Nel V secolo a.c., Erodoto ebbe modo di conoscere questo felino e gli diede il nome di Ailouros (“dalla coda mobile”), termine che presto venne sostituito da Gale, vocabolo greco utilizzato originariamente per la donnola, in età tarda si utilizzò invece kàttos da cui gatto.Una possibile origine semitica del vocabolo potrebbe essere attestata da un’opera armena del V sec., in cui si trova catu, a cui fa riscontro il siriano gatô. Cattus sarà all’origine del nome del gatto nella maggior parte delle lingue europee (cat inglese, katz tedesco, kat olandese, gato spagnolo e portoghese, chat francese, kochka russo).
Nell’antica Roma il gatto selvatico veniva invece detto Felis, da cui derivano i nostri felino, felide, ecc. Solo dal IV sec. d.c., compare il termine Cattus, forse di derivazione africana (nubiano kadis) o celto-germanica (nei cui idiomi viene variamente riprodotta, ad esempio: irlandese cat, antico tedesco chazza, antico scandinavo kötr).Il gatto arrivò a Roma più tardi rispetto alla Grecia anche se nei reperti archeologici degli etruschi sono state ritrovate piccole statue in pietra raffiguranti un gatto. I Romani, come i Greci, erano soliti usare altri carnivori, come la donnola, la faina e la martora, per il controllo dei topi, ma presto si accorsero che i gatti si addomesticavano più facilmente affezionandosi alla casa e ai proprietari, o almeno ad uno di essi.Durante le campagne di conquiste i romani li conobbero, li apprezzarono e li portarono con sé contribuendo alla sua diffusione in tutta Europa.
Tracce della presenza del gatto sono state rinvenute in tutte le regioni conquistate dai romani.Sia gli Etruschi che i Romani conoscevano il gatto, del quale apprezzavano i servigi sia come animale da lavoro (per debellare i topi) che da compagnia. I Greci invece li ignorarono e per cacciare i topi dalle loro case, si servivano delle donnole e dei colubri.Gli antichi Romani apprezzavano lo spirito indomito e curioso del gatto, tanto che la Dea Libertas, era spesso raffigurata in compagnia di un gatto. Nel I sec. d.c. anche a Roma, come precedentemente in Egitto, furono introdotte leggi severe volte a tutelare i gatti e la loro utilità contro i roditori.Nell’antica Roma i gatti erano sacri a Diana, si credeva che avessero poteri magici, concessi loro dalla Dea. La Dea latina Diana, associata alla luna, alla femminilità e alla magia, proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con la natura, i boschi, gli animali e le piante.
Ella, per sedurre il fratello Apollo e concepire da lui un figlio, prese forma di gatto.L’introduzione nell’Impero Romano del culto di Bastet, poi identificata con la Dea Iside, rafforzò nei romani il culto del gatto sacro. In ogni città infatti vi era un tempio dedicato alla Dea, detto Serapeum. Nei templi di Iside i gatti giravano tranquillamente, sia al loro interno che nei suoi giardini, e la gente portava loro offerte di cibo. Ne esistevano pure diverse statue, praticamente tutte distrutte dall’intransigenza cristiana.A Roma l’amore per i gatti si manifestò dal sorgere di diversi nomi propri o addirittura cognomi con etimologia derivante dalla parola “gatto”: Felicula, Felicla (gattina o micina), Cattus, Cattulus (gatto, gattino). Alcuni reparti dell’esercito romano, in particolare i centurioni, sugli scudi recavano come simbolo gatti di colori differenti.Presso i romani, dunque, il gatto godette di un notevole favore, anche se non venne divinizzato come in Egitto.Le matrone si circondarono di gatti di ogni provenienza e colore, e i commercianti dei mari si organizzarono in tal senso, importandone da ogni paese e facendoli incrociare tra loro per ottenere razze più belle e più rare per cui più costose.
Le matrone mettevano collarini preziosi ai loro mici, come nastri di seta decorati di pasta vitrea e pure di pietre preziose, o, a imitazione degli egizi, gli ponevano degli anelli d’oro tipo piercing sul naso e sulle orecchie. I collarini si intonavano al colore del pelo o più spesso dal colore degli occhi, ritenuto molto importante per la preziosità dell’animale.Oppure, sempre sulla moda egizia che era seguitissima in epoca iulia, gli ponevano una pettorina ricamata e decorata.Con il I secolo d.c. il gatto completò la colonizzazione dell’Europa e continuò la sua collaborazione con l’uomo ricoprendo soprattutto ruoli di utilità come disinfestatore dei granai e delle abitazioni. Il gatto (o micio, che è in fondo il suo nome più antico) non teneva solo lontani i topi, ma pure le blatte, i ragni e perfino gli insetti, perché cacciava qualsiasi essere si muovesse nel suo territorio.
L’avvento del cristianesimo invece fu per i gatti una vera calamità. Nella follia cristiana di peccato ed espiazione anche gli animali, senza alcun motivo, vennero divisi in benefici e malefici, i gatti rientrarono tra questi ultimi, colpevoli forse di non essere manipolabili come i cani e gli umani, ma soprattutto di essere creature notturne e quindi demoniache. I prelati videro da sempre questo felino come fonte di peccato, accusandolo di portare con sé tutti i malefici possibili. Per di più, il gatto fu molto presto associato alla stregoneria: le streghe amavano trasformarsi in animali, in particolare in gatte; una donna che vivesse con i gatti, ritenuti inviati dal diavolo per aiutarla nei suoi incantesimi, diventava automaticamente una strega.Durante quest’era di oscurantismo, furono presi di mira soprattutto i gatti neri. Papa Gregorio IX (1170 – 1241) dichiarò i gatti neri stirpe di Satana nella sua bolla papale del 1233, con la quale prese avvio un vero e proprio sterminio di queste creature, torturate e arse vive al fine di scacciare il demonio.
La domanda è pienamente giustificata e probabilmente presente nella testa di molti cittadini, visto l’allarmismo che circola e la reazione di diversi stati che hanno sospeso per il momento la somministrazione di questo vaccino.
