Compreso tra i 72 e i367 metri sul livello del mare, il territorio del comune di Monte Roberto si estende per 13,51 Kmq, confinando con quello di Maiolati Spontini, Castelbellino, Jesi, San Paolo di Jesi e Cupramontana. Corsi d’acqua e strade per lo più segnano i confini del comune: il fiume Esino, per un tratto a valle, con Cstelbellino e Jesi, il torrente Cesola con Jesie San Paolo di Jesi, la strada Cuzzana con Cupramontana e la Boccolina con Miolati. Con il territorio di Jesi i confini furono stabiliti con l’accordo de 31 ottobre 1569, raggiunto tra le magistrature di Jesi e Monte Roberto, dopo che tra le due comunità per diverso tempo , c’erano stati litigi e divergenze.1ASCMR, Trasatti e Giuramenti (1569/1643), cc. 5-7: “Cum diu versa fuerit lis et differentia…”, cfr. Appendice n. 1, pp. 281-284. Analoghe divergenze erano sorte e stavano manifestandosi in quegli anni con gli altri paesi limitrofi: il problema non riguardava solo Monte Roberto: il Consiglio Generale di Massaccio (Cupramontana) il 13 maggio 1584 discusse “sopra li confini che se letica con le Comunità di Magliolati, San Paolo e Monte ruberto”. 2ASCC, Consigli, II (1574-1584). Liti prolungate ci furono anche con Maiolati, 3ASCMR, Entrate e Uscite (1558-1586), anno 1573, c. 165v. un accordo tuttavia fu siglato a Jesi nel maggio-giugno 1586. 4ASCMR, Entrate e Uscite (1585-1597), c. 10r. Tranquillizzati i rapporti circa i confini con Jesi, Massaccio e Maiolati, non fu altrettanto con Castelbellino, una causa tra le due comunità, proprio per i confini, si protrasse per decenni e decenni. Alla radice di ogni conflitto per le delimitazioni dei confini c’erano sempre ragioni fiscali, far valere cioè su alcuni territori i propri diritti di tassazione. Gli antichi confini stradali in qualche caso non rispondono più al vero per lo spostamento della sede stradale avvenuta nel corso dei secoli;
è il caso del confine con Cupramontana tra Ponte Magno e le immediate vicinanze di Villa Ghislieri-Marazzi (via Torre per Cupramontana e via Costa per Monte Roberto): la strada fino ai primi decenni dell’Ottocento costeggiava un fosso, che era ed è tuttora il confine con Monte Roberto, la strada che “era d’incomodissima discesa”, soggetta a “continue dilamazioni” a causa del “precipitoso fosso”, venne in questo tratto risistemata nel tracciato attuale, 5Ceccarelli Riccardo, Le strade raccontano, Città di Castello (PG)1991, p. 199. i lavori di rifacimento iniziarono nel 1837 per concludersi l’anno dopo. 6Cfr. il progetto del nuovo tratto in ASCC, Atti 1838 tit. 9 e “Verbale di collaudo della nuova strada in vocabolo La Cozzana, negli anni 1837 e 1838” del 29 gennaio 1839, in ASCC, Atti 1839, tit. 9. Dal 1808 al 1817 Monte Roberto, Castelbellino e San Paolo di Jesi costituirono un’unica realtà amministrativa voluta dalla legislazione del napoleonico Regno d’Italia. Con la legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia del 20 marzo 1865 all’art. 14 dell’Allegato A (Legge sull’Amministrazione comunale e provinciale), si prevedeva l’unione dei “comuni contermini che hanno una popolazione inferiore a 1500 abitanti e che manchino di mezzi sufficienti per sostenere le spese comunali […]. Alla luce di questa legge il Comune di S. Paolo aveva progettato, secondo i capifamiglia della zona, l’aggregazione della parte del territorio appartenente a Monte Roberto sulla sponda destra del torrente Cesola, il Consiglio Comunale di Monte Roberto il 24 maggio 1866 respinse l’ipotizzata aggregazione accogliendo l’esplicita volontà degli abitanti di rimanere uniti a Monte Roberto “come lo furono sempre in addietro”. Poco più di un anno dopo, l’8 ottobre 1867, in forza della stessa legge, si discute la “proposta di annessione del territorio di Castelbellino a Monte Roberto”; la proposta questa volta viene adottata “con voti unanimi” purché “l’annessione del territorio di Castelbellino a questo Comune venga accettata senza condizioni”. Le proposte di aggregazione che per legge dovevano essere vagliate dal Consiglio Provinciale non ebbe alcun seguito giuridico-amministiativo.7ASCMR, Consigli (1865-1866), pp. 113-114, 24 maggio 1866. ASCMR, Consigli (1866-1876), pp. 112-114, 8 ottobre 1867. Bollettino officiale della Prefettura di Ancona, Anno II, 1867, pp. 298-300: circolare del Ministero-dell’Interno – Direzione Superiore d’Amministrazione – Firenze 14 agosto 1867.
Un accordo per la rettifica dei confini tra Monte Roberto e Cupramontana lungo la strada Cuzzana-via Torre, fu raggiunto il 3 settembre 1890 con la redazione di un “Verbale di delimitazione del Territorio Comunale di Cupramontana in confine col Comune di Monteroberto” che recepiva cambiamenti avvenuti nel corso dei decenni fissando in maniera definitiva i reciproci confini segnati in apposita mappa.8ASCMR, Lavori (1891-1895), tit. XI, verbale, mappa e carteggio tra i due comuni.
Il territorio del comune è compreso nella fascia dei rilievi collinari che si sviluppano immediatamente ad est della dorsale montuosa, calcarea, dell’Appennino Marchigiano. Dal punto di vista geologico possiamo distinguerlo in due zone: la prima (zona collinare dai 120 mt. s.l.m. alla parte più alta del territorio, 367 mt. s.l.m.) è costituita da formazioni di origine sedimentaria, terreni prevalentemente sabbioso-arenacei (da noi chiamati “tufo”) alternati e passanti (in profondità) a terreni in gran parte argilloso-marnosi. Sono i depositi di un ciclo sedimentario marino verificatosi tra la fine del Miocene ed il Pliocene (5-2 milioni di anni fa circa), in un mare che allora lambiva i “giovani” rilievi montuosi appenninici.
I movimenti tettonici che si sono susseguiti durante le ultime fasi della formazione della crosta terrestre, avvenute nel Plio-Pleistocene (4-2 milioni di anni fa), hanno contribuito a dare l’attuale assetto strutturale al territorio ed hanno portato all’emersione delle suddette formazioni argilloso-sabbiose. In seguito a tale evento sono state sottoposte al modellamento degli agenti atmosferici e delle acque correnti, attraverso processi di erosione, trasporto e sedimentazione. l sedimenti argilloso-marnosi, tettonizzati, facilmente soggetti ad erosione, hanno dato origine a pendii dolci cui fanno netto contrasto le forme accidentate ed aspre dei sedimenti arenacei più resistenti all’erosione stessa. Tale contrasto è l’elemento dominante e caratteristico del paesaggio collinare. I versanti, che raccordano la sommità con il fondovalle, sono generalmente ricoperti da coltri superficiali derivanti dal disfacimento delle sottostanti formazioni geologiche; essi si presentano, nel complesso, in forme armoniche caratterizzate da pendenze medio-basse e da superfici lievemente ondulate, qua e la interrotte da ripidi pendii causati dall’instaurarsi di fenomeni di dissesto (frane ecc.) o da scarpate e rupi scoscese in corrispondenza degli affioramenti degli strati arenacei.
Una paleofrana è individuabile all’incirca sotto contrada Sabbioni verso il torrente Fossato, uno smottamento di terreno che pur perdendosi nella notte dei tempi ha lasciato tracce visibili. La seconda zona, quella a valle (Pianello Vallesina, S. Apollinare, Cesola) e quella più immediatamente vicina alla sponda destra del fiume Esino, è formata da depositi alluvionali ghiaiosi e talora sabbiosi del Pleistocene Superiore (1.000.000/400.000 anni fa). Da decenni quest’ultima fascia è sottoposta ad intensa azione di scavo che ne ha modificato non poco l’aspetto ambientale. [9]Un ringraziamento particolare al Geologo Dott. Giuseppe Federici di Cupramontana cui si deve gran parte di queste annotazioni. Per una trattazione completa nel contesto regionale, cfr. Regione Marche, L’ambiente fisico delle Marche. Geologia-geomodblogia-idrologia,Firenze, S.E.L.C.A. 1991.
Tutte le colline ed i relativi castelli che fiancheggiano il medio corso dell’Esino, dopo la sua uscita dalla gola della Rossa, hanno un clima particolarmente favorevole.
A determinarlo è la configurazione geografica, “varj monticelli uno più alto dell’altro”, e proprio “per si fatta cagione tanto è grande la salubrità di questa clima, che non si può dir di più”. lo scriveva così, verso la fine del Settecento, lo storico di Cupramontana don Francesco Menicucci (1748-1818) che traduceva le espressioni latine del monaco camaldolese don Mauro Sarti (1709-1766) di qualche decennio prima: [11]Sarti Mauro, De Amiqua Picentym Civitate Cupra Montana, Pesaro. Tip (livelli I 718, p. 9.. scrivevano di Massaccio (Cupramontana), ma poteva e può essere detto anche di Monte Roberto.
