Categoria: 4 – IL CASTELLO

  • 75 4.1 DALLA PIEVE AL CASTELLO

    75 4.1 DALLA PIEVE AL CASTELLO

    Uno dei fatti che segnerà per diversi secoli l’assetto ambientale e paesaggistico dell’intero nostro territorio, e di quello di tutta la nazione, si verificò tra il sec. X ed il sec. XII: è l’ incastellamento, cioè il progressivo concentrarsi della popolazione in villaggi fortificati (“castra”).
    I vari nuclei famigliari “sparsi per la campagna si unirono in agglomerati di nuova costruzione, generalmente situati in un’altura, o attorno ad un nucleo preesistente. Insediamenti nuovi e raggruppamenti favoriti anche dai proprietari fondiari che così. “potevano dominare più strettamente il popolo” 1Georges Duby, Il Medioevo, Milano 1993, p. 68 : Controllo, maggiore sicurezza, aumento demografico, ripresa economica e commerciale e contemporanea rivitalizzazione delle città, sono alcuni dei fattori che determinarono l’incastellamento. Con esso prende corpo anche una nuova figura del dominus loci (il signore del luogo): da “protettore” e generalmente proprietario di vaste estensioni fondiarie diventa anche detentore di un potere progressivamente più ampio e specifico.
    La circoscrizione territoriale ecclesiastica, la pieve, continua a rimanere nella sua integrità: la chiesa plebana comunque non sempre coincideva con i nuovi agglomerati, anzi alcuni casi i diritti e la giurisdizione della stessa chiesa plebana vennero trasferiti nella ecclesia castri, cioè nella chiesa all’interno del castello.
    Cominciò così ad entrare in crisi il sistema plebano che verrà sostituito da quello parrocchiale una volta che i castelli diventarono, nei secc. XIII-XIV, i centri propulsori della vita civile ed economica.
    Nella Vallesina i castelli hanno tutti una certa contemporaneità: sorgono tra il sec. XI e XII sec., se alcuni di essi hanno avuto origine ad opera dei monaci, il loro costituirsi si deve ad un processo storico più complesso.
    La ripresa economica con contratti di lavoro sui terreni a più lunga scadenza (contratti enfiteutici) e la costituzione di nuove classi sociali (i famuli o servi legati al fondo che coltivavano considerati minores; i livellari coltivatori che potevano disporre di sé e dei propri beni erano i mediocres; mentre i beneficiari dei contratti enfiteutici appartenevano ai maiores, ed è tra costoro che emerge il dominus loci), favoriscono la nuova configurazione anche istituzionale del territorio.
    Quasi tutti i castelli fondati in Vallesina in questo periodo sono rimasti nei secoli successivi, ampliati e più volte ristrutturati, formando quello che fu tra il Duecento e l’Ottocento il Contado di Jesi. Lo costituivano i castelli di: Monsano, San Marcello, Morro d’Alba, Belvedere Ostrense, Montecarotto, Poggio San Marcello,-Castelplanio, Rosora, Scisciano, Poggio Cupro, Massaccio/Cupramontana, Maiolati, Monte Roberto, Castelbellino, San Paolo di Jesi e Santa Maria Nuova.

    Villa Ghislieri


    Altri castelli furono distrutti dopo non molto tempo dalla costituzione; come il castello di Moie e Santa Maria delle Ripe distrutti nel 1203, quello di Colmontano nel 1284; altri invece lo furono nel Quattro/Cinquecento come quelli di Accola, Follonica e Rovegliano (quest’ultimo ristrutturato poi come Villa Ghislieri) in territorio di Cupramontana. di altri infine labili e incerte sono le notizie anche della loro esistenza e della loro relativa ubicazione (castrum Actunij, Monte delle Torri e Montereturri, Maccarata, Mazzangrugno).2Per una più ampia e diffusa trattazione, cfr. Urieli C., Jesi e il suo Contado, cit., vol. I, torno I, pp. 193-250.