Ho parlato di “allarmismo” e non di “allarme”, perché personalmente sono convinto che si tratti di una reazione inopportuna nei confronti di un ritrovato efficace e nell’insieme statisticamente sicuro come gli altri. A mio avviso questa reazione un po’ isterica produce solo effetti deteriori come:
Un incremento dannoso della sfiducia nei confronti della profilassi vaccinale
Un rallentamento dei piani vaccinali che, ovviamente, prevedono anche il ricorso al vaccino di AstraZeneca
L’immagine qui sotto, ottenuta per estrapolazione dai dati attuali, mostra come questo vaccino rientri massicciamente nell’attuale pianificazione europea della lotta contro Covid-19. Si capisce che mettere i bastoni tra le ruote di tale programmazione possa comportare complicazioni non da poco, specie dopo le difficoltà logistiche che si sono profilate (e in merito alle quali resto comunque ottimista, anche per le pressioni esercitate da UE sulle case).
Un lato positivo della faccenda è che le autorità si dimostrano molto sensibili alla materia e non mancano occasione di attivarsi per eseguire tutti i controlli del caso. Devo dire per altri versi che questa attenzione potrebbe essere indotta anche da questioni politiche, ovvero per rassicurare la popolazione e ottenere consensi da essa, piuttosto che critiche per superficialità o irresponsabilità. In effetti, suppongo che le autorità dei vari paesi siano per lo più convinte che il vaccino di AstraZeneca non implichi particolari rischi per la salute.
Diverso è il discorso per la popolazione che sicuramente ha molti più dubbi, spesso fomentati dai media che esaltano ogni particolare pur di attirare lettori o spettatori. Siccome però la popolazione è quella che vota ed elegge i propri rappresentanti, ecco che i responsabili politici si sentono subito chiamati in causa. Il grafico qui sotto illustra le percentuali di persone interrogate in campioni di cittadinanza che vorrebbero cambiare i vari vaccini indicati.
Come si vede, AstraZeneca non gode al momento di buone credenziali presso il pubblico. Fa eccezione il Regno Unito dove il vaccino è nato ed è stato sviluppato. A mio modesto avviso, questa è la reazione più saggia nell’ambito delle popolazioni europee. Spicca invece l’emotività della Germania (dove esistono molti novax) e quella dell’Italia. Questo fa specie, perché in Italia l’adesione ai piani vaccinali è da sempre buona e lo scetticismo è minore che in altre nazioni, essendo concentrato più che altro nelle zone trentine.
In Svizzera (anche qui gli scettici sui vaccini sono ben il 50% della popolazione) la “cattiva reputazione” di quel vaccino ha condotto le autorità a decidere di venderlo. A mio avviso è una decisione errata (come considerato da alcuni virologi svizzeri), ma anche una buona occasione per altri di comprarlo, specie se a prezzo ribassato.
Mi asterrò dal fare considerazioni dietrologiche o cospirazionistiche non comprovabili sulle eventuali ragioni del discredito gettato su questo prodotto; se ne possono produrre a bizzeffe, il che è come non dire alcunché di utile. Può darsi che tra qualche giorno salteranno fuori delle cosiddette “morti sospette” anche per altri ritrovati vaccinali. Lungi da me l’idea di polemizzare e di citare complotti di un tipo o dell’altro, mi limiterò qui a un paio di semplici considerazioni di buon senso relativamente alla domanda posta. Per semplicità, concentriamoci solo sull’Italia.
Ogni anno muoiono in Italia per le più disparate cause una quantità di persone che formano un’intera città di grandi dimensioni. Nel 2020 sono deceduti 746.146 soggetti, il che significa 2044 morti al giorno.
La popolazione italiana attuale ammonta a 60.317.000 milioni di cittadini. Pertanto i morti quotidiani di cui sopra sono 1 su 33.888. Al momento le dosi somminstrate sono 6.610.347. Da ciò risulta che oggi (data di questo post) circa l’11% della popolazione ha ricevuto almeno un’iniezione. Il calcolo non distingue tra prima e seconda dose, ma risulta abbastanza preciso. Infatti, si può verificare che circa il 3,3% della popolazione ha ricevuto entrambe le dosi e circa 7,8% solo la prima iniezione.
Il grafico delle somministrazioni giornaliere nel tempo, iniziate a fine dicembre 2020, è quello sotto riportato:
La correlazione evidenziata (impropriamente) dai media tra i decessi e la vaccinazione col prodotto di AstraZeneca risale agli ultimi quattro giorni circa. Si vede che in quei giorni la somminstrazione ammonta a circa 60.000 dosi giornaliere. Una media di circa 120.000 dosi compete invece al prodotto di Pfizer/BioNTech. I vaccinati quotidiani col prodotto Moderna sono una minoranza, circa 10.000. Abbiamo in totale circa 760.000 vaccinati nei quattro giorni del presunto effetto deleterio del vaccino.
I soggetti vaccinati con Pfizer/BioNTech sono il 63%, quelli con AstraZeneca il 32% e quelli con Moderna il 5%. Abbiamo visto poc’anzi che si contano 2044 morti quotidiane in Italia per motivi di ogni tipo (incluso Covid-19). Su quattro giorni dovrebbero dunque essere 8176. Proviamo a spalmarle sulle percentuali dei vaccinati.
Questi sono l’11% della popolazione. In questa categoria dovrebbero dunque ricadere 900 morti all’incirca. Il 63%, cioè circa 570 decessi, dovrebbero ricadere nella categoria Pfizer/BioNTech. Il 30%, cioè 270 decessi, dovrebbero competere alla categoria AstraZeneca. Il 5%, cioè 45 decessi, dovrebbero rientrare nel gruppo Moderna.
Quante persone sono morte dopo aver ricevuto la profilassi vaccinale col prodotto “incriminato” in Italia negli ultimi quattro giorni? Non ho dati a disposizione, ma oggi si parla di 5 persone decedute per cuase “sospette”. In sostanza, se spalmassimo omogeneamente le morti quotidiane d’Italia sull’aliquota di cittadini che hanno ricevuto il vaccino di AstraZeneca dovremmo aspettarci una media di 270 morti consuete al giorno, invece, dopo la scrematura dei media, ne abbiamo 5 sospette.