L’altezza media della collina (mt. 350 s.l.m.) e la sua posizione che gli permette di affacciarsi senza barriere verso il mare Adriatico avendo sulla sinistra la valle dell’Esino e a destra la piccola valle del torrente Fossato, creano le condizioni per un’ottima e fresca ventilazione estiva, così come d’inverno non mancano fredde giornate di tagliente e forte vento di nord-est. Clima e microclima di Monte Roberto hanno avuto l’attenzione di erudite osservazioni ed approfondite note: furono elaborate e divulgate negli anni Sessanta del Novecento nel contesto di un “lancio turistico” del paese. [12]Pro-Loco di Monte Roberto, Bellezze dell’Appennino Marchigiano, Monte Roberto I 96 , Pp. 21-25. Evidentemente però questo clima non è uniforme su tutto il territorio del comune: il fondo valle e la fascia limitrofa al fiume Esino sono meno ventilati, più afosi ed umidi con frequenti giornate di nebbia. Qui d’estate la temperatura massima può arrivare anche a valori elevati: ad es. a Pianello Val lesina, presso l’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura “Serafino Salvati”, il 2 luglio 1968 e il 7 agosto 1971 si registrò la temperatura di 39C. [13]Bocci Roberto, Lineamenti climatici delle Marche, Regione Marche, Ancona 1982, p, 171,
Confine attuale, per il tratto che riguarda Monte Roberto, con il territorio di Caststelbellino e lesi, linea di confine per gran parte del suo corso in epoca tra il Piceno (V Regio) e l’Umbria (VI Regio), il fiume Esino ha avuto sempre uno stretto rapporto con la popolazione del fondo valle e dei castelli sovrastanti: la raccolta della legna lungo gli argini, le gite al fiume, la pesca erano un tempo le occasioni per incontrarsi con uno degli elementi più caratteristici del territorio, ora solo la pesca sportiva fa accorrere al fiume molti appassionati, mentre da qualche anno ecologi ed ambientalisti si premurano di “riscoprire” l’Esino denunciandone in modo particolare il degrado.[14]Marinelli Giorgio, L’Esino dal monte al mare. L’uomo e l’ambiente, ed. Errebi, Falconara Marittima (AN) 1991. Badioli Leonardo, a cura di, Esino, natura & risorse. Raccontare il fiume. la Conferenza Provinciale sul fiume, Jesi, 28-29 maggio 2004, Provincia di Ancona, Ancona 2005. Meschini Renato (foto), Serpilli Fabio M. (poesie), Esino, immagini e parole, Chiaravalle (AN) 2005. Marinelli Giorgio, Il fiume Esino. La valle e i colli. Conoscenza e valorizzazione di un territorio, Ed. SAFRAF, Castelferretti (AN) 2006.
l’inquinamento ha raggiunto livelli allarmanti, comunque nel tratto che insiste in territorio di Castelbellino e Monte Roberto la situazione non è critica come in altre zone dell’asta fluviale.[15]Cocchioni M., Pellegrini M. G., Zanetti A. R., Musone ed Esino. Qualità delle acque, Amministrazione Provinciale, Ancona 1993, pp. 33-48. Misurazioni fatte agli inizi degli anni Novanta a Moie, hanno determinato la portata media annua in 16.5 mc/s e la portata di magra ordinaria in 3.3 me/s.[16]Regione Marche, L’ambiente fisico della Marche, cit. p. 96. E’ da ritenere per certo tuttavia che nei decenni e nei secoli passati la portata fosse maggiore: acquedotti che emungono dal suo alveo, sorgenti canalizzate che prima si riversavano nel fiume e irrigazioni intensive sono all’origine di una magra quasi perenne. Di tanto in tanto però si possono verificare disastrose inondazioni, l’ultima avvenuta nella seconda decade del dicembre 1990 conferma quelle del passato.[17]Biondi Edoardo, Baldoni M. Antonia, e Ambiente nella Provincia di Ancona, Ancona 1991, pp. 90-91. In territorio di Monte Roberto piene del fiume con relative alluvioni e inondazioni avvenivano verso i confini con Jesi, nella confluenza del torrente Cesola, come nel novembre 1808[18]ASCMR, Bollettini (1791-1808). e nel gennaio 1809, [19]ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), n. 22 del 19.1.1809, p. 128. rendendo difficile e problematico per qualche giorno attraversare il fiume e raggiungere la città. Ponti in quella zona allora non c’erano, arrivare a Ponte San Carlo a sud di Jesi per entrare in città importava allungare di molto un non facile tragitto.
Per attraversare il fiume c’era una barca o zattera: a due pali, uno per sponda, era ancorato un cavo o “canapo” che facilitava alla barca l’attraversamento del fiume. Una di queste barche nel 1644 era posizionata “nel passo dell’Imperatore o fonte della Spina”, la tariffa usata per i cittadini di Monte Roberto era di “tre quatrini per ciascuna persona in qualsivoglia tempo, il doppio alle bestie (6 quatrini)”. [20]ASCMR, Consigli (1639-1651), 3 aprile 1644, c. 79 riv. Sei anni più tardi è barcarolo Domenico di Giovanni Battista da Castelbellino, talmente povero che non ha il denaro per comperare il “canapo” per la barca, per acquistarlo si rivolge alla Comunità chiedendo un contributo (che gli viene elargito) di 3 scudi promettendo di traghettare quelli di Monte Roberto per due quattrini.[21]Ivi, 26 dicembre 1650, cc. 194v e 195r. Analoga richiesta rivolge alla Comunità di Massaccio e a quelle “circonvicine”, ai cittadini di queste farà pagare “tre quatrini per volta” e per tutte le stagioni, mentre i magistrati, “i quattro” di ogni castello, la tariffa sarà di “doi quatrini”.[22]ASCC, Suppliche (1632-1686) . Altro punto di attraversamento, agli inizi dell’Ottocento, si trovava nei pressi dell’attuale Ponte Pio. Nella riunione del Consiglio della Comunità di Monte Roberto del 18 marzo 1818 si discute la proposta di costruire nella zona un ponte di legno, sentendo anche le comunità di Jesi, Maiolati, Massaccio, Castelbellino, San Paolo, Staffolo e Apiro perché a tutte le rispettive popolazioni il ponte sarebbe stato di grande utilità: “la barca – si afferma – di fragile legname […] ha cagionato significanti sventure”.[23]ASCMR, Consigli (1809-1827), pp. 136-137. Non rare infatti erano le disgrazie mortali nel guadare il fiume con i carri. La sera del 17 marzo 1809, Bernardino Campana di Monte Roberto, di ritorno da Chiaravalle “nel valicare con il carro e bestie vaccine il fiume Esino presso la barca detta di Moricone, e precisamente tra il territorio di Jesi e questo di Monteroberto, si annegò sventuratamente perché abbondanti acque gli rovesciarono il carro indicato”. [24]ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p. 162, n. 93: lettera di Filippo Salvati sindaco di Monte Roberto al Giudice di pace del Cantone di Jesi, in data 18 marzo 1809. Il progetto di un ponte stabile sull’Esino fu portato a termine verso la fine del 1830, fu chiamato “Ponte Pio” come “la nuova strada Provinciale Pia già Labiena”[25]ASCMR, Consigli (1829-1839), p. 191. ASCC, Atti 1835, tit. che conduceva a Cingoli, in onore di papa Pio VIII (1829-1830), Francesco Saverio Castiglioni di Cingoli. Il ponte più volte rovinato e rifatto, per ultimo fu fatto saltare dai tedeschi in ritirata la notte del 18/19 luglio 1944.[26]Luconi Giuseppe, Storia difesi, Jesi 1969, p. 546. Urieli Costantino, 1944 Verso la liberazione, Comune di Santa Maria Nuova 1984, p. 140. La vegetazione lungo il fiume, da Pianello Vallesina a Ponte Pio, è caratterizzata da bosco ripariale a dominanza di pioppo bianco e nero con salici, [27]Biondi Edoardo, Baldoni M. Antonia, op.cit., p. 93. per la fauna ittica invece è questo, una piccola parte del lungo tratto dell’Esino, da Moie fin quasi alla foce, individuato come regione dei ciprinidi termofili (lasca, cavedano, barbo ecc.) senza però che vi sia una netta predominanza di una specie sull’altra. [28]Ivi, p.96. Per diversi decenni le zone limitrofe all’asta fluviale sono state interessate, ad un’intensa attività di scavo di materiali inerti; fino al 1980 le cave erano coltivate anche con il metodo detto “a piscina” (estrazione del materiale fin sotto il livello di falda) alcune di queste, ormai abbandonate e trasformate in altrettante “piscine” hanno causato insieme ad altre cave dismesse, un aspetto particolarmente alterante sia a livello paesaggistico che funzionale a tutto il territorio,[29]Ivi p. 92. anche se da parte delle competenti autorità ci si è preoccupati e si è proceduto ad una azione di recupero. Per favorire l’attività agricola mediante l’irrigazione dei terreni che da Pianello fiancheggiano l’attuale strada provinciale Planina, furono realizzati, verso la fine dell’Ottocento, iniziando dal fiume, tre vallati: il vallato Paolini che derivando l’acqua in territorio di Castelbellino e dopo aver alimentato l’omonimo molino irrigava i terreni sia nel comune di Castelbellino che in quello di Monte Roberto; il vallato di Pianello e il vallato di Passo Imperatore, più esteso, si limitavano al territorio di Monte Roberto; tutti e tre i vallati furono inquadrati da provvedimenti legislativi del 1900, del 1907 e del 1927.[30]Bonasera Francesco, I Vallati del territorio di Jesi, in Bollettino economico, Camera di Commercio di Ancona, n. 4-1985, pp. 23-33.
L’ultimo tratto del torrente scorre completamente in territorio di Monte Roberto e prima di immettersi nell’Esino raccoglie le acque di tutta l’ampia valle del Massaccio tra Cupramontana, San Paolo e Staffolo e quelle del Rio di Staffolo. Il suo nome Cesola è analogo a Cese, contrada in territorio di Cupramontana dove il torrente nasce e deriva da “silvae caesae”,
cioè boschi tagliati, ricordando l’opera di disboscamento iniziata probabilmente in questa contrada già agli inizi del Duecento. [31]Ceccarelli Riccardo, Le strade raccontano, cit., p. 224.Il suo corso fu probabile linea di confine sotto il dominio longobardo tra la Pentapoli e il ducato di Spoleto-Camerino.[32]Urieli Costantino, Jesi il suo Contado, Jesi 1988, vol. I, torno I, pp. 104-105.Cherubini Alvise, Presenza longobarda nel territorio jesino, in Istituzioni e Società nell’alto medioevo marchigiano. Atti e Memorie, 86-1981, Deputazione di Storia Patria per le Marche, Ancona 1983, vol. II, p. 537. Nei tempi passati era più ricco di acque e se, stando al Menicucci, in territorio di Cupramontana si idoveva registrare una “sufficiente quantità di barbi e lasche, [33]Menicucci Francesco, Massaccio nel 1789, appendice in Dottori Delfo, Cupra Montana e i suoi figli più noti, Cupra Montana 1983, p. 131.