  • 76 4.2 LE ORIGINI DI MONTE ROBERTO

    76 4.2 LE ORIGINI DI MONTE ROBERTO

    Il primo e piu antico documento che menziona Monte Roberto risale al 1079 è un atto di onazione che Ugo, conte di Jesi, fa all’Eremo di Camaldoli di un appezzamento di terreno, situato nel territorio di Morro Panicale (Castelbellino), per costruirvi l’abbazia di S. Giorgio. Per indicare i confini del terreno donato, nel documento, tra l’altro, si dice: “a tertio latere Monte Riberti perveniente a Sancto P(a)olu“.


    Tali termini – scrive Cherubini – fanno pensare che a quella data Monten Roberto fosse già un piccolo agglomerato, cosa frequente dopo il Mille, tanto più che tutta l’area circostante era stata sede di precoce insediamento di feudatari laici e di case monastiche. E il nome fa appunto pensare ad un feudatario di tal nome, ovviamente di origine longobarda, tanto più che la località era ai confini del Ducato longobardo di Spoleto”.

    Il nome, Roberto, possibile “signore del luogo” (dominus loci), “certamente straniero e non italico o romano”, dal germanico Hrodbert, ha fatto sorgere la leggenda che fa risalire l’origine del castello a Roberto il Guiscardo, duca di Puglia (1015ca-1085) che a sua volta l’avrebbe ricostruito sulle rovine di uno precedente eretto da un certo Ariberto del IV-V d.C.

    Roberto il Guiscardo - Wikipedia
    Roberto il Guiscardo

    In mancanza di documenti sicuri e criticamente vagliati dobbiamo arguire trattarsi di leggenda senza fondamento storico”, come del resto è racconto leggendario voler legare la fondazione del castello alla gente superstite di Planina, quando nel momento della migrazione dalla città distrutta, si divise in due gruppi, l’uno dirigendosi verso Castelplanio, l’altro verso i colli sovrastanti l’antica città, fondando Monte Roberto e Castelbellino. Difficile affermare con certezza se in questo periodo, seconda metà del sec. XI, Monte Roberto fosse un piccolo agglomerato, una semplice contrada o un castello; maggiori lumi non ci arrivano da un documento del 1105 di papa Pasquale II che conferma all’Eremo di Camaldoli

    Eremo di Camldoli

    i propri beni e dove viene menzionato Monte Roberto. Con molta probabilità si trattava di una contrada con un piccolo agglomerato edilizio di proprietà di un certo Roberto e facente parte del territorio di Castelbellino.
    La conferma ci viene dall’assegna data al Comune di Jesi dei beni stabili spettanti alla Curia del Castello di Morro Panicale” (Castelbellino) redatto in data 27 aprile 1219: si parla di un “campo de terra in fundo Monte Ruberti” e di “una pectia de terra in fundo Monte Ruberti”. L’espressione “Fundus” e non “castrum” (villaggio fortificato, castello) ci fa protendere per una contrada o unità fondiaria.
    Quest’atto di consegna dei beni immobili appartenenti al castello di Castelbellino completa la sottomissione al Comune di Jesi fatta dal conte Trasmondo nel mese di maggio del 1194: egli donava “castro murro et eius curia et cum omnibus suis pertinentiis tam intus quam de foris et cum hominibus et cum suis possessionibus”, e cioe il castello di Morro e il suo territorio annesso con tutte le sue pertinenze sia interne che esterne, con gli uomini e con tutti i suoi possedimenti. Il territorio di Monte Roberto ed il suo agglomerato edilizio agli inizi del Duecento fanno parte cosi del Contado di Jesi.

