rpDel fiume e dei torrenti, dei mulini e dei ponti, ieri come oggi mancavano sempre i soldi.
Tre sono i corsi d’acqua che lambiscono o scorrono nel territorio comunale:
il fiume Esino e i torrenti Cesola e Fossato.
A – Fiume Esino
Confine attuale, per il tratto che riguarda Monte Roberto, con il territorio di Caststelbellino e lesi, linea di confine per gran parte del suo corso in epoca tra il Piceno (V Regio) e l’Umbria (VI Regio), il fiume Esino ha avuto sempre uno stretto rapporto con la popolazione del fondo valle e dei castelli sovrastanti: la raccolta della legna lungo gli argini, le gite al fiume, la pesca erano un tempo le occasioni per incontrarsi con uno degli elementi più caratteristici del territorio, ora solo la pesca sportiva fa accorrere al fiume molti appassionati, mentre da qualche anno ecologi ed ambientalisti si premurano di “riscoprire” l’Esino denunciandone in modo particolare il degrado.[14]Marinelli Giorgio, L’Esino dal monte al mare. L’uomo e l’ambiente, ed. Errebi, Falconara Marittima (AN) 1991. Badioli Leonardo, a cura di, Esino, natura & risorse. Raccontare il fiume. la Conferenza Provinciale sul fiume, Jesi, 28-29 maggio 2004, Provincia di Ancona, Ancona 2005. Meschini Renato (foto), Serpilli Fabio M. (poesie), Esino, immagini e parole, Chiaravalle (AN) 2005. Marinelli Giorgio, Il fiume Esino. La valle e i colli. Conoscenza e valorizzazione di un territorio, Ed. SAFRAF, Castelferretti (AN) 2006.
l’inquinamento ha raggiunto livelli allarmanti, comunque nel tratto che insiste in territorio di Castelbellino e Monte Roberto la situazione non è critica come in altre zone dell’asta fluviale.[15]Cocchioni M., Pellegrini M. G., Zanetti A. R., Musone ed Esino. Qualità delle acque, Amministrazione Provinciale, Ancona 1993, pp. 33-48.
Misurazioni fatte agli inizi degli anni Novanta a Moie, hanno determinato la portata media annua in 16.5 mc/s e la portata di magra ordinaria in 3.3 me/s.[16]Regione Marche, L’ambiente fisico della Marche, cit. p. 96. E’ da ritenere per certo tuttavia che nei decenni e nei secoli passati la portata fosse maggiore: acquedotti che emungono dal suo alveo, sorgenti canalizzate che prima si riversavano nel fiume e irrigazioni intensive sono all’origine di una magra quasi perenne. Di tanto in tanto però si possono verificare disastrose inondazioni, l’ultima avvenuta nella seconda decade del dicembre 1990 conferma quelle del passato.[17]Biondi Edoardo, Baldoni M. Antonia, e Ambiente nella Provincia di Ancona, Ancona 1991, pp. 90-91. In territorio di Monte Roberto piene del fiume con relative alluvioni e inondazioni avvenivano verso i confini con Jesi, nella confluenza del torrente Cesola, come nel novembre 1808[18]ASCMR, Bollettini (1791-1808). e nel gennaio 1809, [19]ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), n. 22 del 19.1.1809, p. 128. rendendo difficile e problematico per qualche giorno attraversare il fiume e raggiungere la città. Ponti in quella zona allora non c’erano, arrivare a Ponte San Carlo a sud di Jesi per entrare in città importava allungare di molto un non facile tragitto.
Per attraversare il fiume c’era una barca o zattera: a due pali, uno per sponda, era ancorato un cavo o “canapo” che facilitava alla barca l’attraversamento del fiume. Una di queste barche nel 1644 era posizionata “nel passo dell’Imperatore o fonte della Spina”, la tariffa usata per i cittadini di Monte Roberto era di “tre quatrini per ciascuna persona in qualsivoglia tempo, il doppio alle bestie (6 quatrini)”. [20]ASCMR, Consigli (1639-1651), 3 aprile 1644, c. 79 riv. Sei anni più tardi è barcarolo Domenico di Giovanni Battista da Castelbellino, talmente povero che non ha il denaro per comperare il “canapo” per la barca, per acquistarlo si rivolge alla Comunità chiedendo un contributo (che gli viene elargito) di 3 scudi promettendo di traghettare quelli di Monte Roberto per due quattrini.[21]Ivi, 26 dicembre 1650, cc. 194v e 195r. Analoga richiesta rivolge alla Comunità di Massaccio e a quelle “circonvicine”, ai cittadini di queste farà pagare “tre quatrini per volta” e per tutte le stagioni, mentre i magistrati, “i quattro” di ogni castello, la tariffa sarà di “doi quatrini”.[22]ASCC, Suppliche (1632-1686) .