Si dirà: si ma il campione di vaccinati non è rappresentativo della popolazione italiana. Questo è vero. Infatti, i decessi totali annuali della nazione riguardano soprattutto persone anziane, mentre i cittadini designati per ricevere il vaccino AstraZeneca non sono persone particolarmente a rischio, come invece nel caso della profilassi con Pfizer/BioNTech. Si veda la grafica qui sotto che illustra il piano vaccinale italiano in quattro fasi temporali:
La platea di cittadini da vaccinare col prodotto incriminato non è dunque rappresentata da individui particolarmente esposti a rischio sanitario, perché non sono coinvolte persone anziane. In effetti, il vaccino non era stato testato fino in fondo nei soggetti con più di 55 anni, il che ha indotto alcuni decisori politici a non impiegarlo sugli anziani. Nessuno esclude però che tra questi soggetti siano presenti ipertesi, cardiopatici, obesi, diabetici o altri soggetti con comorbilità varie. Non è però questo il punto della questione.
Il fatto critico è invece che su questo campione è più semplice effettuare controlli. Ebbene, due autopsie sono già state effettuate ed è stato già affermato (anche se la documentazione non è ancora disponibile) dai patologi che non è stato riscontrato alcun effetto dannoso sull’organismo riconducibile al vaccino AstraZeneca. L’Aifa ha da parte sua escluso un nesso di causalità tra le morti in oggetto e quella specifica vaccinazione.
Si aspettano gli esiti, che arriveranno a breve, delle altre autopsie. Scommetterei sul risultato. Volendo proprio fare i pessimisti, abbiamo comunque a che fare alla data di oggi con 3 casi residui, cosiddetti “sospetti”, contro una media di 270 attesi.
Dobbiamo considerare che l’incidenza di decessi è decisamente ridotta nel campione e che quindi presenta inevitabilmente oscillazioni non lievi nel corso del tempo. Potrebbe quindi succedere che nei prossimi giorni si annoverino ben più di 5 decessi tra i vaccinati con Astrazeneca. Tuttavia, per quanto i morti statistici possano variare nel corso dell’anno, per quanto le fasce d’età facciano una differenza, per quanto i calcoli illustrati siano grossolani, mi sembra che la disparità negli ordini di grandezza parli chiaro:
3 casi sospetti riscontrati in un arco temporale di quattro giorni contro 270 totali attesi!
Mi sembra che questo dato porti a ritenere davvero irrazionale un timore che quel vaccino sia all’origine di eventi tromboemolitici, di infarti o di quant’altro possa minare la sopravvivenza di un vaccinato.
Gli effettivi problemi con i vaccini esistono, nulla è sicuro al 100% a questo mondo, nemmeno in ambito farmacologico. Tuttavia, i casi problematici con i vaccini sono rarissimi nell’esperienza medica. Essi vanno solitamente ricondotti alla reazione di pazienti iperallergici, alla contaminazione del preparato da parte di batteri o alla presenza accidentale di piccole particelle di vetro nella dose. Gli esperti escludono che sia questo il caso (in effetti certi batteri possono provocare la formazione di coaguli disseminati).
Ricordiamo poi che il rischio di un vaccino va paragonato al rischio che compete a una mancata vaccinazione, tanto a livello individuale quanto a quello collettivo. Il primo rischio è di interi ordini di grandezza inferiore al secondo.
Nel Regno Unito sono state somminstrati 17 milioni di dosi col vaccino AstraZeneca, anche agli over 55, e non è stato segnalato alcun problema riconducibile al vaccino che fosse inerente alla formazione di coaguli, al tromboembolismo polmonare, alla trombosi venosa profonda, alla trombocitopenia e nemmeno a patologie di altra natura.
A livello europeo abbiamo 30 casi di eventi trombotici su 5 milioni di dosi iniettate. Un numero minimo e perfettamente in sintonia con la casistica dei trial eseguiti dalla casa farmaceutica. Naturalmente, nemmeno questi casi riscontrati nei test o, poi, a livello di profilassi europea implicano che sia stato il vaccino a causare il problema trombotico. Sono evenienze che fanno parte della statistica.
Questo vuol dire anche che nel corso delle prossime settimane e dei prossimi mesi dobbiamo aspettarci altri morti che seguono a una vaccinazione o all’altra. Si tratta di una circostanza data dal gioco del caso, cioè dall’immancabile presenza di decessi che si distribuiscono nel tempo, indipendentemente dalla pratica vaccinale. Alcuni di questi eventi compaiono a ridosso dell’iniezione. Un fatto normale.
Insomma, a che si deve tutto questo can-can su AstraZeneca? Posto che il principio di precauzione impone sempre i dovuti controlli e che questi debbano essere effettuati a dovere e resi pubblici, io farò un’affermazione che potrà apparire antipatica a taluni, ma di cui sono convinto; e sono anche sicuro di essere in buona compagnia di diversi studiosi. Il fatto è che molte persone che sollevano polveroni inutili, a digiuno di cognizioni scientifiche, ancora non accettano quanto segue:
Correlazione non significa causalità
La gente muore tutti i giorni e alcune persone muoiono dopo essersi vaccinate. Ma questo non vuol dire che quelle persone siano decedute per colpa del vaccino. L’unica realtà sicura è che siano morte dopo il vaccino, a distanza di un intervallo di tempo più o meno lungo. Punto. “Dopo” non vuol dire “a seguito di”.
La formazione di coaguli nel sangue che possono anche rivelarsi letali è purtroppo una realtà diffusa, ancorché per fortuna minoritaria. Non fa specie che essa possa presentarsi anche in un certo numero di vaccinati. Quel numero, al momento, si è però dimostrato persino minore delle attese.
Il grafico qui sopra è un esempio classico del discorso qui condotto. Una linea mostra l’andamento negli anni del numero di apparizioni di Nicolas Cage nei film, l’altra l’andamento negli stessi anni del numero di annegati in piscina. I due andamenti hanno una buona correlazione, ma questo non significa affatto che un fenomeno sia all’origine dell’altro. A meno di non avere qualche rotella fuori posto.