    I castelli del contado di Jesi

    Per il secolo precedente lo storico Ottavio Turchi, sulla base di una lettera di papa Eugenio III del 1147 in cui viene ricordato il monastero di S. Giorgio, afferma che Monte Roberto, come altri castelli della zona, faceva parte allora della Marca di Camerino, circoscrizione orientale del Ducato di Spoleto.” La cosa è possibile, piu certa è invece per la zona della parte superiore delle contrade Accoli e Badia Colli di Cupramontana. E comunque una conferma come tutta la zona fosse di contine e come non sia facile identificare l’esatto decorso del confine stesso del Ducato di Spoleto.
    Tra il Duecento e il Trecento l’agglomerato edilizio acquista una certa consistenza come “castellare”, cioé come fortilizio sprovvisto di mura ma munito di terrapieni e di recintazioni.
    Il primo catasto jesino, probabilmente del 1294, parla di questo castellare ubicato proprio nel “fondo di Monte Roberto”: “in fundo Montis Roberti… castellare Montis Roberti”.
    Altro indizio (o conferma?) che Monte Roberto verso la metà del Duecento non fosse ancora un “castrum”, ci viene da un registro dei censi del 1283, dove si elencano le località che fanno parte del Contado di Jesi: sono presenti i castelli di Montecarotto, Castelplanio, Rosora, Morro Panicale, Maiolati, Scisciano, Poggio Cupro, Massaccio, San Paolo, manca però Monte Roberto, evidentemente compreso nel territorio del castello di Morro Panicale-Castelbellino.


    Comunque la trasformazione del castellare in castello, vero e proprio fortilizio con cinta muraria in posizione collinare, fu un fatto naturale come lo era stata qualche decennio prima la formazione degli altri castelli sulle colline della valle dell’Esino.
    Il castello di Monte Roberto non divenne tuttavia un centro molto grande se entro le sue mura non ebbe mai una chiesa, almeno fino al primo decennio del Seicento, e questa neppure parrocchiale.
    Territorio e castello di Monte Roberto facevano parte, come accennato, del plebanato di Morro Panicale; le chiese, come vedremo, erano sparse nella campagna, solo la chiesa di San Silvestro de Curtis, chiamata anche di San Silvestro dicta Curtis, che sorgeva nel fondo di Silvestro: andata distrutta nella prima metà del Quattrocento, fu sostituita quasi contemporaneamente da una nuova con lo stesso titolo costruita a ridosso delle mura.

    Nascita di Federico II a Jesi


    Ai primordi del castello di Monte Roberto si è voluto con una certa fantasia scomodare anche la storia della prima infanzia dell’imperatore Federico II. Nato a Jesi il 26 dicembre 1194, l’imperatore avrebbe trascorso nel castello di Monte Roberto i suoi primi tre anni: questa permanenza, l’episodio del battesimo, avvenuto più tardi con il nome di Costantino e non di Federico assunto successivamente, ed altro ancora, non sono altro che leggende senza alcun fondamento e che non reggono minimamente alle prove della storia. La leggenda non è antica, sembra essere nata intorno agli anni Cinquanta del Novecento; entrata in circolazione in qualche pubblicazione non certo di grande attendibilità scientifica viene riproposta di volta in volta sulla stampa. Quando la leggenda ha qualche verosimiglianza con la storia può essere anche un onore, in questo caso invece i documenti e la storia sui rapporti tra Federico II e Monte Roberto, oltre a tacere, dicono tutt’altro.
    Precedettero invece la nascita del castello di Monte Roberto due altri piccoli castelli ubicati nella fascia di confine tra il territorio di Cupramontana e Monte Roberto: erano i castelli di Rovegliano e di Berempadria

    Il castello di Berempadria

    sorti nel corso del X e dell’XI secolo. Il primo ha avuto una continuità, dalla seconda metà del XV sec., nell’attuale villa Ghislieri-Marazzi. Il secondo, non lontano da quello di Rovegliano, dovrebbe essere andato in rovina definitivamente nel corso del Trecento.