Scende dalle contrade Capriola, Palazzi e Fonte della carta in territorio di Cupramontana con il nome di fosso di San Giovanni,[34]Ceccarelli Riccardo. op. cit., pp. 155-156. cambia nome in Fossato, Fossaro o Rio Fossato [35]ASCMR, Deliberazioni consigliari (1946-1950) n. 22/5,7 maggio 1950. in territorio di Maiolati Spontini, Monte Roberto e Castelbellino prima di confluire nell’Esino. Nel tratto di Monte Roberto era chiamato anche torrente Bovana.[36]Amatori Alberico. Le Abazie e monasteri piceni, Tip. Borgarelli, Camerino 1870, p. 2.
Alcune sorgenti fanno si che il torrente per quanto in magra nel periodo estivo abbia sempre un po’ d’acqua; l’ampio bacino di raccolta e le piogge prolungate ed insistenti lo fanno diventare impetuoso con allagamenti nella zona di Borghetto di Castelbellino.
In queste condizioni, più frequenti nel passato, attraversarlo era addirittura un rischio: il passo del Fossato, così era chiamato il punto della strada pubblica che saliva verso CastelbelIino e Monte Roberto, non aveva un ponte e “in tempo di pienara” non si attraversava, così. il 22 maggio 1757 il Consiglio della Comunità decide di porre una trave di quercia sul torrente per fare passare i pedoni con più sicurezza. [37]ASCMR, Consigli (1756-1766) cc. 45-46.
Lo stesso Consiglio sessant’anni prima, il 22 gennaio 1697, aveva deciso a stragrande maggioranza (18 voti favorevoli e uno solo contrario) la costruzione di un molino a grano sul Fossato ubicato sui beni della comunità per sollevare il comune dalle tasse e per comodità del popolo specie delle vedove [38]ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 251 r/v. e delle donne, in considerazione che queste più degli altri si recano al molino per macinare. [39]Ivi. c. 201v (23 novembre 1692). Per questo progetto ci vogliono circa 200 scudi che si pensa di prendere dalla vendita della legna della selva della Comunità; la Congregazione del Buon Governo però ne interrompe nel 1699 la costruzione. [40]Niccoli M. Pia, Legislazione molitoria a Jesi in età moderna, in Nelle Marche Centrali (a cura di Sergio Anselmi), Cassa di Risparmio di Jesi, Jesi 1979, vol. 1, (p. 709-741), p.718. Tuttavia il Governatore di Jesi Mons. Giambattista Barni nel febbraio 1713 ordina che “si fabbrichi un molino da grano nel nostro Fossato”, la spesa prevista intanto si era ridotta a 100 scudi. [41]ASCMR, Consigli (1711-1735), cc. 31v e 33v (19.2.1713) e c. 34r (24.1.1713). Comunque anche l’ordine del Governatore non giunge a compimento. Il Consiglio della Comunità infatti ritorna sul progetto il 4 agosto 1720: “È bene che la nostra Comunità fabrichi un molino a grano nel Fossatd dove c’è un sito molto a proposito e questo ridonderebbe in grand’utile non solo di questa Comunità, ma anche del suo Popolo e degli abitanti dei circonvicini Paesi, mentre questi dal tempo che restò inabile il molino della Torre [il molino delle Torrette in fondo alla strada Boccolina] stanno in continui pericoli d’affogarsi nel fiume che necessariamente devono passare a guazzo, oppure su la barca con pagare per andare a macinare nel Molino del Franciolini [sulla sinistra del fiume in territorio di Castelplanio], quale il più delle volte resta di non macinare o pure in Jesi e questi stanno molto lontani”.[42]Ivi, cc. 149ve 150r. II molino proprio non si doveva fare: verso la metà del secolo, Nicolantonio Amadio comincia a costruire il molino dopo aver ricevuto il parere favorevole dalla “Camera Apostolica”, deve però ben presto rinunciare perché su ricorso della città di Jesi gli viene revocato il permesso. Agli inizi dell’Ottocento i suoi figli supplicano ancora la competente autorità cioè “Monsignor Tesoriere della Marca per la facoltà di costruire nuovamente l’accennato molino a grano”, che si sarebbe chiamato di “mal tempo”, perché avrebbe funzionato solo nei giorni di tempo piovoso. Con tutta probabilità anche questa supplica avrà avuto risposta negativa. Il regime fiscale sulla macinatura era particolarmente duro e favoriva i molini della comunità; cioè quelli della città di Jesi, presso i quali si era obbligati a macinare, così la magistratura jesina, appoggiandosi sulle disposizioni pontificie, faceva del tutto per non far proliferare molini privati, dove però, in quei pochi che c’erano, ci si recava ugualmente contravvenendo agli ordini superiori: [43]Niccoli M. Pia, op. cit., pp. 719-720.
rpDove passano le strade, non passa la miseria, però c’è sempre qualcuno che fa i dispetti.
Per ogni comunità le strade in tutte le epoche sono state di fondamentale importanza, le autorità ad ogni livello si sono sempre preoccupate della loro condizione ed anche molte delle risorse del pubblico bilancio venivano impegnate per la loro manutenzione. I problemi della viabilità preoccupavano di più le piccole comunità perché avevano meno risorse e di più ancora quelle in collina: bastava qualche forte temporale, per non parlare di lunghe stagioni inclementi, per mettere a soqquadro il sistema viario fatto per lo più di strade impervie. A creare ricchezza per una comunità era in modo particolare il commercio delle derrate agricole e dei prodotti dell’artigianato, per questo le strade erano di vitale oltre a quello di favorire una circolazione di persone più sicura e più celere. Da Monte Roberto la strada pubblica “sopra il Crocefisso”, l’attuale via Pace, conduceva a Maiolati e “ad altri paesi verso la montagna”, [44]ASCMR, Trasatti (1775-1788), c. 122v (10.8.1788) e Trasalii (1788-1801), It da questa diramava la strada della Buccolina, necessaria per andare al molino della Torre. Il primo tratto di questa strada, confine e in comproprietà con Maiolati, provocava a volte qualche incomprensione o lite tra le due comunità in occasione dei lavori di manutenzione che, in considerazione della forte pendenza della strada stessa, dovevano essere fatti con le dovute cautele, ad es. eliminando le selciate “ove le Bestie, specialmente le Bovine non possono fermare li piedi per far forza a tirare li carri”. [45]ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 93r. Verso Castelbellino l’unica strada per tanti secoli è stata l’attuale via San Marco, anch’essa bisognosa di continui lavori per la forte pendenza: erano a volte radicali rifacimenti come l’intervento del 1587 [46]ASCMR, Entrate e uscite (1585-1597), c. 25r. o del 1816, anno in cui si parla di “apertura” della strada “diretta e rettilinea” tra Castelbellino e Monte-Roberto, riassettata con “giornate a fuoco”.[47]ASCMR, Consigli (1809-1827), p.181 (13 agosto 1820). La strada pubblica “per andare a Jesi, Loreto, Ancona ecc.”, scendeva dal castello verso il torrente Fossato; [48]ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 282r. il tratto, prima di incontrare il corso d’acqua, si chiamava strada di S. Giorgio e si incrociava con la ripida strada di Garnbasilla o Gammasilla che proveniva da Castelbellino. Sul torrente fino alla metà dell’Ottocento mancò un ponte in muratura o anche in legno, il luogo del guado era chiamato passo del Fossato; [49]Vedi nota 37. del ponte in muratura il Consiglio della Comunità ne discusse nel 1845 da costruirsi insieme a Maiolati e Castelbellino, [50]ASCMR, Consigli (1843-1849),12 gennaio 1845. solo però nell’ottobre del 1850 il ponte venne ultimato su progetto dell’architetto jesino Ciriaco Santini le spese furono sostenute soltanto dalle comunità di Monte Roberto e Castelbellino. [51]ASCMR, Consigli (1850-1859), 11 agosto 1850, p. 5. Superato il torrente, la strada verso Pianello che divideva il territorio tra Monte Roberto e Castelbellino era a volte poco praticabile per acque stagnanti che chiamavano “morticci” [52]ASCMR, Consigli (1780-1793), 10 agosto 1788, c. 94r. Essa poi proseguiva verso lesi quasi costeggiando il fiume in zone fangose e acquitrinose spesso impraticabili, e proprio per ovviare questa situazione che diventava sempre più insostenibile, fu redatto nel 1813 da Serafino Salvati un progetto per una nuova strada per Jesi. [53]ASCMR, Descrizione della chiusa, vallati e molini urbani di Jesi (1794) cc. 15v e 15v. Il fiume si attraversava, prima della costruzione di ponte Pio (1830), sulla barca o a guado o nella zona di Passo Imperatore o presso l’attuale ponte, per incontrare la strada consolare o Clementina (ex strada statale, ora provinciale 76) sul passo del Massaccio, così era chiamato questo bivio alla fine del Settecento, come del resto la strada, strada del Massaccio (attuale via Planina, tratto della strada provinciale n. 9 Castelferretti-Montecarotto), dal nome della località più importante che raggiungeva. [54]ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 43. Per il mantenimento di questa strada che da ponte Pio arrivava a Massaccio, attraverso Pianello, Castelbellino, Monte Roberto e Maiolati, fu predisposto nel 1834 dal comune di Monte Roberto un progetto di consorzio “mediante il quale ciascuna delle Comuni contribuisca proporzionatamente alla spesa della manutenzione”. [55]ASCC, Atti 1855, tit. 9.Accolto in linea di massima da tutti i comuni interessati [56]Per l’adesione di Monte Roberto, cfr. ASCMR, Consigli (1829-1839) pp. 191-192. e sanzionato