Usando la correlazione possiamo mettere a confronto le più disparate dinamiche nei più disparati contesti e con le più disparate intenzioni. Si tratta di un tentativo spesso utilizzato anche da chi “gioca sporco“, ovvero da chi vuole dimostrare una tesi senza avere realmente argomenti forti a suo favore. Ma questo non implica ancora che stiamo costruendo una teoria atta a prevedere qualcosa, come per esempio un incremento di decessi legati al ricorso al vaccino AstraZeneca.
Quello che possiamo invece prevedere con una certa verosimilgianza – data la pianificazione e i contratti in essere – è che se i timori sul vaccino AstraZeneca sono infondati (come ritengo), ebbene l’impedimento prolungato al suo uso causerà una serie di mancate profilassi e quindi di morti che, invece, sono evitabili.
Che si aspettino i dovuti controlli, ma che non si perda troppo tempo sotto l’influsso dell’emotività!
P.S.
Chiarisco un punto a posteriori. Un utente ha fatto un commento errato, ma la confusione (statistica) mi ha fatto venire in mente che il mio post potrebbe essere equivocato. Vorrei quindi prevenire la circostanza. Forse, per maggior chiarezza era il caso di specificarlo prima.
Il numero di decessi segnalati dai media dopo verifica autoptica è di 3 casi di morti “sospette” contro 270 attese nel gruppo AstraZeneca, con i dati aggiornati alla data del post. Naturalmente, le statistiche su lassi di tempo brevi e con minoranze estreme possono essere ballerine. Va però tenuto in considerazione un altro aspetto.
A prescindere dalle oscillazioni che pure contano, 3 casi su 270 possono sembrare perfino troppo pochi. Perché è così? Il fatto è che i media cercano di segnalare ad effetto casi che “potrebbero” essere ricondotti al vaccino per una ragione o l’altra (coagulopatia, infarto, reazione anafilattica, infiammazione acuta, ecc). Pertanto, escludono tutte le morti chiaramente indipendenti: morti violente, malattie gravi pregresse, intossicazioni, ecc. Si capisce che con questa scrematura i morti si riducono.
Bisogna dunque ricordare che stiamo confrontando 270 morti totali attese e consuete che avvengono per svariate cause nel gruppo di AstraZeneca con 3 morti ritenute “sospette”, anch’esse a eziologia indefinita. La coagulopatia è solo una causa indicata, anche se al momento pare la più esaltata. I trombi sono peraltro una causa di morte a incidenza non irrilevante anche tra persone sane e non anziane.
Ora, su 270 morti totali consuete 3 non hanno ancora una causa che con certezza possa essere ritenuta indipendente dal vaccino. A me sembra proprio che si tratti di un fattore che non dovrebbe in alcun caso allarmare. Abbiamo insomma 1% di casi ritenuti “sospetti” solo perché non sono morti violente, da intossicazione, ecc.
L’educazione prima di tutto vuole che tra interlocutori ci si conosca dichiarando almeno le proprie generalità (omissis)…Gli anonimi sia che lancino sassi o che scrivano lettere, prima di essere criminali o imbecilli, sono sempre cafoni senza attenuanti. Non c’è bisogno di nascondersi o di non firmare se si è convinti delle proprie ragioni; scoprire il proprio volto e guardarsi negli occhi sono le prime condizioni di un dialogo e di un confronto anche serrato; fare altrimenti è comunque disonorevole pur nell’eventualità di avere tutte le ragioni del mondo. Troppo comodo accusare senza qualificarsi; non è solo cattiva educazione è oltretutto carenza di intelligenza e di strategia, è infatti una mossa perdente.
Caro Matteo, figlio mio, chè figlio mi puoi essere, te lo devo dire a cuore aperto. Tu sei ESAGERATO, sei TROPPO esagerato e se tanta gente ti odia ha i suoi buoni motivi! E ti spiego perché. Il tuo difetto principale è che appena ti si presenta un problema ti butti testa e piedi a risolvere il problema. Vedi che questo è un pregio nella considerazione di molti ma queste iniziative inevitabilmente scontentano anche quei pochi che dalle tue soluzioni ricevono un danno. I tuoi nemici, che tali sono, mica avversari, sfruttano proprio il malcontento di quei pochi che hai danneggiato per fartene una colpa. Non sono bravo nella teoria allora ti faccio qualche esempio. 1) Ti ricordi di quando hai voluto stabilizzare gli insegnanti? Quanti erano? 140 o 150 mila? Bene! Hai fatto un piacere alla maggioranza degli insegnati ma non hai considerato una cosa. Che molti precari lo erano da anche una decina d’anni. Magari nel frattempo si erano sposati, avevano messo su casa. Avevano avuto figli. Con l’altro coniuge che lavorava il loro stipendio serviva ad avere qualcosa in più ed era tutta manna dal cielo. Tu li hai obbligati ad avere una cattedra. Inevitabilmente, esauriti i posti vicino casa, gli altri avrebbero dovuto accettare cattedre sempre più lontane dalla propria residenza. Gli hai creato un problema e ti sei creato dei nemici. 2) Dopo la tua esperienza come presidente di Provincia hai deciso di eliminare le province. Capisco che lo hai ritenuto un organo burocratico inutile ed un costo aggiunto per la comunità ma dovevi anche esserti accorto che quello è anche uno dei tanti bacini elettorali che i politici utilizzano per “comprare” consenso. Pure tu ti sarai dovuto sedere a quel tavolo prima delle elezioni e decidere come incrementare le assunzioni con: “tanti a me, tanti a te e tanti a quell’altro”. Nel momento in cui le elimini ti sei fatto altri nemici sia da parte dei politici che da quelli che dovevano essere assunti. 3) Ma come t’è venuto in mente di mettere un tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici? Capisco il motivo. Non è giusto che un giudice, per esempio, possa avere uno stipendio superiore a quello del Presidente della Repubblica che è anche il Presidente dell’organo giudiziario. E mica ti sei limitato a quello! Non ti andava giù che i tribunali, con tanti procedimenti arretrati, chiudessero dal 15 luglio fino al 15 settembre. Due mesi di ferie! Ed anche li ti sei fatto dei nemici. Tanti nemici. Perché pensi che non si dovrebbero vendicare? 4) Hai voluto che tutti pagassero il canone RAI per ridurlo a quelli che lo pagavano anche per i “dritti”. Il canone è stato ridotto ed anche rateizzato ma hai colpito quasi 5 milioni di utenti che nella loro vita mai avevano pagato il canone. Altri nemici. 