  • 80 4.3 LE MURA CASTELLANE

    80 4.3 LE MURA CASTELLANE

    Il Cherubini descrive così la cinta muraria di Monte Roberto: “Il castello ha una forma approssimativamente rettangolare alquanto allungata, da ovest a est. Nel breve lato orientale si apre la porta d’ingresso al castello, coperta da una volta a botte piuttosto lunga, nella quale si può distinguere una parte anteriore e una posteriore: quella anteriore corrisponde all’ampliamento del recinto murario avutosi nel [Quattro]-Cinquecento; la parte posteriore corrisponde alla cinta muraria più antica e più ristretta.
    Il lungo lato del castello rivolto a meridione ha un alto torrione scarpato di pianta quadrangolare, valido strumento di difesa del lato stesso. Un altro torrione, meno evidente in quanto trasformato per uso abitativo, si eleva nell’angolo orientale dello stesso lato: si tratta di un notevole baluardo a cinque lati, scarpato, in quale si congiunge con l’anzidetta posta del castello, a difesa della quale era stato eretto.
    La cortina muraria che si estendeva tra questo torrione e l’altro sopra ricordato è stata quasi completamente sostituita dalle abitazioni sorte successivamente; la cortina muraria è invece alquanto conservata nel breve tratto ad ovest del torrione quadrangolare suddetto, dove la base scarpata assume un andamento
    quasi semicircolare.
    Il lato settentrionale, meno gravato da abitazioni, è difeso da un possente torrione di pianta ottagonale, sei lati del quale emergono dal muro di cinta. Ad ovest di tale torrione la cortina muraria, ampiamente scarpata, è corredata da inverosimile’ sequenza di merli alla ghibellina (a coda di rondine) [ricostruiti prima anni Cinquanta del Novecento] che conferisce a quel settore un aspetto prevalentemente scenografico”. 22Cherubini A., Arte Medioevale nella Vallesina.Una nuova lettura, cit., p. 386.Mauro Maurizio, Castelli, Rocche, Torri, Cinte fortificate delle Marche, vol. II, seconda edizione, Adriapress, Ravenna 1997, p. 368.
    Non conosciamo la data o le date precise della costruzione della primitiva dita muraria che tuttavia deve risalire ai primi decenni del Trecento, sappiamo che essa dovette subire una sostanziale ristrutturazione, se non un rifacimento ex novo, alla metà del Quattrocento, 23Urieli C., Jesi e il Contado, vol. II, p. 331. con maggiore precisione conosciamo invece le vicende della struttura della cinta muraria dal Seicento in poi. Essa infatti costituì uno dei problemi più onerosi e di più difficile soluzione per la pubblica amministrazione.
    Periodici erano infatti i crolli di parte delle mura, ed anche i rifacimenti o gli iniurventi che di volta in volta venivano eseguiti non erano quasi mai definitivi o risolutori. La ragione era sostanzialmente, come rileverà l’architetto cuprense Paolo Isidoro Capponi nella perizia che fece l’8 agosto 1787, 24ASCMR, Registro delle lettere dei Signori Superiori e d’altri interessi pubblici … (1703-1795), e. 234r cc. 234-235, cfr. Appendice n. 2, C, pp. 287-288. che le mura castellane servono “di pura incornisciatura al Masso di Tufo sul quale è piantato tutto il castello”.
    Piogge insistenti per giorni e giorni ed eventi straordinari come terremoti causavano crolli non facilmente e subito rimediabili.

