rpAcqua, fonte di vita e di controversie.
Agli inizi dei Seicento le fonti cui poter attingere acqua per uso alimentare e domestico erano fonte della Chiesa Nuova, fonte di Berto, fonte della Ciampana e fonte Estate.[64]ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 133r (7.9.1614) . Fonte della Chiesa Nuova, così chiamata per la relativa vicinanza alla chiesa di S. Maria del Buon Gesù finita di costruire nel 1567 ubicata all’angolo tra le attuali via Pace e viale Matteotti, ebbe dalla metà del Settecento la denominazione di fonte sopra il Crocifisso e fonte del Crocifisso dopo la costruzione dell’omonima edicola; una strada collegava la fonte alla chiesa, mentre la fonte aveva come protezione una piccola volta.[65]Ivi, c. 140v.
Fonte di Berto e fonte Estate, ubicate nelle omonime contrade, avevano “trocchi” e beveratoi per il bestiame e pantani-lavatoi per lavare panni.[66]ASCMR, Trasatti (1755-1788), c. 30. Il bestiame ovviamente si poteva abbeverare anche presso le altre fonti mentre c’era la necessità di tenere sotto controllo la pulizia delle stesse fonti, per questo con periodicità quasi annuale venivano ripulite e si facevano precise ordinanze di lavare nei luoghi destinati o come si prescrive il 15 febbraio 1615 “alla distanza di due canne” per la fonte della Chiesa Nuova e per la fonte della Ciampana.[67]ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 146r; norme precise erano dettate degli statuti della città e del contado di Jesi, cfr. Statuta sive Sanctiones et Ordinamenta Aesinae Civitatis, Macerata, Luca Bini 1561, c. 80v, Liber Quartus, Rub. XXVIII: “De pannis & aliis turpibus lavandis apud fontes civitatis”, in questa norma la distanza da osservare era di “una pertica o di una canna”; la “canna” corrispondeva a circa 4 metri. In qualche fonte si lavavano gli arnesi usati per la vendemmia (fonte della Chiesa Nuova), rimandando la pulizia della stessa fonte a dopo la conclusione di questi lavori agricoli.[68]ivi, c. 134r (14.9.1614). Fonte della Ciampana, ubicata presso il “borgo”, era, per la sua vicinanza al castello, quella più frequentata e quella che riceveva più attenzioni, nonostante questo, il 16 ottobre 1644 si ravvisa la necessità di rimondarla ogni anno “per buttarsi dalle genti in essa sporchizie” e si stabilisce la pena di uno scudo per ogni persona e per ogni volta che fosse stata colta in fragrante, e denunciata con prove e testimoni, ad imbrattare la fonte stessa. [69] ASCMR, Consigli (1639-165 1), c. 86r “Ciampana” o “ciampane” equivaleva a “pantano” o “vasca”, si parla infatti “di accomodare il ciampano” o “li ciampani”, Ivi, c. 103r (21.XII.1645) e c. 133v.
La fonte ebbe nel 1865 un radicale restauro diretto dall’architetto jesino Ciriaco Santini mentre l’anno dopo, per meglio attingere acqua, vi fu installata una moderna “pompa a tromba assorbente” fatta da Pietro Montali di Jesi.[70] ASCMR, Consigli (1865-1866), p. 117 (24.5.1866).
Più decentrata dal castello era, ed è, fonte Estate utilizzata sia dai residenti in territorio di Monte Roberto che da quelli di Castelbellino; dopo anni e anni di comune e pacifica convivenza presso la fonte, dovettero verificarsi episodi spiacenti, peraltro non altrimenti specificati e conosciuti, se il Consiglio della Comunità di Monte Roberto il 28 aprile 1641 decise di proibire alle donne di Castelbellino di lavare panni a fonte Estate, evitando così altri inconvenienti tra Monte Roberto e Castelbellino “per la poca intelligenza che v’è tra detti Castelli”, sotto la pena, anche questa, di scudi uno per ciascuna volta.[71] ASCMR, Consigli (1639-1651), c. 24r/v.
Fonte della Spina si trovava sulla sponda sinistra dell’Esino di fronte a passo Imperatore; campo della fonte della Spina con “moglia” contigua, era la zona limitrofa alla fonte, territorio di Monte Roberto pur al dì là del fiume.[72] ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 37v (27.4.1666) e Consigli (1676-1698), c. 31r. Il campo, confinante con altri appartenenti ai Ghislieri, era proprietà della Comunità di Monte Roberto; verso metà del Seicento si cerca di permutare questa “moglia al di là del fiume” con un terreno degli stessi Ghislieri in contrada Rovegliano vicino però ad altri di proprietà pubblica. La comunità aveva provveduto in questi anni a bonificare in parte la “moglia”, zona acquitrinosa e con vegetazione spontanea, salvaguardando alberi piccoli, alberi da frutto e quelli d’alto fusto (“da costruzione”), tagliando solo spini e seminando a grano il terreno bonificato. Decisa la permuta dal Consiglio il 1 dicembre 1643, cinque anni più tardi non si ha ancora il relativo permesso dai competenti uffici delle congregazioni romane nonostante sia stato già concordato il prezzo della valutazione del terreno con i Ghislieri (200 scudi la coppa per la terra arativa e 25 fiorini la coppa per la moglia). [73]C ASCMR, Consigli (1639-1651), c. 195 (16.X1.1640); c. 37v(24.2.1642); c, 38r/v (23.3.1642); cc. 69-71(I XII.1643); c.
Le foto e i percorsi sono di Daniela Chiariotti.