5) Hai dato a 10 milioni e 500 mila dipendenti i famosi 80 euro mensili con una drittata pazzesca. Apparentemente allo Stato costa circa 10 miliardi l’anno ma fra IVA in più, consumi in più, assunzioni in più, cassa integrazione e indennità di disoccupazione in meno e contributi INPS in più quei 10 miliardi tornano tutti indietro (ed anche più dei 10 miliardi erogati). Ma come t’è venuto in mente di mettere un limite massimo e, peggio ancora, quello minimo per averne diritto? Lo sai o no quanti lavorano in aziende stagionali per cui assumono per 6 o 7 mesi e poi licenziano (tanto i dipendenti poi prendono la disoccupazione e arrotondano col lavoro in nero). Mettere il limite minimo significa scoprire chi, sia datori che lavoratori, usano questi “escamotage” per scaricare sullo Stato i periodi di inattività. Altri nemici ancora. 6) E poi il tuo Jobs act! E’ vero che hai raddrizzato un rapporto di lavoro distorto dove il “padrone” o il dipendente (assistito dal sindacato) entravano in conflitto spesso e volentieri e vinceva dove il padrone poteva ricattare (lettere di licenziamento in bianco) o essere ricattato dagli scioperi quando era nel pieno della produzione. Ma così hai scontentato sia i padroni disonesti che i lavoratori, ma soprattutto i sindacati, che si sono visti ridimensionati i poteri di veto e di ricatto. Altri nemici! 7) L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che in realtà difendeva solo i dipendenti pubblici scorretti. Quando c’era una vertenza nel settore privato le forze contrapposte erano equilibrate. Da una parte i datori e dall’altra i lavoratori con evidenti interessi realmente contrapposti e si arrivava ad una conclusione che accontentava (o scontentava) tutti in maniera equilibrata. Nel settore pubblico invece la vertenza finiva sempre con la vittoria del lavoratore perché a rappresentare l’Azienda c’era un funzionario dello stesso ente che prima di essere tale era un normale subalterno che, spesso, aveva commesso le stesse scorrettezze del dipendente da giudicare. Solo così si sono scoperti i famosi “furbetti del cartellino” che, sottratti alla trattativa (inter nos), dovevano e devono rispondere di “danno erariale” stabilito da un giudice. Una caterva di nemici visto che nel pubblico dove ne servono 10 ce ne stanno 40 che si pestano i piedi l’un l’altro per cui è ovvio che spesso decidano di fare altro fuori dall’ufficio, tanto non se ne accorge nessuno (tranne le telecamere della polizia). 8) Di errori che hai commesso ce ne sono altri che al momento non mi vengono in mente ma uno è quello fondamentale. Quando hai un problema lo risolvi secondo logica e giudizio mai badando, però, se la soluzione è di destra o di sinistra. Quindi di volta in volta ti accusano di essere o troppo di destra o troppo di sinistra ma non hanno interesse a capire che non sei né l’una né l’altra cosa, l’importante è darti addosso. 9) Tranquillo, non sto elencandoti un altro errore che mi è venuto in mente. Diciamo che è un tuo difetto che non devi però correggere. Essere “troppo” per cui quelli che sono nella “norma” non hanno spazio per concorrere con o contro di te. Capisco Calenda, tanto per essere chiaro. Come può pensare di essere un leader (di centro) se ci sei già tu? Togli ossigeno a tutti!
La folla è straordinariamente influenzabile e credula, manca di senso critico, niente per essa è inverosimile. Pensa per immagini che si richiamano le une alle altre per associazione, come negli stati in cui l’individuo dà libero corso alla propria immaginazione, senza che un’istanza razionale intervenga a giudicare sul grado della loro conformità alla realtà. I sentimenti della folla sono sempre molto semplici e molto esaltati. Essa non conosce né il dubbio né l’incertezza15.
La folla giunge subito agli estremi. Un accenno di sospetto si trasforma immediatamente in indiscutibile evidenza. Una semplice antipatia… diviene subito odio feroce16. Portata a tutti gli eccessi, la folla è influenzata solo da eccitazioni esasperate. Chiunque voglia agire su di essa, non ha bisogno di dare ai propri argomenti un carattere logico: deve presentare immagini dai colori più stridenti, esagerare, ripetere incessantemente la stessa cosa. Non avendo nessun dubbio su ciò che essa crede verità o errore, e con la chiara nozione della propria forza, la massa è tanto obbediente all’autorità quanto intollerante… Sente il prestigio della forza, ed è scarsamente impressionata dalla bontà, considerata una forma di debolezza.
Dai suoi eroi la folla esige la forza, persino la violenza. Vuole essere dominata e soggiogata e temere il suo padrone… Infatti la folla ha un irriducibile istinto conservatore e, come tutti i primitivi, un orrore inconscio per ogni innovazione o progresso e un illimitato rispetto per la tradizione. Se ci si vuol fare un’idea esatta della moralità delle folle, si deve considerare il fatto che negli individui riuniti in esse sono scomparse tutte le inibizioni individuali, mentre gli istinti crudeli, animaleschi, distruttori, residui delle epoche primitive, che giacciono nel fondo di ciascuno, si ridestano e cercano la propria soddisfazione.
(Sigmund Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, 1921)
L’ascesa dell’ex capo della Bce è uno schiaffo rifilato ai borghesucci che, con i giornali e le tv, avevano puntato non sul modello Draghi ma sul modello Casta. La classe dirigente e quel reset necessario
Si è detto spesso in questi giorni che l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio, per la sua storia, per la sua competenza, per il suo percorso, per il suo curriculum, per la sua fama, per la sua rete di relazioni, rappresenta qualcosa di simile a una straordinaria vittoria per l’establishment italiano.
Ma quest’affermazione, apparentemente lineare e in teoria difficile da contraddire, in realtà corrisponde a una mezza verità, o se volete a una mezza bugia, e se ci si riflette un istante si capirà facilmente che l’ascesa di Draghi, a ben vedere, è uno schiaffo micidiale rifilato a quel pezzo di borghesia che negli ultimi anni, giocando con la cultura anti casta, cavalcando le guerre a favore dell’antipolitica, demonizzando l’uomo solo al comando, aveva scommesso su un modello di classe dirigente che, se si ha l’onestà di riconoscerlo, si trova agli antipodi rispetto a quello rappresentato dal nuovo presidente del Consiglio.
