Pressoché del tutto sconosciuto agli odierni suoi conterranei, nonostante che un appassionato fervido monterobertese extra moenia, il dott. Piero Mancini, ne abbia voluto fissare, anche se in maniera bizzarra, il nome in una lapide, con una scritta esaltante le bellezze del natio luogo dettate dallo stesso promotore. Angelo Moretti godette in vita, per la sua vasta cultura, per le sue notevoli qualità di docente e di educatore e per la sua attività letteraria, una larga indiscussa rinomanza.
Nato a Monteroberto (Ancona) il 9 marzo 1788 da Nicola e da donna Francesca Marcobelli, di benestante famiglia, frequentò per 10 anni le scuole nel seminario diocesano di Jesi, ove fu educato alle belle lettere da insegnanti di valore come il dotto letterato sanmarinese abate Ignazio Belzoppi. Ordinato sacerdote, dopo essere stato per quattro anni maestro in due scuole normali, di cui una a Montemarciano, su segnalazione del Belzoppi e su direttta raccomandazione al patrio Consiglio del Podestà Conte Mario de Rossi Marcelli, con deliberazione del 20 settembre 1815 (come da notizie cortesemente fornitemi dai prof. Enrico Liburdi e dal dott. Corrado Leonardi), fu eletto primario maestro di retorica e umanità, in Casteldurante (attuale Urbania), ove nello stesso anno fondò, unitamente con il Belzoppi e con il sopramenzionato Podestà, l’Accademia metaurense, di cui fu anche segretario.
Lasciata dopo un triennio quella città, il Moretti passò alla cattedra di eloquenza di Assisi, donde si trasferì a Perugia sempre come professore di eloquenza nel collegio cassinese, chiamatovi con molte preghiere accompagnate da più larghe offerte dal professore di metafisica dell’Università di Perugia, D. Raniero Bini. Passato quindi, ad insegnare nel seminario di Todi fu costretto a rinunciare dopo qualche tempo per dissensi all’incarico, come si apprende da una lettera (pubblicata dal Liburdi) dell’Avv. Domenico Belzoppi, nepote dei sopramenzionato letterato, a Giuseppe Raffaelli di Urbania del 30 giugno 1825 in cui si legge: “Anche il povero Moretti dové andarsene da Todi perché non era troppo fanatico adoratore del De Colonia e le sue disgrazie presenti muovono, tra le altre ragioni dal De Colonia che egli non volle insegnare. Moretti è tra le mura del S. Uffizio di Jesi accusato quale eretico e settario. Si spera però che al più presto, quei santi giustizieri lo lasceranno alla sua naturale e civile libertà, perché si è difeso per eccellenza”. (Per quei pochi che lo ignorassero il De Colonia era un testo di grammatica latina).
Risulta che la partenza avvenne nell’estate del 1824 e che si restituì al suo paese, la cui magistratura ne salutò, nella seduta consigliare del 29 agosto 1824, il rientro in patria con le seguenti parole (trascrittemi dalla cortesia di E. Badiali): “È ben nota la lodevole carriera sostenuta sin qui dall’eloquente sig. Maestro Don Angelo Moretti, e conoscete i luminosi posti da esso con tanto onore calcati. Conoscete pure la sublimità delle sue virtù, lo splendore della sua dottrina, la fama di perfetta maniera di comunicare le scienze divulgatesi nel grido del merito e della Giustizia. Egli ha dichiarato di restituirsi alla Patria, e di accomodarsi ad istruire nella bassa sfera della scienza i suoi paesani, del cui sapere è ben facile augurarsi di poter vedere Modelli di sua conformità ed Allievi, che facciano onore alla Patria”.
Sappiano che a Monteroberto gli era stata affidata fin dal 1821 la rettoria della chiesa di S. Maria della Neve (oggi distrutta), come si leggeva anche in una piccola campana appartenuta alla stessa chiesa, anch’essa non più esistente. Ma il Moretti non restò a lungo nel suo paese.
Dal novembre 1827 al settembre 1831 lo troviamo infatti insegnante di retorica nel seminario vescovile di Recanati. Quivi ebbe la ventura di conoscere personalmente Giacomo Leopardi, come ci narra V. Spezzioli nella sua “Guida di Recanati”, 1898 p. 133, da cui ritengo interessante riportare il passo che ad esso si riferisce “Il sacerdote Angelo Moretti, uomo assai colto … (omissis), quando nel novembre del 1828 seppe che (Giacomo Leopardi) era tornato a Recanati, desideroso di conoscerlo andò a fargli visita. Disse poi ai suoi scolari di aver chiesta a Giacomo alcuni chiarimenti di cose greche e ch’egli gli aveva riposto di buon grado e ‘con molta dottrina. Pochi giorni dopo il Leopardi venne in seminario a restituire la visita. Il Moretti cercò di trattenerlo a lungo, e fra le altre cose, riuscì a farsi: dire da lui che egli, dopo aver letto un libro anche una sola volta, ne ricordava sempre e con chiarezza tutte le parti. Mentre Giacomo usciva dalla stanza del Moretti, i seminaristi andavano alla lezione pomeridiana. Egli si fermò presso la porta della stanza del rettore e salutò quei giovanetti, tra i quali em il prof Antonio Bravi, alunno dei Moretti ed ancora vivente dal quale abbiamo appreso questo aneddoto”.