dal Delegato Apostolico di Ancona mons. Gasparo Grasselli ni il 13 dicembre 1834, il progetto fu poi respinto il 5 marzo 1835 dal Consiglio della Comunità di Massaccio che ugualmente negò parere favorevole nella seduta del giorno 11 marzo 1839 ad un nuovo progetto redatto dalle magistrature di Maiolati, Castelbellino e Monte Roberto. Massaccio giustificava il suo rinnovato rifiuto al consorzio, il cui primo progetto addirittura risaliva al 1816, e alla ripartizione della spesa, per essere “già bastantemente dispendiata per aver sostenuto poco fa una spesa ben forte nella costruzione del nuovo tronco di strada denominata la Cozzana” e per il poco utilizzo di detta strada, chiamata strada di Monte Roberto o strada dei Castelli, da parte della sua popolazione che preferiva la strada della Torre-Cozzana. [57]ASCC, Consigli XXVI, torno 1(1835-1843), n. 23, pp. 214-219. L’attuale tracciato della strada provinciale dei castelli fu progettato ed approvato dai comuni di Castelbellino, Monte Roberto, Maiolati e Massaccio negli ultimi mesi del 1860,[58]Villani V., Vernelli C:, Giacomini R., Maiolati Spontini – Vicende storiche di un castello della Vallesina Comune di Maiolati Spontini 1990, pp. 274-275 e 481-483., fu tuttavia realizzato negli anni 1878-1882 in base alla legge n. 4613 de13 agosto 1868. [59]Consiglio Provinciale di Ancona, sessione ordinaria del 1911 (9.8.1911), fasc.7, p. 31. Poco oltre la metà dell’Ottocento si pensò ad una strada che arrivasse in contrada Colmorino di Maiolati proseguendo quella che veniva da Pianello (attuali via S. Giorgio e via Calapina). Il progetto viene respinto dal Consiglio Comunale di Monte Roberto il 1° gennaio 1854: la strada doveva essere costruita in consorzio tra Monte Roberto, Castelbellino e Maiolati, il progetto era stato del Priore di Maiolati “per ai poveri nell’attuale perniciosa stagione invernale”. [60]ASCMR, Consigli (1850-1859), p. 168. La cosiddetta strada di S. Apollinare (ora tratto della provinciale n. 9, Castelferretti-Montecarotto) è stata fino al secolo scorso in precarie condizioni: nel 1823 non era “ricoperta né di ciottoli, né di breccia, né di selciato”, veniva utilizzata prevalentemente dalla gente di San Paolo, Massaccio, Staffolo e Apiro che non dagli abitanti di Monte Roberto. Per questo motivo di fronte alle richieste, come quelle di Massaccio, di intervenire per accomodarne il tratto in dissesto, Monte Roberto si rifiuta affermando che “in nessuno degli atti communitativi tanto antichi che recenti, si trova descritta una benché tenue spesa sostenuta per i riattamenti di detta strada e si rivolge alle superiori autorità suggerendo anche lo spostamento del tracciato stradale più lontano dal fosso adiacente. [61]ASCMR, Consigli (1809-1827), pp. 241-242 (10.10.1823) e pp. 271-273 (16.7.1826). A questo rifiuto di Monte Roberto alle richieste di Massaccio per la strada di S. Apollinare seguirà, come abbiamo visto, pochi anni dopo l’altrettanto netto rifiuto di Massaccio a Monte Roberto ad entrare in consorzio per la manutenzione della strada dei Castelli: rifiuti tutti ben motivati ufficialmente da ragioni contabili e di utilizzo che tuttavia fanno capire come ciascuna comunità, e lo si dice in maniera ufficiale in seduta consiliare, ricorresse a “studiati maneggi e forti impegni” presso le superiori autorità per indurre la controparte alle proprie ragioni. [62]ASCC, Consigli XXVI, ( 1835-1843), torno I, p. 219. In tempi più recenti il territorio di Monte Roberto a valle, è stato interessato al nuovo tracciato della statale 76 (superstrada) a quattro corsie, che attraversa tutta la Vallesina: il tratto che riguarda la nostra zona fu inaugurato nei primi giorni di agosto del 1981. Il progetto risaliva alla fine degli anni Sessanta, l’intera opera era stata richiesta da sindaci ed amministratori della Vallesina, da organizzazioni provinciali e regionali nel contesto di nuovi e più rapidi collegamenti tra Marche, Ancona in particolare, e l’Umbria. [63]Ceccarelli R., Franceschetti M. A., Massaccio M., Il cammino di una comunità – Macine e Borgo Loreto di Castelplanio, Città di Castello (PG) 1993, pp. 61-62.
Agli inizi dei Seicento le fonti cui poter attingere acqua per uso alimentare e domestico erano fonte della Chiesa Nuova, fonte di Berto, fonte della Ciampana e fonte Estate.[64]ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 133r (7.9.1614) . Fonte della Chiesa Nuova, così chiamata per la relativa vicinanza alla chiesa di S. Maria del Buon Gesù finita di costruire nel 1567 ubicata all’angolo tra le attuali via Pace e viale Matteotti, ebbe dalla metà del Settecento la denominazione di fonte sopra il Crocifisso e fonte del Crocifisso dopo la costruzione dell’omonima edicola; una strada collegava la fonte alla chiesa, mentre la fonte aveva come protezione una piccola volta.[65]Ivi, c. 140v.
Fonte di Berto e fonte Estate, ubicate nelle omonime contrade, avevano “trocchi” e beveratoi per il bestiame e pantani-lavatoi per lavare panni.[66]ASCMR, Trasatti (1755-1788), c. 30. Il bestiame ovviamente si poteva abbeverare anche presso le altre fonti mentre c’era la necessità di tenere sotto controllo la pulizia delle stesse fonti, per questo con periodicità quasi annuale venivano ripulite e si facevano precise ordinanze di lavare nei luoghi destinati o come si prescrive il 15 febbraio 1615 “alla distanza di due canne” per la fonte della Chiesa Nuova e per la fonte della Ciampana.[67]ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 146r; norme precise erano dettate degli statuti della città e del contado di Jesi, cfr. Statuta sive Sanctiones et Ordinamenta Aesinae Civitatis, Macerata, Luca Bini 1561, c. 80v, Liber Quartus, Rub. XXVIII: “De pannis & aliis turpibus lavandis apud fontes civitatis”, in questa norma la distanza da osservare era di “una pertica o di una canna”; la “canna” corrispondeva a circa 4 metri. In qualche fonte si lavavano gli arnesi usati per la vendemmia (fonte della Chiesa Nuova), rimandando la pulizia della stessa fonte a dopo la conclusione di questi lavori agricoli.[68]ivi, c. 134r (14.9.1614). Fonte della Ciampana, ubicata presso il “borgo”, era, per la sua vicinanza al castello, quella più frequentata e quella che riceveva più attenzioni, nonostante questo, il 16 ottobre 1644 si ravvisa la necessità di rimondarla ogni anno “per buttarsi dalle genti in essa sporchizie” e si stabilisce la pena di uno scudo per ogni persona e per ogni volta che fosse stata colta in fragrante, e denunciata con prove e testimoni, ad imbrattare la fonte stessa. [69] ASCMR, Consigli (1639-165 1), c. 86r “Ciampana” o “ciampane” equivaleva a “pantano” o “vasca”, si parla infatti “di accomodare il ciampano” o “li ciampani”, Ivi, c. 103r (21.XII.1645) e c. 133v.
La fonte ebbe nel 1865 un radicale restauro diretto dall’architetto jesino Ciriaco Santini mentre l’anno dopo, per meglio attingere acqua, vi fu installata una moderna “pompa a tromba assorbente” fatta da Pietro Montali di Jesi.[70] ASCMR, Consigli (1865-1866), p. 117 (24.5.1866).
Più decentrata dal castello era, ed è, fonte Estate utilizzata sia dai residenti in territorio di Monte Roberto che da quelli di Castelbellino; dopo anni e anni di comune e pacifica convivenza presso la fonte, dovettero verificarsi episodi spiacenti, peraltro non altrimenti specificati e conosciuti, se il Consiglio della Comunità di Monte Roberto il 28 aprile 1641 decise di proibire alle donne di Castelbellino di lavare panni a fonte Estate, evitando così altri inconvenienti tra Monte Roberto e Castelbellino “per la poca intelligenza che v’è tra detti Castelli”, sotto la pena, anche questa, di scudi uno per ciascuna volta.[71] ASCMR, Consigli (1639-1651), c. 24r/v.
Fonte della Spina si trovava sulla sponda sinistra dell’Esino di fronte a passo Imperatore; campo della fonte della Spina con “moglia” contigua, era la zona limitrofa alla fonte, territorio di Monte Roberto pur al dì là del fiume.[72] ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 37v (27.4.1666) e Consigli (1676-1698), c. 31r. Il campo, confinante con altri appartenenti ai Ghislieri, era proprietà della Comunità di Monte Roberto; verso metà del Seicento si cerca di permutare questa “moglia al di là del fiume” con un terreno degli stessi Ghislieri in contrada Rovegliano vicino però ad altri di proprietà pubblica. La comunità aveva provveduto in questi anni a bonificare in parte la “moglia”, zona acquitrinosa e con vegetazione spontanea, salvaguardando alberi piccoli, alberi da frutto e quelli d’alto fusto (“da costruzione”), tagliando solo spini e seminando a grano il terreno bonificato. Decisa la permuta dal Consiglio il 1 dicembre 1643, cinque anni più tardi non si ha ancora il relativo permesso dai competenti uffici delle congregazioni romane nonostante sia stato già concordato il prezzo della valutazione del terreno con i Ghislieri (200 scudi la coppa per la terra arativa e 25 fiorini la coppa per la moglia). [73]C ASCMR, Consigli (1639-1651), c. 195 (16.X1.1640); c. 37v(24.2.1642); c, 38r/v (23.3.1642); cc. 69-71(I XII.1643); c.
rpAmbienti, colture, storia e storie, il tutto concentrato in un nome.