Altro punto di attraversamento, agli inizi dell’Ottocento, si trovava nei pressi dell’attuale Ponte Pio. Nella riunione del Consiglio della Comunità di Monte Roberto del 18 marzo 1818 si discute la proposta di costruire nella zona un ponte di legno, sentendo anche le comunità di Jesi, Maiolati, Massaccio, Castelbellino, San Paolo, Staffolo e Apiro perché a tutte le rispettive popolazioni il ponte sarebbe stato di grande utilità: “la barca – si afferma – di fragile legname […] ha cagionato significanti sventure”.[23]ASCMR, Consigli (1809-1827), pp. 136-137. Non rare infatti erano le disgrazie mortali nel guadare il fiume con i carri. La sera del 17 marzo 1809, Bernardino Campana di Monte Roberto, di ritorno da Chiaravalle “nel valicare con il carro e bestie vaccine il fiume Esino presso la barca detta di Moricone, e precisamente tra il territorio di Jesi e questo di Monteroberto, si annegò sventuratamente perché abbondanti acque gli rovesciarono il carro indicato”. [24]ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p. 162, n. 93: lettera di Filippo Salvati sindaco di Monte Roberto al Giudice di pace del Cantone di Jesi, in data 18 marzo 1809.
Il progetto di un ponte stabile sull’Esino fu portato a termine verso la fine del 1830, fu chiamato “Ponte Pio” come “la nuova strada Provinciale Pia già Labiena”[25]ASCMR, Consigli (1829-1839), p. 191. ASCC, Atti 1835, tit. che conduceva a Cingoli, in onore di papa Pio VIII (1829-1830), Francesco Saverio Castiglioni di Cingoli. Il ponte più volte rovinato e rifatto, per ultimo fu fatto saltare dai tedeschi in ritirata la notte del 18/19 luglio 1944.[26]Luconi Giuseppe, Storia difesi, Jesi 1969, p. 546. Urieli Costantino, 1944 Verso la liberazione, Comune di Santa Maria Nuova 1984, p. 140. La vegetazione lungo il fiume, da Pianello Vallesina a Ponte Pio, è caratterizzata da bosco ripariale a dominanza di pioppo bianco e nero con salici, [27]Biondi Edoardo, Baldoni M. Antonia, op.cit., p. 93. per la fauna ittica invece è questo, una piccola parte del lungo tratto dell’Esino, da Moie fin quasi alla foce, individuato come regione dei ciprinidi termofili (lasca, cavedano, barbo ecc.) senza però che vi sia una netta predominanza di una specie sull’altra. [28]Ivi, p.96.
Per diversi decenni le zone limitrofe all’asta fluviale sono state interessate, ad un’intensa attività di scavo di materiali inerti; fino al 1980 le cave erano coltivate anche con il metodo detto “a piscina” (estrazione del materiale fin sotto il livello di falda) alcune di queste, ormai abbandonate e trasformate in altrettante “piscine” hanno causato insieme ad altre cave dismesse, un aspetto particolarmente alterante sia a livello paesaggistico che funzionale a tutto il territorio,[29]Ivi p. 92. anche se da parte delle competenti autorità ci si è preoccupati e si è proceduto ad una azione di recupero.
Per favorire l’attività agricola mediante l’irrigazione dei terreni che da Pianello fiancheggiano l’attuale strada provinciale Planina, furono realizzati, verso la fine dell’Ottocento, iniziando dal fiume, tre vallati: il vallato Paolini che derivando l’acqua in territorio di Castelbellino e dopo aver alimentato l’omonimo molino irrigava i terreni sia nel comune di Castelbellino che in quello di Monte Roberto; il vallato di Pianello e il vallato di Passo Imperatore, più esteso, si limitavano al territorio di Monte Roberto; tutti e tre i vallati furono inquadrati da provvedimenti legislativi del 1900, del 1907 e del 1927.[30]Bonasera Francesco, I Vallati del territorio di Jesi, in Bollettino economico, Camera di Commercio di Ancona, n. 4-1985, pp. 23-33.
B – IL TORRENTE CESOLA
L’ultimo tratto del torrente scorre completamente in territorio di Monte Roberto e prima di immettersi nell’Esino raccoglie le acque di tutta l’ampia valle del Massaccio tra Cupramontana, San Paolo e Staffolo e quelle del Rio di Staffolo. Il suo nome Cesola è analogo a Cese, contrada in territorio di Cupramontana dove il torrente nasce e deriva da “silvae caesae”,
cioè boschi tagliati, ricordando l’opera di disboscamento iniziata probabilmente in questa contrada già agli inizi del Duecento. [31]Ceccarelli Riccardo, Le strade raccontano, cit., p. 224. Il suo corso fu probabile linea di confine sotto il dominio longobardo tra la Pentapoli e il ducato di Spoleto-Camerino.[32]Urieli Costantino, Jesi il suo Contado, Jesi 1988, vol. I, torno I, pp. 104-105.Cherubini Alvise, Presenza longobarda nel territorio jesino, in Istituzioni e Società nell’alto medioevo marchigiano. Atti e Memorie, 86-1981, Deputazione di Storia Patria per le Marche, Ancona 1983, vol. II, p. 537. Nei tempi passati era più ricco di acque e se, stando al Menicucci, in territorio di Cupramontana si idoveva registrare una “sufficiente quantità di barbi e lasche, [33]Menicucci Francesco, Massaccio nel 1789, appendice in Dottori Delfo, Cupra Montana e i suoi figli più noti, Cupra Montana 1983, p. 131.