Nei tre anni successivi non m’è riuscito di sapere dove e quale attività esplicasse. E’ certo, comunque che, lasciata del tutto la carriera dell’istruzione si dette al sacro ministero della cura delle anime.
Dal giugno 1834 al marzo 1835 lo troviamo, infatti, a Jesi economo spirituale dopo un breve periodo di rettorato, della chiesa di S. Maria delle Grazie: e dal 1835 al 1837 rettore della chiesa di S. Giambattista alias di S. Filippo della stessa città.
Nel giugno 1837 si trasferì, in seguito a concorso, a Massaccio (attuale Cupramontana), quale priore della chiesa di S. Lorenzo, ove ebbe anche modo di esercitare il preferito magistero, rivelandosi “premuroso maestro” al mio prozio Giovanni Annibaldi, come egli stesso ama ricordare in una lettera di quest’ultimo del 1844 che conservo.
Ammalatosi gravemente di epatite virale, il Moretti, dopo essersi recato nel marzo del 1846 a Loreto per implorare dalla Vergine la guarigione, “incurvato nella sua alta persona, estenuato nelle carni, affralito delle forze ” (come ricorda di averlo veduto il sopramenzionato Bravi), presago dell’ormai non lontana fine, volle tornare al suo paese lasciando Cupra nell’ultima decade di aprile come si deduce dalla data, 20 aprile apposta all’ultimo atto dello stesso sottoscritto in S. Lorenzo (gentilmente segnalatami dal dott. A. Piccioni). Nella sua casa paterna si spense dopo tre mesi circa, e precisamente il 16 luglio alle ore 2 pomeridiane (come è ricordato nell’atto di morte dell’archivio parrocchiale di Monteroberto sotto la data 17 luglio 1846). La sua dipartita fu ricordata con brevi cenni da Vincenzo Sabbatucci negli Annali di Agraria di Jesi dello stesso anno, e più diffusamente nel 1853, ne scrisse il sopraricordato Antonio Bravi, di cui mi piace qui riportare alcuni passi dei “Cenni biografici intorno al prof D. Angelo Moretti”, pubblicati in “Reminescenze recanatesi” dello stesso, Recanati 1878 pp. 127- 131, “Questo benemerito Maestro, alla perizia non comune nelle lettere massime italiane, accoppiava benigna facilità di modi con ogni fatta di persone ed amorevolezza cortese verso ciascuno de’ suoi allievi. Fornito di eletta libreria voleva che l’uso gliene fosse comune con ognuno di quelli; obbligandoli avvicendatamente alla lettura, ed all’analisi di proficue Opere da lui ‘con avvedutezza distribuite. Per lo molto amore alla bellissima lingua nostra non mai si rimase dallo istillare affetto, ed inculcare studio assiduo sui nostri Classici, in ispecie trecentisti, e di mettere in altissima stima la Divina Commedia di Dante, della quale a quando a quando esponeva e chiarava con assai maestria i luoghi più meravigliosi. Si deve alle sue cure indifesse ed ad un cotal suo genio per la drammatica, la istituzione di esercitazioni teatrali, nelle quali i giovani con molto loro pro annualmente si addestrassero e si producessero negli ultimi di del carnevale; e tale si fu l’abilità di lui nell’istruire, che si videro spesso riuscire felicemente Drammi, e Tragedie anche le meno agevoli ad essere ben presentate da Attori provetti. Si conosceva eziandio di musica, ed oltre ad avere più procurato musicali Accademie nel Seminario, amava spesso di associare la sua voce di basso a quella dei Cantanti della Cappella della nostra cattedrale Basilica”[…] “Dovunque poi, per più o minor tempo, ebbe a professore Lettere italiane e latine, oltre a durevole fama, riportò splendide testimonianze del suo merito.
Si esercitò non senza lode nella eloquenza sacra: pubblicò molteplici rime, gravi ed eleganti, ogni volta che richiesta d’amici, o debito di congiunture l’obbligarono a dettarne: ne mandò anco delle applaudite alle illustri Accademie delle quali era Socio, tra cui la Tiberina”.
Giovanni Annibaldi jr.
(Voce delta Vallesina, h. 24 del 23 giugno 1975)