La commissione chiamata a realizzare, verso la fine del Settecento, il nuovo catasto dei terreni divise il territorio in quattro zone: Il Piano, Rovegliano, al di là del Fossato, al di qua del Fossato, ciascuna con le sue contrade. 74ASCMR, Verbali della Congregazione Catastale (1778-1781), la commissione era formata dai periti Lorenzo Moriconi, Domenico Mazzarini, Domenico Tesei, Francesco Tesei, Domenico Campana, Carlo Romagnoli, Giovanni Amatori, sotto la direzione di Don Francesco Antonelli. Calcolatori erano Serafino Salvati e Clemente Mazzarini. Molti di quei nomi sono scomparsi, altri rimangono ancora, tutti comunque erano antichi ed usati da secoli per indicare una parte specifica del territorio. Analizzandoli si possono ricostruire ambienti, colture, storia e storie, il tutto concentrato in un nome, unica reliquia forse e segno di un passato e di un vissuto di tante generazioni. Queste le quattro zone con le relative contrade: 1) II Piano, comprendeva le contrade di: Avolante o Forsaneto o Pian della Torre, Campo maggio, Coste o Monte Cucco, Limiti, Monte Santo Pietro, Panicaglia, Passo dell’Imperatore, Pian della Cesola, S. Apollinare, S. Settimio o Varchio, Vallottone, Valcerreta. 2) Rovegliano nel piano, comprendeva: Pian di S. Luca, Schiete, Spescia, Trivio o Pianello, mentre Rovegliano nel Colle era formato dalle contrade di Chiusura, Ser Tomasso e Torre. 3) Al di là del Fossato c’erano le contrade di: Cantalupo, Campo Grasso, Cannuccia, Catalano, Castellano, Locora o Lucora, Passo di Ceccone, Pratacci, Ripa Corvara, Ranco, Savino, Sanguinetti, Selva. 4) Al di qua del Fossato invece le contrade di: Calapina, Ciampana, Chiesa Nuova, Contessa, Costa di Luccio, Fonte, Fontestate, Fonte di Berto, Forcone, Fornace, Fossatelli, Fosso Curto, Fosso Lungo, Lenze, Montali, Noceto, Olivella, Poggetto, Porcini o S. Settimio, S. Brigida o Sabbioni, S. Giorgio, S. Silvestro, Temperatura, Tremoni, Valle di Calapina, Villate. Registrati in ordine alfabetico, di ogni toponimo proveremo a dare la spiegazione storicamente più attendibile situandolo nell’attuale toponomastica del comune. Innanzitutto il nome del capoluogo: Monte Roberto, nella dizione popolare viene detto anche “Monteribèrto” o “Monteribè, è un evidente composto di “monte” e di un nome di persona “Roberto”(dal germanico “Hrodbert”), probabilmente all’origine del castello o se non altro proprietario della zona. [75]AA.VV., Dizionario di Toponomastica/Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino, Utet 1990, p. 421. Il Piano era, ed è, più della metà del territorio comunale delimitato dall’attuale via S. Pietro, dal corso del fiume Esino e dai confini con Jesi, San Paolo e Massaccio. Si estendeva verso Jesi, la maggior parte in pianura sotto la Torre dei Ghislieri, da cui i nomi di Piano, per tutta l’area, e di Piano della Torre.[76]I toponimi, quando non altrimenti segnalato, sono desunti sia dai citati Verbali della Congregazione Catastale (1778-1781) che da altri due Catasti, il primo redatto nel 1743 e l’altro verso la fine dello stesso secolo. Piano della Torre, “tra la strada che va a S. Maria Nuova e la Cesola”; S. Maria Nuova era la chiesa di S. Maria di Rovegliano della metà. del Quattrocento, [77]Cherubini Alvise, Le antiche pievi della Diocesi di Jesi, Fano 1982, pp. 91-92.di questa piccola chiesa rimase fino agli inizi del Novecento il ricordo in una strada vicinale chiamata appunto “di S. Maria Nuova” che dalla strada provinciale, in territorio di Massaccio (Cupramoptana), presso il confine con San Paolo, costeggiando la Cesola, proseguiva verso il territorio di Monte Roberto.[78]Ceccarelli R., Le strade raccontano, cit., p. 197. È questa la zona industriale di Monte Roberto con le recenti denominazioni di via dell’Industria, via dell’Artigianato. Avolante, toponimo oggi limitato all’omonima contrada, in passato indicava una zona più ampia arrivando ai confini con Massaccio i cui terreni limitrofi, nel Cinquecento, erano chiamati “fundus Finilium aut contrata Avolantis” o anche “Agulanti”.[79]Ivi, p. 198. Forsaneto, è la zona limitrofa al fosso che scende da via Avolante e che divide il territorio di Jesi da quello di Monte Roberto. Campo Maggio o S. Apollinare, anche questo “tra la strada che va a S. Maria Nuova e la Cesola”; da “campus”, luogo pianeggiante, un’aperta campagna, e “major”, più grande, maggiore,[80]Pellegrini G. B., Appunti di toponomastica marchigiana, in Istituzioni e Società, cit., p. 228. corrisponde alla zona attuale tra via Cesola, via dell’Industria e via S. Apollinare; poco oltre tra il torrente Cesola e l’abbazia c’era il Pian del Comune con prati e vegetazione di querce e pioppi. Coste o Monte Cucco, oltre la Cesola, tra il confine con San Paolo e la strada di S. Maria Nuova che proveniva dal confine con Massaccio, “cucco” da “cucus”, altura tondeggiante. Limiti: contrada della Moglia o delli Limiti, nei pressi del fiume, zona in parte acquitrinosa con vegetazione spontanea o ripariale, è sostanzialmente la zona dell’attuale via Planina. Monte Santo Pietro, toponimo rimasto come via S. Pietro; è l’ultimo ricordo della chiesa di S. Pietro di Rovegliano, situata a sinistra del torrente Cesola sul colle chiamato fino al secolo scorso Monte S. Pietro, fu donata nel 907 dall’ex-imperatrice Ageltrude moglie di Guido da Spoleto, re d’Italia e imperatore, all’abbazia di S. Eutizio in Campi (Norcia).[81]Cherubini A., op. cit., pp. 66 e 84.Nel Settecento nella contrada c’erano ancora i beni della chiesa di S. Pietro, andata in rovina verso la metà del sec. XIV, i cui resti probabilmente erano nella boscaglia a monte dell’omonima attuale via. [82]Ceccarelli R., op. cit., p. 200. Panicaglia o Trivio, indicava tutta l’ampia zona tra la strada che segnava e segna il confine con Castelbellino e l’abbazia di S. Apollinare, è gran parte dell’attuale centro abitato di Pianello Vallesina. Panicaglia, dal latino “panicalis”, da “panicum”, panico (pianta erbacea), i cui semi piccolissimi costituiscono un ottimo alimento per gli uccelli, costituiva in età medievale il cibo ordinario della gente di campagna.[83]Baldetti Ettore, Aspetti topografico-storici dei toponimi medievali nelle valli del Misa e del Cesano, Serra de’ Conti 1988, p. 127. Trivio, da “trivium”, incrocio di strade. Passo dell’Imperatore, oggi è via Passo Imperatore. E’ un toponimo che risale al Quattrocento e al Cinquecento[84]ASCMR, Trasatti e Giuramenti (1569-1643), 31 ottobre 1569, c. 5r. e viene legato all’imperatore Federico II che avrebbe varcato il fiume in questo luogo, come riferiscono alcuni storici locali, nel corso della sua visita fatta a Jesi nel 1216, visita rivelatasi del tutto infondata in quanto Federico II in quel tempo era in Germania.[85]Pietro Gritio, Ristretto delle Istorie di Jesi, Macerata, Sebastiano Martellini 1578, pp. 23-24. Urieli Costantino, Jesi e il suo Contado, Jesi 1988, vol. I, tomo 2, pp. 118-119 e relativa bibliografia. Probabilmente invece il toponimo deriva da “paratore”, “paratura”, “strettoia”, in analogia a Campo Imperatore, in quel punto infatti il letto del fiume si restringeva e vi era posizionata la barca-traghetto per attraversarlo. La strada che vi arrivava, superava il fosso della Palombaretta, il nome del luogo era allora passo del fosso della Palombaretta o passo Imperatore,[86]ASCMR, Bollettini (1775-1790), 22 gennaio 1781, c. 63. più brevemente passo della Palombaretta. Anche la strada era chiamata strada della Palombaretta in contrada passo dell’Imperatore. [87]ASCMR, Registro delle Lettere dei Signori Superiori… , c. 211r e c. 226v. Indubbiamente una piccola costruzione per l’allevamento dei piccioni o palombi, “palombaretta”, dava il nome sia alla strada che al fosso. La contrada comprendeva anche l’attuale via I Maggio. Pian della Cesola, da contrada passo Imperatore ai confini con Jesi, zona limitrofa al torrente Cesola, comprendeva l’attuale via S. Antonio, che ricorda la chiesa di S. Antonio di Antignano del sec. XIII/XIV. S. Apollinare, toponimo identico all’attuale, fa riferimento all’area limitrofa all’abbazia. S. Settimio o Varchio, zona nei pressi della piccola chiesa dedicata a san Settimio ricordata per la prima volta in una visita pastorale del 1726 situata nei pressi del torrente Cesola ed ora anche della nuova statale 76; varchio, da “varco”, stretto passaggio probabilmente sulla Cesola. Vallatone, detto anche Vallattone o Vallettone, tra S. Apollinare, la Cesola ed i confini con San Paolo, è rimasto nella toponomastica attuale come via Vallettone. Valcerreta, tra la strada che andava alla chiesa di S. Maria Nuova e S. Apollinare nei pressi della Cesola, il toponimo rivela la presenza di antichi boschi di cerri (specie di quercia) nella piccola valle. Rovegliano, dalla denominazione romana di una proprietà fondiaria Ruvellianum, mutuato a sua volta dal nome del suo proprietario Rubellius.[88]Pellegrini GB., op.cit., p. 257.Altri spiegano il toponimo dall’antico pagus Veheianus ricordato da una iscrizione su un piatto ritrovato nel secolo XVIII in contrada Pieve di Massaccio (Cupramontana).