  • 81 4.3A IL MURAGLIONE DELLA PIAZZA

    81 4.3A IL MURAGLIONE DELLA PIAZZA

    Uno dei punti di maggiore debolezza e che, a dire il vero, non faceva parte della cinta muraria ma ne era un contrafforte di notevole importanza, era il muro che sosteneva la vecchia chiesa di S. Silvestro e la piazza antistante, a pochi metri dalle mura vere e proprie.
    Nel 1609 si risarcisce “il muro sotto la chiesa della nostra comunità”, 25ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 49v. passa poco più di un secolo e tre giorni di pioggia, dal 25 al 28 settembre 1717, procurano danni alle mura che sostengono la piazza e la chiesa parrocchiale causando lesioni e rendendo pericolose le cappelle laterali della chiesa stessa.
    Per il restauro da farsi il Consiglio della Comunità intende impegnare anche il ricavato della vendita della legna della “selva della Comunità”. 26ASCMR, Consigli (171171735), c. 116v e 117v, 29 settembre 1717. ASCMR, Registro delle lettere…, cit., c. 28v. Nel progetto che si appronta, si propone di fare sotto il muro alcune cantine, una fontana “se si avesse la commodità dell’acqua” e “sopra terra alzarci le loggie per comodo et abbellimento del nostro Castello”. 27ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 123v, 1 maggio 1718.
    La fontana veniva proposta in considerazione dell’acqua che proveniva dalle falde del terreno su cui poggiava il muro e che costituirà una grossa difficoltà per una nuova ricostruzione che si dovrà fare poco oltre la metà del Settecento.
    Il progetto invece delle logge non era nuovo, era stato formulato oltre sessant’anni prima, nel 1647: avrebbero dovuto essere fatte “nella muraglia della Piazza e appoggiarle alla chiesa di S. Silvestro”, facendo ad essa anche da fortezza e sostegno. 28ASCMR, Consigli (1639-1651), cc. 136r e 137r, 11 agosto 1647. I lavori programmati vennero ultimati nel 1725, complessivamente durarono nove mesi in tre anni e furono seguiti a nome del
    Consiglio da Amanzio Mancia e Lorenzo Paziani. 29ASCMR, Consigli (1 711 -1735), c. 193v, 8 luglio 1725.
    In antecedenza ci si era dovuti preoccupare di una parte della vera e propria scarpa della cinta muraria andata in rovina provvedendo ad un tempestivo restauro. 30Ivi, cc. 55v e 56v, 18 marzo 1714.

  • 82 4.3B UNA PORTA ABUSIVA

    82 4.3B UNA PORTA ABUSIVA


    UNA PORTA ABUSIVA

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    Il castello, allora come oggi, aveva un’unica porta di accesso che veniva regolarmente chiusa alla sera ed aperta al mattino da un incaricato della pubblica amministrazione, in tempo di epidemia o di contagio poi, oltre ad una prolungata chiusura, si mettevano delle guardie per una vigilanza più stretta su chi entrava e su chi usciva. Nessun’altra porta poteva essere aperta in maniera abusiva: una porta privata che immettesse nel castello avrebbe potuto far nascere “scandoli e pregiuditij”.

    Orazio Guglielmi tuttavia negli ultimi anni del Seicento l’aveva fatta aprire, senz’alcun permesso, sulle mura nella zona di Fosso Curto (attuale via G.Spontini): il Consiglio della Comunità ne discute il 17 gennaio 1691 e ricorre al Governatore di Jesi che rispondendo il 29 aprile ordina che la porta venga murata “a muro pieno conforme son le muraglie castellane” a spese dello stesso Guglielmi. Passano pochissimi anni e nell’aprile 1695 il Guglielmi apre di nuovo la porta senza permesso ed il Consiglio questa volta ricorre alla Sacra Consulta.