Draghi, in questo senso, è il riflesso perfetto di una classe dirigente che oggi, mentre esulta per l’arrivo al potere di un pezzo da novanta della classe dirigente italiana, non può non essersi resa conto di aver fatto il possibile per combattere ciò che oggi rappresenta il nuovo presidente del Consiglio e non può non essersi resa conto di aver fatto in questi anni, con i suoi giornali, le sue case editrici, le sue televisioni, i suoi talk-show, le sue voci, una scommessa precisa: avvicinare l’establishment al popolo non guidando il popolo ma facendosi guidare da esso.
La borghesia italiana, che oggi si dice entusiasta e commossa per il modello Draghi, è la stessa che negli ultimi anni, per provare a rinnovare le élite, ha puntato con passione sul populismo giudiziario. È la stessa che negli ultimi anni, per non perdere contatto con il famoso paese reale, ha scommesso con tenacia sulla cultura delle manette. È la stessa che negli ultimi anni, per provare ad avere una politica più debole grazie alla quale contare di più, ha scommesso con coerenza sull’agenda dell’anti politica. Ed è la stessa che negli ultimi anni, per provare a far sentire la sua voce più vicina a quella del popolo, ha goduto senza imbarazzo lanciando libri come “La casta” (Rcs), ha fiancheggiato senza imbarazzo ogni possibile campagna giustizialista (Repubblica), ha promosso senza vergogna programmi come “La gabbia” (Cairo), ha chiuso gli occhi di fronte alle deferenti interviste ai guru della medicina alternativa (le Iene di un tempo) e ha sponsorizzato (e spesso editato) senza pudore un ricco mercato di instant book giudiziari (“Sanguisughe”, “Avvoltoi”, “Vampiri”, “Impuniti”, “Nati corrotti”, “Chiamiamoli ladri”, “Se li conosci li eviti”) costruiti appositamente per assecondare l’osceno spirito del tempo.
Draghi, se proprio dobbiamo dirla tutta, è lo specchio di una borghesia che, in realtà, negli ultimi anni è stata ben poco rappresentata nel paese e non è solo un caso che lo stesso establishment un tempo anti casta che oggi considera Draghi uno di casa dimentichi un dettaglio che forse meriterebbe di essere ricordato: se Draghi è diventato Draghi lo si deve in buona parte anche a una serie di figure storiche che l’establishment che oggi si riconosce in lui nel passato ha fatto di tutto per infilare nel cestino della storia.
Nel 1983 fu il ministro del Tesoro del governo Craxi (dicasi Craxi) a scegliere Draghi come suo consigliere economico (il ministro era Giovanni Goria). Nel 1991 fu il settimo governo Andreotti (dicasi Andreotti) a nominare Draghi come direttore generale del ministero del Tesoro. Nel 2005 fu il governo Berlusconi (dicasi Berlusconi) a scommettere su Draghi come governatore di Bankitalia. Nel 2011 fu ancora il governo Berlusconi (dicasi Berlusconi) a lanciare Draghi come presidente della Bce. Nel 2021 è stato Renzi (dicasi Renzi) a creare le condizioni giuste per far arrivare Draghi dove si trova oggi.
Tutto questo per dire che Draghi è certamente un pezzo da novanta della nostra classe dirigente ma la verità è che il modello di borghesia che incarna il presidente del Consiglio è un modello che la borghesia italiana negli ultimi venticinque anni ha fatto di tutto per non avere. In altre parole, Draghi si trova lì non grazie all’establishment italiano, ma nonostante esso. E anche per questo la grande stagione del reset, imposta dal nuovo presidente del Consiglio, vale non solo per la politica ma prima di tutto per la borghesia italiana. Che, costretta a guardarsi allo specchio, ha finalmente l’occasione, forse, di uscire dall’epoca della lagna, di farsi in quattro, di cambiare schema, di diventare un esempio e di essere una classe un po’ meno digerente e un po’ più dirigente. Claudio Cerasa
Si fumava, ovunque, tantissimo. Nei bar, nei ristoranti e al cinema, ma anche in macchina, con bambini presenti o nell’ascensore con altre persone. Era ASSOLUTAMENTE normale.
Era normale essere poveri. Non che tutti fossero poveri, ma era assolutamente normale conoscere famiglie di 5 persone, che vivevano in alloggi di 2 camere con bagno sul ballatoio. I genitori e il figlio più piccolo dormivano in una camera e gli altri in cucina con un divano letto aperto per la notte. In tanti vivevano così, in modo onesto e con dignità.
Erano molto frequenti scioperi e manifestazioni. E se vedevi una manifestazione, era meglio allontanarsi velocemente, perchè molto facilmente da lì a poco sarebbe finita a lacrimogeni e sassaiola, se non peggio. Il livello di scontro politico era altissimo e anche le manifestazioni più pacifiche potevano facilmente degenerare.
C’era un’inflazione inconcepibile per noi oggi (in alcuni anni superiore al 24% ), quindi la gente, se riusciva a risparmiare qualcosa, cercava di non tenere i soldi in banca, visto che venivano costantemente erosi. Per questa ragione nasce il boom dell’acquisto delle case e dei BOT-CCT.
Era comunissimo trovare siringhe usate per strada, in piazza e nei giardini, e le piazze e i giardini, la sera erano spesso dei posti da evitare. La diffusione delle droghe pesanti era enorme, fino alla fine degli anni ’80, in una grande città era quasi inevitabile incrociare tossicodipendenti in cerca di qualche spicciolo, o schiantati a terra in overdose. Specialmente nei giardini pubblici o in prossimità della stazione. Praticamente tutti conoscevano il figlio di amici o parenti che aveva problemi con l’eroina, in molti hanno avuto un lutto a causa della droga.