[89]Mancia F., Lettera… intorno al sito di Cupra Montana, Faenza 1768, p. 84. Menicucci F., in Antichità Picene, vol. XV, p. 225. Tesei B., Cupra Montana antica città del Piceno, Monsano 1970, p. 43. Con questo nome si indicava un tempo una zona più ampia dell’attuale via Rovegliano sia in territorio di Monte Roberto che in quello di Cupramontana chiamato con la denominazione di contrada Rovejano. Rovegliano nel Piano, era la zona limitrofa alle attuali via XXV Aprile e parte di via S. Pietro, dalla pianura alle prime propaggine del colle. Pian di S. Luca, presso l’attuale via S. Pietro, il toponimo è presente solo nei “Verbali della Congregazione Catastale (1778-81)”, e si riferisce non ad una chiesa ma ad una edicola religiosa dedica al santo. Schiete, antico toponimo presente nei catasti jesini della fine del Duecento come “fundus de Scletis seu Ysclete”,[90]Menicucci F., Estratti dai catasti jesini, cc. 79v, 80v, 84r/v. da “aesculetum” cioè “bosco di farnie”,[91]Pellegrini G.B., op. cit., p. 280. una specie di quercia di grandi dimensioni, detta anche eschia; di questa importante vegetazione in zone pianeggianti, ormai scomparsa, rimase per lungo tempo solo questo nome andato in disuso nell’Ottocento. Spescia, da “spissus” cioè bosco fitto,[92]Ibidem. un nome anche questo che ricorda come la zona fosse stata per secoli ricoperta da boschi e selve. Trivio o Pianello, da “trivium”, incrocio di strade – come abbiamo già visto e Pianello dal latino “planum”, distesa di terreno piano, pianura. Rovegliano nel Colle, comprendeva una zona molto più ristretta da quella indicata oggi con lo stesso toponimo, sostanzialmente era l’attuale via Ponte Magno, anche se altri nomi venivano associati con “Rovegliano”. Chiusura: era la parte media dell’avvallamento dove scorre il piccolo fosso che scende dalla collina di Rovegliano, si tratta con tutta probabilità dell’area chiamata anche Rovegliano o il Vallone, o anche Rovegliano o sia Forcone, più in basso c’era la strada che andava alla chiesa di S. Maria Nuova. Ser Tomasso, dal nome di un proprietario del luogo, era la parte più bassa limitrofa alla strada che andava alla chiesa di S. Maria Nuova e S. Apollinare. Torre, la parte immediatamente sotto villa Ghislieri-Marazzi o villa della Torre, delimitata dall’attuale via Torre e dalla strada provinciale (n. 9 Castelferretti-Montecarotto) denominata via Costa. Al di là del Fossato: il torrente ha sempre avuto nel contesto del territorio di Monte Roberto una riconosciuta importanza, discriminando le contrade al di qua o al di là del corso d’acqua, per alcune questioni amministrative come ad es. per il diritto alla cavalcatura per il medico: solo se le famiglie erano “al di là del Fossato” il medico poteva esigere la cavalcatura altrimenti doveva andarci a piedi.[93]ASCMR, Consigli (1711-1735), 25 giugno 1713, c. 44r. Cantalupo, a valle lungo il Fossato, nei pressi dei confini con il territorio di Massaccio (Cupramontana); il toponimo può ricordare l’antica presenza nella zona del lupo che fino ai primi decenni del Seicento veniva segnalato anche nei boschi e nelle selve nei pressi di Jesi, può essere tuttavia anche una espressione apotropaica, usata cioè per scongiurare ed allontanare la presenza dell’animale ritenuto malefico.[94]Ceccarelli R., Le strade raccontano, cit., p.27I e relativa bibliografia. Campo Grasso, indicava un’area compresa tra contrada Torre, contrada Le Locora e contrada Sànguinetti: l’indicazione specifica non di rado veniva fatta anche con questi nomi; “grasso”, sta per fertile, ubertoso. La Cannuccia o Le Selve, chiamata anche Cannuccia o Cantalupo, tra il fosso di Camoriano o il Fossato e il confine con Massaccio. Il fosso di Camoriano è un altro nome del fosso di San Giovanni o Fossato, deriva da “camurianum” antica proprietà fondiaria della gens Camuria o Cameria.[95]Ivi, p. 157. Catalano, zona in contrada Torre, con tutta probabilità così chiamata da un lontano proprietario proveniente dalla Catalogna o più in generale dalla Spagna meridionale. Un forte movimento migratorio di catalani verso l’Italia si verificò tra il XI e il XIII secolo. In questa contrada la comunità di Monte Roberto aveva una delle sue proprietà fondiarie con relativa casa colonica. [96]ASCMR, Consigli (1665-1676), 13 febbraio 1667, c. 45v. Castellano o il Castellaro, adiacente a Le Locora, da “castellanus” o “castellarium” dipendente del castello: è un probabile riferimento all’antico castello di Berempadria che sorgeva non lontano e che andò distrutto nel sec. XIV.[97]Menicucci F., Memorie istoriche della Terra di Massaccio, Fermo 1793, p.30. L’attuale via Castellaro “al di qua del Fossato”, tra via Calapina e via Fonteberto, non fa riferimento specifico a questo toponimo pur rimanendo lo stesso significato di dipendente dal castello. Lucora o Le Lucora, da “lucus” bosco, nelle immediate vicinanze di contrada Sanguinetti con la quale non di rado si scambiava il nome, si estendeva fin verso la villa Ghislieri; l’area, ridotta quasi esclusivamente a coltivazione agricola, già alla fine del Settecento, nel toponimo rivela l’antica situazione boschiva. Passo di Ceccone o Fossato, indicava l’area limitrofa al punto dove il torrente si poteva superare, nell’odierna via Fossato; dal nome di un lontano proprietario della zona. Pratacci, lungo il torrente Fossato, con zone di vegetazione erbacea poco adatta al pascolo o non idonea al bestiame. Ripa Corvara, area in pendio con notevole presenza di corvi; dal latino “ripa” riva, in particolare “pendio ripido” in zona collinare e appenninica; “Corvara” da “corvarius”, “corvus”, corvo. Ranco, toponimo rimasto nell’odierna via Rango, ai confini con Cupramontana; da “runcare” dissodare, tagliare, terminologia propria del disboscamento: “ranco”, terreno dissodato, pronto per nuove colture. Lo stesso toponimo per le aree tra Monte Roberto e Massaccio risulta anche nei catasti cuprensi del Cinquecento e del Settecento.[98]Ceccarelli R., op.cit., pp. 194-195. Savino o Rovegliano, la contrada è detta anche Saino, verosimilmente dal nome latino “Sabinus”; analogo toponimo Mollia de Savino, tratto di sponda palustre dell’Esino presso Jesi, viene registrato nel 1029. [99]Pellegrini GB., op.cit., p. 260. Sanguinetti, il toponimo già presente nei catasti jesini del sec. XlV [100]Menicucci F., Estratti dei catasti Jesini, c. 84v. rimane nell’attuale via Sanguinetti che indica la zona su ambedue le sponde del Fossato, nel Settecento e nei secoli precedenti si limitava alla sponda destra; deriva dal nome di una pianta selvatica “sanguinella” che nella zona cresceva in abbondanza. Selve o Fossato, indicava l’ampia zona boschiva tra le odierne via Fossato e via Torre dove era ubicata la selva della Comunità che ha rappresentato per secoli una notevole risorsa economica per la pubblica amministrazione, si usava anche la dizione contrada del Colle detto la Selva. Al di qua del Fossato: tutto il territorio e le contrade tra il Fossato e i confini con Maiolati e Castelbellino, compreso il centro storico. Calapina, era ed è un’ampia zona parallela al corso del Fossato, indicata anche oggi dallo stesso nome, via Calapina. Altre indicazioni si aggiungevano per meglio specificare le parti del territorio: Schiena d’Asino o Fossato, Piano di Calapina, Calapina o Pratacci, Valle di Calapina o contrada Valle ovvero Calapina; si usavano anche le dizioni Canapina e Fossato di Canapina, evidenziando così l’origine del toponimo e cioè dalla coltivazione della canapa praticata nella zona e molto importante nell’economia del medioevo. Già nel Settecento era diffusa l’attuale dizione popolare Calapigna.