rpDopo i barbari arrivano i monaci.
Ormai è generalmente riconosciuto che “il padre, il fondatore, il restauratore dell’Esio moderno fu S. Benedetto col suo provvidenziale istituto”. 14Annibaldi Giovanni, San Benedetto e l’Esio, Jesi 1880, p. 18. La tesi, enunciata oltre un secolo fa e ampiamente motivata, è la chiave di lettura per una rinnovata comprensione della nostra storia locale, ulteriori approfondimenti ne hanno confermato la piena validità e l’hanno resa maggiormente veritiera se si aggiungono alla determinante presenza dei benedettini altri fattori d’ordine economico e sociale. 15Urieli C., La Chiesa difesi, Jesi 1993, p. 39.
Se per approfondire e documentare questa presenza ed il relativo ruolo dei monaci non ci mancano numerosi elementi probanti dopo il Mille, non è altrettanto vero per i secoli precedenti. “Sostanzialmente ci è ignoto il periodo della prima diffusione dei benedettini nella Vallesina”. 16Urieli C., Presenza benedettina nella diocesi di Jesi, in Aspetti e problemi del monachesimo nelle Marche, Fabriano 1982, p. 32 pp. 91-106. Urieli C., Jesi e il suo Contado, cit., vol. I, tomo I, p. 126.
Essa avvenne certamente prima del Mille se subito dopo troviamo una presenza già ben consolidata e strutturata. Ci mancano però finora documenti diretti, ma esaminando indicazioni sufficientemente fondate, non ci è difficile avvicinarsi alla verità storica.
Che la vita religiosa della Vallesina fosse in questi secoli ben sviluppata lo testimoniano la presenza di vescovi in Jesi, Onesto nel 680, Pietro nel 745, Giovanni nel 826, Anastasio nel 877, Eberardo nel 967. Per i monaci “non è improbabile che, dopo la conversione dei Longobardi [primo decennio del 600] e quando vari monasteri incominciarono a sorgere nella nostra Regione, qualche monastero sia sorto, nella Vallesina, come ad es. quello di San Savino [a Jesi], il cui agionimo richiama appunto la religiosità longobarda”. 17Cherubini A., Vallesina cristiana nei secoli, Jesi 1983, p. 11. Urieli C., La Chiesa di Jesi, cit., p. 40. Ed anche le chiese o i monasteri, documentati nel sec. XII/XIII, e dedicati a santi cari alla devozione dei Longobardi come San Giorgio, San Martino, San Michele, San Giovanni ecc., potrebbero avere origine in questo periodo.
Da tener presente anche l’eventualità che alcuni monaci provenienti da Farfa, in provincia di Rieti, siano giunti nelle nostre zone verso la fine dell’ 800 quando il grande monastero fu abbandonato sotto l’incalzare dei saraceni ed i monaci sciamarono nelle loro proprietà anche nelle Marche. 18Delio Pacini, Possessi e chiese farfensi nelle valli picene del Tenna e dellAso (sec. VIII-XII), in Istituzioni e Società, cit., vol. I, pp. 333-425. Angelo A. Bittarelli, Longobardi e benedettini nelle valli di Pieve Torina e Monte Cavallo, in Ivi, vol. I, pp. 569-586.
Il Grazzi ipotizza che “soltanto con la Donatio Pipini del 756 la Santa Sede instaura in questa sede jesina di confine e in tutta la ricca vallata del fiume omonimo una politica di educazione romana: vi immette i monaci benedettini che, bonificandola per intero, la radicano alla Santa Sede con stazioni di onomastica papale, sia che fossero abazie sia che fossero pievi o cappelle”. 19Grazzi Luigi„Di alcune antichità difesi e della sua valle con la discussione sui primi vescovi difesi, Rom, Italstampa 1955 p. V. A questa onomastica si riconducono in territorio di Monte Roberto la chiesa di S.Silvestro de curtis, il monastero di S. Giovanni di Antignano e la chiesa di S.Pietro di Rovegliano; non lontana poi, presso le rovine di Cupra Montana, c’era la chiesa di S. Eleuterio anch’essa di onomastica papale.
La chiesa di S. Antonio di Antignano che sorgeva nelle vicinanze di quella di S. Apollinare e probabilmente succursale del monastero di S. Giovanni di Antignano, era dedicata al “padre e modello degli anacoreti” (251-356) e della vita eremitica che aveva formato in S. Benedetto il suo primitivo e ardente desiderio. Per questa vita S. Benedetto conservò sempre un’alta stima ed un profondo amore additandola nella sua Regola, anche se scritta per monaci che vivevano in comune, come la vetta dell’ascesi monastica. 20Leccisotti Tommaso in Enciclopedia Cattolica, vol. II, 1252. Tenendo presenti queste premesse non siamo lontani dalla verità se ipotizziamo anche per la chiesa di S. Antonio un’origine benedettina volendo ricordare in un’area ricca di boschi e di selve un modello di vita ascetica e solitaria.
L’abbazia di S. Apollinare infine può suggerire l’ipotesi della presenza di monaci, probabilmente sin dal sec. VIII-IX, inviati dalla chiesa di Ravenna che aveva larghi possedimenti nella Vallesina ereditati dal dominio bizantino. 21Urieli C., La Chiesa difesi, cit., pp. 34-35, 40. Urieli C., Jesi e il suo Contado, cit., vol. I, tomo I, p. 127. Urieli C., Presenza benedettina nella diocesi di Jest, cit., p. 101.
Nei primi decenni successivi al Mille, “i Benedettini cedettero gran parte delle loro posizioni in mano ai Camaldolesi che fondarono altre case ancor più numerose nella Vallesina specialmente in territorio cuprense. Altre ancora ne seguirono successivamente di derivazione da Fonte Avellana dalla quale rimasero, dipendenti”. 22Urieli C., La Chiesa difesi, cit., p. 40.