TUTTI e sottolineo TUTTI leggevano almeno un giornale, anche chi era meno benestante raramente rinunciava ad acquistare un quotidiano al mattino andando a lavoro. Chi proprio non poteva permetterselo, lo leggeva al bar prendendo il caffè, ma era inconcepibile che un adulto non si informasse leggendo almeno un quotidiano. Il Corriere della Sera, il quotidiano più venuto, superava le 800.000 copie di tiratura, ma tutti gli altri maggiori quotidiani “nazionali”, erano stabilmente sopra le 400.000 copie. Anche un giornale “di nicchia” come L’Unità, l’organo del PCI, si attestava a circa 250.000 copie vendute al giorno!
CITTA’ E TRASPORTI
Le automobili potavano circolare liberamente quasi ovunque e la maggior parte delle piazze, anche fra quelle di enorme valore artistico o storico, erano trasformate in parcheggi a cielo aperto. Per questa ragione tutti i palazzi e monumenti mostravano una patina di smog perenne, che rendeva il grigio il colore predominante in tutte le grandi città.
Giravano un sacco di automobili in pessime condizioni, con un fumo nero e denso che usciva dallo scappamento e/o gomme completamente lisce, freni che fischiavano per il consumo delle pastiglie, frecce e luci in disordine etc. Non c’era la revisione obbligatoria, quindi tante persone andavano avanti senza fare manutenzione all’auto, fin quando non cadeva letteralmente a pezzi.
Pochissimi usavano il casco in moto. Non era obbligatorio, pochissimi lo usavano in generale, praticamente nessuno d’estate.
Nessuno usava la cintura di sicurezza. La maggior parte delle macchine nemmeno le aveva installate.
Pochissimi rispettavano le strisce pedonali. Attraversare sulle strisce era pericoloso esattamente come attraversare in qualunque altro punto della strada.
Era comune gettare le cartacce per strada, o svuotare il posacenere dal finestrino della macchina. Non che tutti lo facessero, ma era normalissimo vederlo fare.
COMMERCIO
La domenica TUTTI i negozi e supermercati erano chiusi. Le famiglie si organizzavano facendo una spesa più grande il sabato e, nel caso mancasse qualcosa, tipo il pane, il burro, zucchero o le uova, era normale chiedere ai vicini di casa se ne avevano in avanzo da prestare. Lo stesso per le sigarette: tipicamente l’unico tabaccaio aperto anche la domenica era quello della stazione, e nemmeno sempre. Dai noi l’eccezione era Cocciola.
C’erano negozi estremamente specializzati in ogni settore merceologico: c’erano negozi vendevano solo guanti, negozi che vendevano solo cappelli, ma anche cose più di nicchia, come negozi che vendevano solo burro e uova. Il latte lo trovavi solo in latteria. C’erano tantissime cartolerie, librerie e negozi di dischi.
Esistevano piccole botteghe dedicate esclusivamente al gioco del lotto: il lotto non era gestito da bar o tabaccai come oggi, ma da piccole ricevitorie con personale “altamente specializzato”; in grado di dare consigli su cosa giocare in base ai sogni o ai numeri ritardatari. All’avvicinarsi del termine ultimo per fare le giocate (non ricordo se venerdì sera o sabato mattina) si formavano lunghe code, soprattutto se c’era un numero particolarmente ritardatario o c’era stato un importante avvenimento da cui trarre auspici. Non so se in altre città esistano ancora, ma a Torino non vedo più ricevitorie da almeno 35–40 anni.
La maggior parte degli acquisti venivano fatti, quotidianamente, nelle botteghe del quartiere. Spesso si comprava a credito e si saldava il conto a fine mese, all’arrivo dello stipendio. I supermercati erano pochi, erano solo nelle grandi città e non esistevano i centri commerciali.
C’erano tantissimi cinema a luci rosse: gran parte delle sale di seconda e terza visione si convertirono al cinema porno, che era diventato un business enorme. Non era raro che fuori dai cinema porno ci fosse la file per entrare e, almeno nelle sale più chic o in caso di titoli particolarmente celebri, il pubblico fosse formato anche da coppie, curiose di quella novità. Questo continuò fino all’avvento delle videoteche, a inizio anni ’80.
VITA DOMESTICA
Quasi tutte le case avevano la tappezzeria, anziché i muri a vista: c’era l’idea che la tappezzeria fosse più semplice da lavare e si potesse anche applicare su muri non perfettamente rasati. Per risparmiare, spesso la nuova tappezzeria veniva applicata sulla vecchia.
Tipicamente in casa c’era un solo televisore da cui tutta la famiglia, la sera, guardava lo stesso programma (c’erano solo 2 programmi TV). Chi non era interessato, leggeva o, se la casa era abbastanza grande, ascoltava la radio. Le trasmissioni TV finivano alle 23.30 e riprendevano in tarda mattinata. Al pomeriggio i programmi erano sospesi fino alle 17 (quando iniziava la TV dei ragazzi) per non distrarre i bambini dai compiti.
Si trasmetteva pochissimo calcio in televisione, ma era sempre gratis. Le uniche partite di calcio tramesse in TV erano (alcune) delle coppe europee e della coppa Italia. Per vedere immagini delle partite di campionato bisognava aspettare 90° Minuto o, per avere servizi un po’ più ricchi, la domenica sportiva alla sera. Al tardo pomeriggio della domenica inoltre veniva trasmessa la sintesi di circa 40′ della partita più importante della giornata. L’unico modo per seguire in diretta una partita senza andare allo stadio era armarsi di tanta fantasia e ascoltare la radiocronaca su Tutto il Calcio minuto per minuto sulla RAI o su una delle radio private che iniziavano, appunto, a trasmettere le dirette integrali dallo stadio.
Ovviamente non esistevano i cellulari. Quasi tutti avevano il telefono fisso domestico, ma bisognava sperare che la persona che si cercava fosse in casa. Esistevano, ma erano poco diffuse e costosissime, le segreterie telefoniche. In compenso c’erano tantissimi telefoni pubblici, sia in cabine per la strada, sia nei bar. Funzionavano con i gettoni telefonici, anziché con le monete. Nonostante l’assenza di cellulari, le persone riuscivano a incontrarsi lo stesso: ci si dava un appuntamento qualche giorno prima a una data ora e in un dato luogo, senza sentire la necessità di chiamare o messaggiare compulsivamente ogni 5 minuti per dare conferma. Ai millennials sembrerà incredibile, ma funzionava anche per gli appuntamenti galanti.