[101]ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 133, 15 giugno 1760. La contrada comprendeva anche l’attuale via della Cupa e via S. Maria, probabilmente così chiamata per una edicola religiosa dedicata alla Madonna. Ciampana, o contrada del Ciampano, dall’omonima fonte, è l’attuale via XXIV maggio; si diceva pure Ciampana o Borgo per la vicinanza al “borgo” che si snodava lungo l’odierna via Giacomo Leopardi da cui si diramava la breve via del Cipresso, per la presenza appunto di un grande cipresso, presente già in un dipinto del XVII secolo ed abbattuto verso la fine degli anni Sessanta del Novecento. Chiesa Nuova, indicava l’area a nord-ovest, immediatamente sotto il castello, tra le attuali via Pace, via Noceto, via Fonte del Crocefisso, viale Giacomo Matteotti e piazza Serafino Salvati; dalla chiesa di S. Maria del Buon Gesù terminata nel 1567 e situata tra via Pace e viale Matteotti. Il nome “Chiesa Nuova” era unito di volta in volta ad altro termine di riferimento: Chiesa Nuova o Fonte (si tratta della fonte del Crocefisso, non molto lontana), l’Olivella o Chiesa Nuova (zona coltivata ad ulivo), Fosso Lungo o Chiesa Nuova, Fosso o Chiesa Nuova (riferimento al fossato presente un tempo lungo le mura castellane). Contessa, contrada detta anche La Contessa o San Silvestro, è la zona dell’attuale via San Silvestro; “contessa” dai possedimenti in loco di una nobildonna, “San Silvestro”, dalla chiesa di S. Silvestro “de Curtis” che sorgeva nel “fondo di S. Silvestro”, per arrivarvi era necessario passare nella strada in contrada del Luto102ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 73v, 14 agosto 1740. o Costa del Luto103ASCMR, Bollettini (1775-1790), c. 69, 5 agosto 1781. o contrada del Loto.104ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 158r e c. 160v, 15 maggio 1774. Costa di Luccio, zona in forte pendio, il nome deriva probabilmente dall’antroponimo latino Luttius. Fontestate, dall’omonima fonte, è l’odierna via Fontestate; nelle vicinanze era ubicata contrada San Giuseppe, il nome derivava da un’edicola religiosa dedicata al santo che sorgeva, nella seconda metà del Seicento105ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 49r, 10 dicembre1679. accanto alla strada. Questa edicola detta “figura” o “figuretta” diede il nome a contrada della Figura e all’attuale via Figura. Fonte di Berto, dall’omonima fonte, è l’odierna via Fonteberto, dal nome del proprietario o di chi sistemò la fontana, Berto o Roberto, nome di origine germanica, si tratta verosimilmente della stessa persona che è all’origine del castello. La contrada si estendeva fin verso Calapina per cui prendeva nome di Calapina o Fonte Berto. Forcone, dal latino “furca”, “biforcazione” o gola, zona a valle nei pressi del Fossato di fronte alla contrada Cantalupo, veniva infatti chiamata anche Forcone o Cantalupo, e non lontana dall’omonima contrada cuprense. Curiosa anche la dizione Paglia Nuova o vero Forcone. Questa zona tra Forcone, Valle di Calapina e S. Settimio, era chiamata anche La Valle o sia S. Andrea per la vicinanza all’omonima contrada e chiesa in territorio di Maiolati; c’era altresì una contrada S. Martino, dalla chiesa di S. Martino che sorgeva tra Maiolati e Monte Roberto. Le Lenze, ampia zona attorno ai fianchi della collina immediatamente prima del castello, sistemata e coltivata per lo più a superficie orizzontale, quasi a terrazzo; il toponimo veniva usato spesso con altri per meglio specificare le diverse parti del territorio, così. abbiamo: Lenze o via Fossatello o Fossatelli, S.Anna o Lenze (da un’edicola dedicata alla santa), La Figura o Lenze, Fornace o Lenze o solo Le Fornaci, Lenze o il Moro o solo II Moro, Le Lenze o il Colle (appresso il castello sopra la Chiesa Nuova), Le Lenze o il Noceto, Ciampana ovvero Lenze, Le Lenze detto Monterotto, in catasti più antichi, (proprio sotto il castello, confinante con la casa e con l’orto del Pievano). La strada, che l’attraversava, detta delle Lenze, prima di arrivare alla strada della Figura, era “necessaria per andare al molino della Cesola”.106ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 118v; 1 maggio 1772. Fosso Curto, dal fossato a sud del castello, comprendeva le attuali via Colle, via Ponte (che introduceva al ponte levatoio e all’unica porta per entrare nel castello), parte di via Gaspare Spontini, piazza Roma, via Roma e via Leonardo da Vinci. Montali, limitrofa all’omonima contrada in territorio di Castelbellino, la strada che l’attraversava e l’attraversa arriva in via Fontestate. Noceto, terreno coltivato a noci, è la zona a nord del castello limitrofa a contrada Fosso Lungo tanto che si poteva chiamare anche Noceto o Fosso Lungo; il toponimo Noceto o Cannetacci rivela la presenza di vegetazione spontanea di canne. La strada via Noceto, ormai ridotta ad un viottolo, univa via S. Marco, che scendeva da Monte Roberto verso Castelbellino, con via Boccolina. Poggetto, contrada indicata anche come Le Villate o via Poggietto “con [alla fine del Settecento] tre case per lavoratori, Palazzo e Chiesa”, è la chiesa della Madonna della Neve ricostruita nel 1697 il cui ricordo rimane nell’odierna via Madonna della Neve che da via Roma (strada provinciale dei castelli) si congiunge con via S. Atanasio (altro patrono di Monte Roberto)” e via Villarella. Porcini o S. Settimio, è l’attuale via S. Settimio così chiamata da una proprietà appartenuta al Capitolo della Cattedrale di Jesi dedicata appunto a S. Settimio; Li Porcini o Porcini da un allevamento di maiali che doveva trovarsi verso via Fonteberto e via S. Silvestro se troviamo anche il toponimo San Silvestro o vero Porcini. La presenza di quest’allevamento fu all’origine altresì del toponimo Li Porcini o sia Temperatora, o soltanto La Temperatora o Temperatura. S. Brigida o Sabbioni, il toponimo rimane nell’odierna via Sabbioni. La contrada era chiamata anche S. Brigida o la Valle per la presenza, poco oltre la metà del Settecento, di una “figuretta di S. Brigida nel terreno di Carlo Mancini” situato presso il confine con Maiolati scendendo un po’ a valle lungo l’attuale via Villarella.107ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 334v, 1765. “Contrada S. Brigida [era] nomata i Sabbioni” per la presenza di terreni sabbioso-arenacei da noi chiamati “tufo” o “sabbione”. La strada di S. Brigida, ora appunto via Sabbioni, imboccava la strada della Boccolina che andava al molino della Torre. S. Giorgio, il toponimo rimane nell’odierna via S. Giorgio con la sostanziale ed immutata indicazione della zona nei secoli, deriva infatti dall’omonima chiesa monastica, in territorio di Castelbellino (Borghetto), ricordata per la prima volta nel 1105. Ricostruita poi verso la seconda metà del Settecento un po’ più in alto in contrada Montali, nella zona veniva ugualmente segnalata la “chiesa diruta detta San Giorgio Vecchio”. La zona è limitrofa e parallela al corso del Fossato per cui era chiamata anche Fossato o sia S. Giorgio. Contrada Tremoni era ubicata nella stessa zona “vicino ai beni di S. Giorgio”. In contrada Tre Noci o sia S. Giorgio, poco sopra il Fossato, aveva una proprietà don Gianfrancesco Lancellotti, storico e letterato di Staffolo (1721-1788). In contrada della Serra o fondo della via della Serrai108Cherubini A., Le antiche pievi della Diocesi di Jesi, Edizioni Studia Picena, Fano 1982, p. 67. la chiesa di S. Giorgio possedeva altri beni. Gambasilla, dal nome della ripida strada che veniva da Castelbellino, è “sita sotto S. Giorgio [Nuovo] ove l’acqua del Fossato, laterale alla detta strada, fa continuo scavo”.109ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 169v, 22 settembre 1774.Da via S. Giorgio si diparte via Quaternara per congiungersi a monte con via Torre, il toponimo è segnalato nei catasti jesini della fine del Duecento come “fundus Quartanarie”.110Menicucci F., Estratti dai catasti Jesini, c. 84v. La Villa, rimane nell’attuale via Villa, ridotta a poco meno di un viottolo di campagna, che partendo da via S. Marco e attraversando la strada provinciale dei castelli arriva fino a via Figura, che oltre la metà del Settecento era chiamata Strada Lenze o pure Villa. 111ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 85v, 26 novembre 1786.
Ai toponimi già descritti che riguardano il territorio rurale e le immediate vicinanze del castello di Monte Roberto, dobbiamo aggiungerne pochi altri presenti nell’antico agglomerato urbano.
All’esterno del castello tra Fosso Curto (via G. Spontini) e Fosso Lungo (viale Matteotti), via Francesco Giuliani, già via Poggetto, ricorda un valoroso garibaldino di Monte Roberto (1846-1931), combattente con Garibaldi nel 1866. 112cfr. Il Giornale d’Italia, 15 agosto 1931, p. 3. Via Giacomo Leopardi, così denominata il 24 aprile 1898, è “il borgo” sviluppatosi nei secco XVII/XVIII con la traversa di via Concordia che sbocca su piazza Roma.
ad un eroico carabiniere di Monte Roberto (1912-1937) medaglia d’argento morto nella regione di Datj alta (Eritrea) il 21 agosto 1937. Prima si chiamava piazza Castello e prima ancora piazza S. Carlo per la presenza dell’omonima chiesa. L’attuale via Guglielmo Marconi, dal 4 marzo 1939, era via Castello, antecedentemente via S. Carlo, fu chiamata via Roma il 4 agosto 1931. Era stato lo stesso capo del governo, Benito Mussolini, a dispone che con l’inizio dell’anno X dell’Era Fascista (28 ottobre 1931) tutti i centri urbani dovessero avere una via non secondaria con il nome di via Roma. 114ASCMR, Deliberazioni Podestarili (1930-1932), p. 91.La denominazione fu trasferita successivamente ad un tratto della strada provinciale dei castelli, mentre piazza Roma fu così chiamata nel contesto di una revisione generale della toponomastica comunale fatta il 12 settembre 1935115ASCMR, Deliberazioni Podestarili (1935-1936), n. 134 e seguenti. Via Ponte introduce da via Spontini in piazza S. Silvestro. L’attuale viale Giacomo Matteotti, già denominato il 25 luglio 1936 viale Arnaldo Mussolini (1885-1931) in onore del fratello dell’allora capo del governo, 116ivi, n. 131. nel primo tratto, tra la strada provinciale e via Pace, già via del Cimitero, fu chiamato via XXVIII Ottobre (anniversario della Marcia su Roma, 28 ottobre 1922). 117Ivi, n. 143.