  • 82 4.3C CADONO LE LOGGE

    82 4.3C CADONO LE LOGGE

    Le logge costruite per “ornamento et abbellimento” del castello furono tali per poco tempo: le piogge prolungate verificatesi nel mese di aprile del 1729 ancora una volta sembrano essere all’origine della loro rovina. 32ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 226r, 1 maggio 1729.
    Una decina d’anni dopo, la perizia del “perito muratore” Giovanni Lacchè di Jesi individua la ragione del cedimento strutturale delle logge in “una paccatura di Terra, o sia Liscia sotterranea, che camina sotto la loggia suddetta, a casa del Sig. Mazzini e si estende anche detta apertura verso la Chiesa parrochiale”. 33ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 67r, 30 marzo 1740, cfr. Appendice n. 2, A, pp. 284-285. Proprio le acque senza sufficiente drenaggio e idonea canalizzazione avevano provocato quel movimento franoso nell’attuale piazza S. Silvestro: le logge stavano qui, continuavano lo spazio coperto tra una parte dell’attuale arco d’ingresso alla piazza (casa del Sig. Mazzini) e la chiesa.
    Il Consiglio della Comunità dopo le prime avvisaglie di cedimento nel 1729, sentito il parere di esperti, decide il loro restauro ne ottiene anche il permesso dalle autorità superiori, 34Ivi, c. 42r, 21 ottobre 1738. i lavori però non riescono a fare: qualcuno cui le logge non piacevano affatto (“persone indiscrete per loro secondari fini”) fa ricorso a Roma 35Ivi, c. 64v. e blocca i lavori, il Consiglio così il 29 marzo 1740 decide di smantellare il tetto delle logge diventato un pericolo pubblico. 36Ivi c. 65v.
    Dieci giorni dopo il Governatore di Jesi Mons. Giovanni Vitellio Vitelleschi manda il perito muratore Lacchè a Monte Roberto per una diligente ricognizione; nella relazione il Lacchè consiglia di “fare il luogo di detta loggia un grosso muraglione a scarpa liscio senza loggie di sopra bensì col suo parapetto avanti la piazza alto da terra piedi 3 romani”, avvertendo, “attesa la terra molle, di dove scaturisce l’acqua” di “farci le palizate a castello in fine del fondamento per poter con tutta sicurezza fondarci detto muraglione, trattandosi di luogo montuoso ed in costa”. 37Ivi, c. 67r.

  • 83 4.3D IL TERREMOTO DI S. MARCO

    83 4.3D IL TERREMOTO DI S. MARCO

    “Nel dì 24 aprile 1741, circa le 15h 1/2 ital[iane], si sentì nella Marca una triplice scossa di terremoto per la quale Fabriano soffrì più di ogni altro paese, avendo i danni sorpassata la somma di scudi 100000: in quella tremenda congiuntura si ebbero 7 vittime, tre delle quali sotto le rovine della chiesa dei Cappuccini. Al replicar delle scosse nella chiesa di S. Venanzio diroccò la facciata, in quella di S. Nicolò il campanile che, cadendo, fracassò la chiesa […]. In Serra S. Quirino […] i guasti furono immensi […] In Urbino tutte le case furono danneggiate […] In Camerino rovinò la maggior parte delle case, le altre furono rese inabitabili […] A Iesi i danni furono notevoli […] A Pesaro furono abbattuti vari camini [In Fano non vi fu chiesa o casa che non abbia sofferto […] nella campagna parecchie case furono demolite. S. Severino e Matelica risentirono molti danni, e così pure qualche località dell’Umbria. A Recanati […] la scossa fu terribile: essa poi fu forte a Trevi, a Forlì e Cesena; a Mantova causò una considerevole fenditura […]; fu sentita a Roma, a Firenze, a Parma, a Lodi, a Udine e in tutto il Friuli; fu abbastanza sensibile a Vicenza”.

    Allora come oggi, i lavori pubblici non avevano quella sollecitudine che i cittadini hanno sempre desiderato; per il rifacimento del muraglione però sembrava essere arrivati finalmente in dirittura di arrivo quando accadde, ‘l’imprevisto: la vigilia della festa di S. Marco, il 24 aprile 1741, la terra tremò la rovina fu grande.

    Effetti del terremoto del 24 aprile 1741. L’area di danneggiamento si estende dalla costa adriatica alla valle del Tevere, comprendendo quasi tutte le Marche e parte dell’Umbria .