C – IL TORRENTE FOSSATO
Scende dalle contrade Capriola, Palazzi e Fonte della carta in territorio di Cupramontana con il nome di fosso di San Giovanni,[34]Ceccarelli Riccardo. op. cit., pp. 155-156. cambia nome in Fossato, Fossaro o Rio Fossato [35]ASCMR, Deliberazioni consigliari (1946-1950) n. 22/5,7 maggio 1950. in territorio di Maiolati Spontini, Monte Roberto e Castelbellino prima di confluire nell’Esino. Nel tratto di Monte Roberto era chiamato anche torrente Bovana.[36]Amatori Alberico. Le Abazie e monasteri piceni, Tip. Borgarelli, Camerino 1870, p. 2.
Alcune sorgenti fanno si che il torrente per quanto in magra nel periodo estivo abbia sempre un po’ d’acqua; l’ampio bacino di raccolta e le piogge prolungate ed insistenti lo fanno diventare impetuoso con allagamenti nella zona di Borghetto di Castelbellino.
In queste condizioni, più frequenti nel passato, attraversarlo era addirittura un rischio: il passo del Fossato, così era chiamato il punto della strada pubblica che saliva verso CastelbelIino e Monte Roberto, non aveva un ponte e “in tempo di pienara” non si attraversava, così. il 22 maggio 1757 il Consiglio della Comunità decide di porre una trave di quercia sul torrente per fare passare i pedoni con più sicurezza. [37]ASCMR, Consigli (1756-1766) cc. 45-46.
Lo stesso Consiglio sessant’anni prima, il 22 gennaio 1697, aveva deciso a stragrande maggioranza (18 voti favorevoli e uno solo contrario) la costruzione di un molino a grano sul Fossato ubicato sui beni della comunità per sollevare il comune dalle tasse e per comodità del popolo specie delle vedove [38]ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 251 r/v. e delle donne, in considerazione che queste più degli altri si recano al molino per macinare. [39]Ivi. c. 201v (23 novembre 1692). Per questo progetto ci vogliono circa 200 scudi che si pensa di prendere dalla vendita della legna della selva della Comunità; la Congregazione del Buon Governo però ne interrompe nel 1699 la costruzione. [40]Niccoli M. Pia, Legislazione molitoria a Jesi in età moderna, in Nelle Marche Centrali (a cura di Sergio Anselmi), Cassa di Risparmio di Jesi, Jesi 1979, vol. 1, (p. 709-741), p.718. Tuttavia il Governatore di Jesi Mons. Giambattista Barni nel febbraio 1713 ordina che “si fabbrichi un molino da grano nel nostro Fossato”, la spesa prevista intanto si era ridotta a 100 scudi. [41]ASCMR, Consigli (1711-1735), cc. 31v e 33v (19.2.1713) e c. 34r (24.1.1713). Comunque anche l’ordine del Governatore non giunge a compimento.
Il Consiglio della Comunità infatti ritorna sul progetto il 4 agosto 1720: “È bene che la nostra Comunità fabrichi un molino a grano nel Fossatd dove c’è un sito molto a proposito e questo ridonderebbe in grand’utile non solo di questa Comunità, ma anche del suo Popolo e degli abitanti dei circonvicini Paesi, mentre questi dal tempo che restò inabile il molino della Torre [il molino delle Torrette in fondo alla strada Boccolina] stanno in continui pericoli d’affogarsi nel fiume che necessariamente devono passare a guazzo, oppure su la barca con pagare per andare a macinare nel Molino del Franciolini [sulla sinistra del fiume in territorio di Castelplanio], quale il più delle volte resta di non macinare o pure in Jesi e questi stanno molto lontani”.[42]Ivi, cc. 149ve 150r. II molino proprio non si doveva fare: verso la metà del secolo, Nicolantonio Amadio comincia a costruire il molino dopo aver ricevuto il parere favorevole dalla “Camera Apostolica”, deve però ben presto rinunciare perché su ricorso della città di Jesi gli viene revocato il permesso.
Agli inizi dell’Ottocento i suoi figli supplicano ancora la competente autorità cioè “Monsignor Tesoriere della Marca per la facoltà di costruire nuovamente l’accennato molino a grano”, che si sarebbe chiamato di “mal tempo”, perché avrebbe funzionato solo nei giorni di tempo piovoso. Con tutta probabilità anche questa supplica avrà avuto risposta negativa. Il regime fiscale sulla macinatura era particolarmente duro e favoriva i molini della comunità; cioè quelli della città di Jesi, presso i quali si era obbligati a macinare, così la magistratura jesina, appoggiandosi sulle disposizioni pontificie, faceva del tutto per non far proliferare molini privati, dove però, in quei pochi che c’erano, ci si recava ugualmente contravvenendo agli ordini superiori: [43]Niccoli M. Pia, op. cit., pp. 719-720.