L’antico nome di Pianello era S. Maria del Trivio o S. Maria del Pianello, dall’omonima primitiva chiesa costruita attorno alla metà del Seicento. 118Ceccarelli R., L’antica chiesa della Madonna del Trivio, in Voce della Vallesina, n. 22/23 del 15 giugno 1986. L’aggiunta di Vallesina fu fatta negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. 119Negli atti comunali la dizione Pianello Vallesina si trova per la prima volta il 23 maggio 1948, cfr. ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1946-1950), n. 61. Le vie più antiche, definite ufficialmente il 12 settembre 1935, sono quelle del primo nucleo abitato: via S. Benedetto, via Esino che con via San Giorgio segna il confine con il Comune di Castelbellino, piazza della Vittoria, in ricordo appunto della vittoria nel primo conflitto mondiale; a questa memoria sono dedicate anche via IV Novembre (già via Tempesta) e via Trento; laterale a via Trento c’era la piazzetta Dante Alighieri dove il 24 maggio 1936 fu innalzata l’antenna della vittoria, 120ASCMR, Deliberazioni Podestarili (1935-1936), n. 44 del 2 maggio 1936. l’odierno monumento ai caduti. L’attuale via XXV Aprile, in onore della Liberazione d’Italia (25 aprile 1945), dal settembre 1935 era chiamata via XXI Aprile, anniversario della fondazione di Roma. Sulla sinistra di via San Giorgio è ubicata via del Colle. La demolizione (2002) della secolare fornace con la costruzione del primo lotto funzionale del complesso residenziale e commerciale (2005-2009) ha originato piazzale della Fornace e via Giovanni Paolo II (1920-2005), pontefice dal 1978 al 2005. Le altre vie seguono lo sviluppo della frazione con intitolazioni a noti personaggi della storia politica e sociale nazionale, ad esponenti della Resistenza o ad altre figure di notevole rilievo. Via Bruno Buozzi sindacalista socialista (1881-1944), fu costruita nel 1948 ed intitolata il 7 gennaio 1953; 121121 ASCMR, Deliberazioni di Giunta (1950-1954), pp. 245-246. via Giovanni Amendola, giornalista e uomo politico antifascista (1882-1926); via Alcide De Gasperi, statista italiano (1881 – 1954); via Giacomo Brodolini, uomo politico marchigiano (1920-1969); via Benedetto Croce, filosofo (1866-1952); via Palmiro Togliatti, uomo politico (1893-1964), tra i fondatori nel 1921 del Partito Comunista Italiano; via Antonio Gramsci (1891-1937), uomo politico e studioso anch’esso tra i fondatori del Partito Comunista Italiano; piazza della Repubblica; via Martiri della Resistenza; via don Giovanni Minzoni, vittima della violenza fascista (1885-1923); via Fratelli Cervi; 122122 Erano agricoltori di Campegine (Reggio Emilia). Si trovavano in carcere con il loro padre Alcide incolpati di aver ospitato prigionieri alleati evasi, quando i sette fratelli, Ettore, Ovidio, Agostino, Ferdinando, Aldo, Antenore e Gelindo, furono prelevati e fucilati il 27 dicembre 1943 a Reggio Emilia dai fascisti per rappresaglia all’uccisione di Vincenzo Onfiani segretario del Comune di Bagnolo in Piano. via Francesco Contuzzi, partigiano jesino morto in uno scontro con i tedeschi, a 21 anni, nei pressi di Santa Maria Nuova il 10 giugno 1944. 123123 AA.VV., Dall’antifascismo alla Resistenza. Le origini del P.C.I. a Jesi, Jesi 1984, p. 89. Via Gino Tommasi, comandante partigiano (“Annibale”) della V Divisione Marche (1895-1945); via Amato Vittorio Tiraboschi (1901-1948), vice comandante (“Primo”) delle formazioni clandestine delle Marche; 124124 Giuseppe Luconi, L’anno più lungo. 25 luglio 1943-20 luglio 1944. Jesi 1975, pp. 44,76, 99. Bocca Giorgio, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Bari 1966, p. 209. La Resistenza nell’anconitano, Anpi, Ancona 1963, pp. 303-305. Salvadori Max, La Resistenza nell’Anconitano e nel Piceno, Cassino 1962. Edizione anastatica, Jesi 2005, pp. 189:190. via II Giugno; via Giuseppe Garibaldi che si snoda lungo il Terrone dove si trovano via Camillo Benso Cavour, via Fabio Filzi, martire ed eroe trentino della prima guerra mondiale (1884-1916); via Aldo Moro (1916-1978), statista italiano ucciso dalla Brigate Rosse il 9 maggio 1978; via Sandro Pertini (1896-1990), presidente della Repubblica dal 1978 al 1985; via Guido Rossa (1934-1979), sindacalista ucciso dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979. Nella lottizzazione tra via Esino e villa Salvati le nuove strade sono via Agabito Salvati (1829-1897), sindaco di Monte Roberto dal 1861 al 1897 e combattente nella battaglia di S. Martino il 24 giugno 1859; via Europa e via Papa Giovanni XXIII (1881-1963), pontefice dal 1958 al 1963. Nella lottizzazione in zona Terrone sorta tra il Novecento e il Duemila la nuove strade sono via Giovanni Falcone (1939-1992), magistrato ucciso dalla mafia il 23 maggio 1992; via Carlo Alberto Dalla Chiesa (1920-1982), generale dei Carabinieri e prefetto di Palermo ucciso dalla mafia il 3 settembre 1982; via Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), missionaria di origine albanese, premio Nobel per la Pace nel 1979, beatificata il 19 ottobre 2003; via Paolo Borsellino (1940-1992), magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992. In Località Ponte Pio, che ricorda la costruzione del ponte (1830) dedicato all’allora papa Pio VIII (Francesco Saverio Castiglioni di Cingoli), la strada che attraversa il rione sorto alla fine del Novecento, è via Jesi, quella lungo la provinciale è via Planina. Nella zona industriale invece troviamo via del Commercio, via del Lavoro, via dell’Artigianato, via dell’Industria. Il parco pubblico nei pressi di Villa Salvati è stato dedicato nel primo centenario dello scoutismo (2007) al fondatore degli scout Robert Baden-Powell (1857-1941).
La popolazione del Comune di Monte Roberto al 31 dicembre 1994 ammontava a 2229 unità; aveva superato la soglia delle 2000 nel censimento del 1911 con 2050 abitanti. Le 1000 unità invece erano state superate nella seconda metà del Settecento: nel 1782 si registrano 1042 abitanti. Nel 1656 gli abitanti erano 758; Monte Roberto non era più piccolo dei castelli del contado di Jesi, con meno popolazione c’erano solo Scisciano, Poggio Cupro, Castelbellino (403), Rosora (589) e Poggio S. Marcello (653). In poco meno di cinquant’anni la popolazione crebbe di quasi 150 unità, nel 1701 c’erano 901 abitanti. La crescita per tutto il secolo XVIII fu lenta ma graduale, arrivando agli inizi dell’Ottocento alle 1242 unità (1802). Nel 1853 si arrivò a 1548 persone presenti nel territorio: l’ultimo ventennio del secolo vide una crescita di 243 unità, passando il numero totale degli abitanti dai 1687 del 1881 ai 1930 del 1901. La prima metà del Novecento registrò sempre una popolazione al di sopra delle 2000 unità, con il massimo raggiunto nel 1951 con 2362 abitanti, mentre stabile fu tra il 1921 e il 1936 con 2260 abitanti circa (2287 nel 1921, 2258 nel 1931 e 2284 nel 1936). Il fenomeno dell’esodo dalle campagne verificatosi tra il 1950 e il 1970 segnò profondamente l’assetto demografico del comune: tra il 1951 e il 1971 si persero 722 abitanti, dei quali 541 solo tra il 1961 e il 1971, arrivando a 1640, livello pari a quello di cento anni prima (nel 1871 c’erano 1636 abitanti). Da notare che l’incremento demografico che si verificava in quegli anni nella frazione Pianello non compensava il decremento totale del territorio.
Quello del 1971 fu il minimo storico; 125I dati sulla popolazione dal 1656 al 1971 sono stati desunti da Nelle Marche Centrali, cit., vol. I, pp. 254-255, quelli più recenti dall’Ufficio Anagrafe del Comune ai cui titolari va il grazie più sentito. ben presto l’incremento che si registrava specie a Pianello, esaurita la fuga dai campi, fece aumentare il numero totale degli abitanti: dal 1971 al 1991 la popolazione crebbe di 526 unità passando da 1640 a 2166, dei quali 328 dal 1971 al 1981. Osservando l’andamento della popolazione di questo periodo si nota che l’incremento è minore o nullo, o addirittura si può parlare di decremento. Nel 1983 gli abitanti erano 2087, più o meno come nel 1987 (2090) o nel 1989 (2092), addirittura 2057 nel 1986 e nel 1988; la differenza tra nati e morti è a favore di questi ultimi nonostante che la media della popolazione sia giovane e che il tasso delle nascite sia superiore che in altre zone della Vallesina. L’incremento si ha dunque solo con l’arrivo di nuovi abitanti e questo si verifica quando ci sono gli strumenti edilizi che permettono nuove costruzioni, ciò si è verificato dal 1989 in poi quando dai 2082 abitanti si è passati ai 2162 del 1990, ai 2166 del 1991 e ai 2186 del 1992, ai 2190 del 1993 e ai 2229 del In dieci anni tra il 1990 e il 2000 si è passati dai 2162 abitanti ai 2394 con un incremento di 232 unità. L’incremento maggiore si è avuto in questi ultimi dieci anni, dal 2000 al 2010, quando si è superata la soglia dei 3000 abitanti con un aumento di ben 617 abitanti (3027 al 31 dicembre 2011). (nota aggiunta: nel decennio 2011-20121 la popolazione si è mantenuta stabile, si contano 3052 abitanti all’inizio del 2021). I nuovi arrivi provengono per lo più dalla città, trovando, a Pianello in particolare, nuove abitazioni economicamente più abbordabili ed un ambiente più a dimensione umana. Significativa numericamente la presenza di extracomunitari. Molte vecchie case coloniche sono state restaurate, soprattutto da stranieri affascinati da una campagna incontaminata.