La maggior parte delle donne, una volta sposata e diventata madre smetteva di lavorare per occuparsi dei figli. La famiglia quindi dipendeva totalmente dal reddito del marito.
Come spiega Francesco Vecchi in “Gli scrocconi” (Piemme), a partire dal 2015 lo Stato ha potuto incrociare i dati di chi chiedeva le prestazioni sociali con quelli degli istituti bancari e dell’Agenzia delle Entrate. Risultato? Magicamente i patrimoni sono lievitati e la ricchezza cresciuta.
Se sapeste che un Paese è stato capace di far lievitare il conto in banca della sua popolazione più povera da un anno all’altro di quasi 20.000 euro per ciascuna famiglia, ci credereste? Se scopriste che in quel Paese i nuclei famigliari privi di patrimonio sono passati da 4 milioni a soli 360.000 nell’arco di pochi mesi, non gridereste al miracolo economico? Non la definireste la più grande politica di aiuti sociali mai vista nella storia? Non citereste quel Paese come esempio a ogni discussione politica? Non vi piacerebbe visitarlo?
State comodi, perché quel Paese è l’Italia e il miracolo appena descritto è avvenuto a cavallo tra il 2014 e il 2015. Soltanto che nessuno ne ha parlato ed è facile capire come mai.
Ovviamente non si tratta di una crescita reale di ricchezza, ma solo della più clamorosa emersione dal nero che sia mai stata misurata. A provocarla: la riforma dell’ISEE.
ISEE sta per «Indicatore della Situazione Economica Equivalente» ed è uno strumento fondamentale per accedere a un grande numero di aiuti da parte dello Stato: social card, esenzione ticket sanitario, bonus libri, dentista sociale, assegni famigliari, sconti in bolletta, canone Rai ridotto e ora reddito di cittadinanza, solo per citarne alcuni.
Serve per stabilire quali sono le famiglie che hanno più bisogno di aiuto, misurazione che è tutt’altro che facile. Ha più bisogno di aiuto una famiglia che possiede la casa ma non ha redditi, o una famiglia che ha qualche reddito ma non possiede casa? Oppure è più urgente aiutare una persona sola che guadagna 400 euro al mese o una persona che ne guadagna il doppio ma ha due figli?
L’ISEE è una formula matematica che mette dentro tutti questi elementi (reddito, patrimonio, figli a carico, disabilità in famiglia ecc…) e sputa fuori un numero. Quanto peso si debba dare ai redditi, al patrimonio, ai figli è naturalmente una scelta arbitraria. D’altronde, qualche tipo di classifica va fatta…
L’ISEE non è obbligatorio: se lo fa calcolare chi vuole accedere alle prestazioni sociali che lo richiedono. In Italia le famiglie che ce l’hanno sono appena 6 milioni e certamente non ci si può aspettare che siano le più benestanti. Perciò queste 6 milioni di famiglie, che corrispondono a circa 14 milioni di cittadini, rappresentano una mappatura della fascia più fragile della popolazione, o almeno di quella che si dichiara tale.
Alcune delle cifre che servono per calcolarlo sono il frutto di autocertificazioni: se sotto il materasso tengo 10.000 euro in contanti sarei tenuto a dirlo, ovviamente sulla fiducia, dal momento che nessuno può saperlo.
Fino al 2014 però era frutto di autodichiarazione anche l’entità del mio conto in banca. Quanti soldi hai nel conto corrente? Scrivi una cifra…
Il nostro stato era talmente desideroso di farsi fregare che si era addirittura impedito per legge (la privacy!) di andare a controllare in banca se le dichiarazioni fossero veritiere o no. Al primo italiano o straniero residente che bussasse alla sua porta dicendo di non avere soldi da parte, ecco che Pantalone pagava. Asili nido, bonus bebè, bollette, ticket sanitari, tasse universitarie, bonus affitto… una tavola imbandita degna di Aladino.
Solo che non ci voleva un Genio per capire che in questo modo molte autocertificazioni sarebbero state false: fino al 2014, quasi l’80% delle famiglie con ISEE dichiarava di non avere nemmeno un euro di patrimonio e non c’era modo di controllare se fosse vero.
Non fa ridere? Tu vieni da me a chiedere l’aiuto di cui hanno diritto i più poveri ma io, per rispetto della tua riservatezza, non posso verificare se lo sei oppure no…
A partire dal 2015, per fortuna, si è deciso però di dare allo stato almeno la facoltà di incrociare i dati con quelli degli istituti bancari e dell’Agenzia delle Entrate. Risultato? Magicamente i patrimoni sono lievitati e la ricchezza cresciuta. Da un anno all’altro quasi 2 milioni e mezzo di cittadini non si sono fatti più vivi: risolti all’improvviso i loro problemi economici. E i nuclei famigliari con 0 euro di patrimonio sono passate dall’essere la stragrande maggioranza a un misero 6%. Altro che magie e tavole imbandite… i tesoretti delle famiglie sono spuntati come funghi. Da 0 euro, a una media di circa 20.000 euro per ciascuna.
La riforma dell’ISEE del 2015 è stata meritoria. Eppure ne è stata data molto poca pubblicità: perché? Forse per non raccontare quanto fessi fossimo stati a farci prendere in giro così facilmente? Forse perché se i cittadini onesti scoprissero quanto poco facciamo per beccare gli scrocconi, rischierebbero di arrabbiarsi pure loro? Se lo stato chiude un occhio, anzi due, davanti a delle dichiarazioni palesemente false e lo fa per avere il voto di questi falsari, possiamo parlare di voto di scambio? Di corruzione?
Il tesoro sul quale si possono mettere le mani è molto più ricco di quello che non si dica. Non è vero infatti che in Italia vengono destinati pochi soldi all’assistenza. Anzi, con l’aggiunta del reddito di cittadinanza, la somma di tutti gli aiuti fa del nostro Paese uno dei più generosi d’Europa: più di noi solo Francia e Danimarca.
da “Gli scrocconi. Per ogni italiano che lavora dieci vivono sulle sue spalle”, di Francesco Vecchi, Piemme, 2021, pagine 144 euro 17,50