bronx ha cominciato ad essere smantellato in poche ore. Ha perso le ruote, il motore, specchi, la radio, ecc. Tutti i materiali che potevano essere utilizzati sono stati presi, e quelli non utilizzabili sono stati distrutti. Dall’altra parte , l’automobile abbandonata a Palo Alto, è rimasta intatta.

    È comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Attribuzione nella quale si trovano d’accordo le ideologie più conservatrici (destra e sinistra). Tuttavia, l’esperimento in questione non finì lì: quando la vettura abbandonata nel Bronx fu demolita e quella a Palo Alto dopo una settimana era ancora illesa, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto, California. Il risultato fu che scoppiò lo stesso processo, come nel Bronx di New York : furto, violenza e vandalismo ridussero il veicolo nello stesso stato come era accaduto nel Bronx.

    Perchè il vetro rotto in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocare un processo criminale?

    Non è la povertà, ovviamente ma qualcosa che ha a che fare con la psicologia, col comportamento umano e con le relazioni sociali.

    Un vetro rotto in un’auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di non curanza, sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme, di regole, che tutto è inutile. Ogni nuovo attacco subito dall’auto ribadisce e moltiplicare quell’idea, fino all’escalation di atti, sempre peggiori, incontrollabili, col risultato finale di una violenza irrazionale.

    In esperimenti successivi James q. Wilson e George Kelling hanno sviluppato la teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista criminologico, che la criminalità è più alta nelle aree dove l’incuria, la sporcizia, il disordine e l’abuso sono più alti.

    Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare  a nessuno, allora lì si genererà la criminalità. Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti, si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.

    Se parchi e altri spazi pubblici sono gradualmente danneggiati e nessuno interviene, questi luoghi saranno abbandonati dalla maggior parte delle persone (che smettono di uscire dalle loro case per paura di bande) e questi stessi spazi lasciati dalla comunità, saranno progressivamente occupato dai criminali.

    Gli studiosi hanno risposto in una forma più forte ancora, dichiarando che l’incuria ed il disordine accrescono molti mali sociali e contribuiscono a far degenerare l’ambiente.

    A casa, tanto per fare un esempio, se il capofamiglia lascia degradare progressivamente la  sua casa, come la mancanza di tinteggiature alle pareti che stanno in pessime condizioni, cattive abitudini di pulizia, proliferazioni di cattive abitudine alimentari, utilizzo di parolacce, mancanza di rispetto tra i membri della famiglia, ecc, ecc, ecc. poi, anche gradualmente,  cadranno anche la qualità dei rapporti interpersonali tra i membri della famiglia ed inizieranno a crearsi cattivi rapporti con la società in generale. Forse alcuni, perfino un giorno, entreranno in carcere.

    Questa teoria delle finestre rotte può essere un’ipotesi valida a comprendere la degradazione della società e la mancanza di attaccamento ai valori universali, la mancanza di rispetto per l’altro e alle autorità (estorsione e le tangenti) , la degenerazione della società e la corruzioni  a tutti i livelli. La mancanza di istruzione e di formazione della cultura sociale, la mancanza di opportunità, generano un paese con finestre rotte, con tante finestre rotte e nessuno sembra disposto a ripararle.

    La “teoria delle finestre rotte” è stata applicata per la prima volta alla metà degli anni ottanta nella metropolitana di New York City, che era divenuto il punto più pericoloso della città. Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti e disturbi. I risultati sono stati evidenti: a partire della correzione delle piccole trasgressioni si è riusciti a fare della Metro un luogo sicuro.

    Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani, sindaco di New York, basandosi sulla teoria delle finestre rotte e l’esperienza della metropolitana, ha promosso una politica di tolleranza zero. La strategia era quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento di tutti i tassi di criminalità a New York City.

    La frase “tolleranza zero” suona come una sorta di soluzione autoritaria e repressiva, ma il concetto principale è più prevenzione e promozione di condizioni sociali di sicurezza. Non è questione di  violenza ai trasgressori, né manifestazione di arroganza da parte della polizia. Infatti, anche in materia di abuso di autorità, dovrebbe valere la tolleranza zero. Non è tolleranza zero nei confronti della persona cher commette il reato, ma è tolleranza zero di fronte al reato stesso. L’idea è di creare delle comunità pulite, ordinate, rispettose della legge e delle regolei che sono alla base della convivenza  umana in modo civile e socialmente accettabile.

    È bene di tornare a leggere questa teoria e di diffonderla .

    La soluzione a questo problema io non c’è l’ho, caro lettore, ma io ho iniziato a riparare le finestre della mia casa, sto cercando di migliorare le abitudini alimentari della mia famiglia, ho chiesto a tutti i membri della famiglia di evitare di dire parolacce, sopratutto davanti ai nostri figli, inoltre abbiamo deciso di non mentire, di evitare persino le piccole bugie, perché non c’è nessuna piccole bugie,la bugia non è grande o piccola, UNA BUGIA è UNA BUGIA E BASTA

    Abbiamo concordato di accettare le conseguenze delle nostre azioni con coraggio e responsabilità, ma soprattutto per dare una buona dose di educazione ai nostri figli.

    Con questo ho la speranza di cominciare a cambiare in qualcosa che prima sbagliavo. Il mio sogno è che i miei ripetano tutto questo in modo che un domani i figli dei miei figli o i loro nipoti possano vedere un nuovo mondo, UN MONDO SENZA FINESTRE ROTTE.

    SE SEI D’ACCORDO CON LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE, FAI SEMPLICEMENTE GIRARE QUESTA E-MAIL IN MODO CHE OGNI GIORNO SIANO DI PIU’ QUELLI CHE VOGLIONO DARE UNA MANO AL MIGLIORAMENTO DELLA NOSTRA SOCIETA’.

  • ARRABBIATO

    ARRABBIATO

    Penso…
    A tutte le brave persone che per un caso della vita e per motivi di sopravvivenza, debbono ringraziare quotidianamente il politico che …gli ha fatto un favore.
    Penso ai commercianti che si vedono chiedere un’offerta da società pubbliche per poi venire regolarmente esclusi perchè qualcuno ha offerto un’euro in meno.
    Penso alle gare d’appalto pubbliche dove vince sempre la stessa ditta.
    Penso agli incarichi pagati con soldi pubblici, affidati in base alla tessera dipartito.
    Penso ai politici che volano alto, per poi proteggere il sistema più corrotto d’Europa.
    Penso ai politici che volano alto, per evitare di combattere contro il sistema più corrotto d’Europa.
    Penso ai miei concittadini, che non si accorgono di nulla, nemmeno che se non ci fosse qualcuno attento, si troverebbero con i pesticidi dentro l’asilo nido, o con l’eternit sotto casa, che non vogliono sapere quanti dei soldi delle bollette che pagano vengono consumati da un sistema opaco, tutto chiuso in se stesso e pronto ad attaccare e emarginare chiunque provi ad alzare la testa.
    Penso a quella “TERRA DI MEZZO” che abbiamo tutti , tutti i giorni davanti agli occhi, anche in modo eclatante.
    Penso a tutti quelli della mia età, che hanno vissuto le battagli per i diritti civili, l’odio o la passione per il comunismo, le brigate rosse, e tangentopoli, ora immersi in una fanghiglia immonda dove sguazzano mezzi uomini, sanguisughe senza un’etica nè una morale.
    Penso che sia ora di “CAMBIARE” se ne avremo il coraggio, è ancora possibile.