    Notevoli furono i danni al palazzo comunale, alle case e alle persone; 38lvi, c. 84r, 1 giugno 1741. le case più danneggiate furono quelle verso Fosso Lungo, cioè quelle che si affacciavano sull’attuale viale Matteotti e su piazza Serafino Salvati. I crolli non dovettero essere di poco conto se si poteva entrare nel paese attraverso le case in rovina e non solo dalla porta; 39ASCMR, Registro delle lettere signori superiori, 6 maggio 1754. molte famiglie inoltre, dopo il terremoto se ne dovettero andare. 40ASCMR, Consigli (1794-1800), 2 novembre 1800.
    La situazione rimase così per diverso tempo: molti ne approfittavano per recuperare dalle case crollate pietre, mattoni e legname; la Comunità tuttavia quasi quindici anni dopo cerca di recuperare qualche proprietà e di restaurarla. 41ASCMR, Consigli (1735-1755), 6 maggio 1754.
    Non si riuscì a far molto, se verso la fine del secolo nel Consiglio della Comunità del 18 marzo 1798 si parlava di “togliere quelle mostruosità cagionate dal terremoto che diroccò buona parte del nostro luogo”, preoccupandosi, nella ricostruzione di qualche edificio “di dare ancora una qualche simetria al castello”. 42ASCMR, Consigli (1794-1808), c. 48v.
    Rovina ma anche tanta paura e ricorso alla religione: nella seduta del 1 giugno 1741 il Consiglio decide all’unanimità di “far celebrare un offitio Generale, nella nostra Chiesa della Madonna della Pietà, con quanta celerità possibile, in suffragio delle Anime purganti, acciò mediante esse et il patrocinio della SS.ma Vergine, questo luogo resti libero dalle scosse di terremoto e da qualunque altro castigo”. 43ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 84v. L’anno dopo in prossimità del primo anniversario si decide per un triduo a San Giuseppe “acciò ci liberi dal flagello del terremoto”. 44Ivi, c. 107r, 8 aprile 1742.
    L’intercessione di San Giuseppe era ritenuta di grande efficacia se il terremoto dell’aprile 1741 che interessò tutti i paesi della Vallesina 45 Menicucci F., Memorie.. .Massaccio, p. 296.risparmiò Castelplanio che si era rivolto proprio alla intercessione di questo santo. 46ASCCPL, Consigli, 22 aprile 1742.


    Il Consiglio Generale della Comunità di Massaccio-Cupramontana così registra l’avvenimento il giorno dopo, 25 aprile: “La grandissima scossa del terremoto, che ieri all’ore quindici in circa la Divina Misericordia ci fece intendere con nostro gran spavento, mentre scossa simile non si è più intesa à memoria de viventi in queste nostre Parti, ci move di proporre à questo Consiglio se paia ben e di fare qualche publica Devozione massime in onore del Glorioso Patrocinio di S. Gioseppe, la di cui festa in punto ieri si solennizzava in ringraziamento d’essere stati preservati dal gran male, che doveva cagionare una sì tremenda scossa, e per ottenere dal suo potentissimo Patrocinio d’essere in avenire liberati da sì orribil flagello”, e all’unanimità si decise “che per lo spazio di diec’anni continui si facesse dire una Messa cantata con l’esposizione del SS. [Santissimo Sacramento] in ultimo, nel giorno che ricorrerà la Festa suddetta del Patrocinio di S. Gioseppe”. 47ASCC, Consigli XVI (L736-1751), 25 aprile 1741, cc. 98v e 99r.

  • 84 4.3E IL NUOVO INGRESSO ALLA PIAZZA S. SILVESTRO

    84 4.3E IL NUOVO INGRESSO ALLA PIAZZA S. SILVESTRO

    Le rovine del terremoto, le logge cadenti, piazza S. Silvestro e la chiesa parrocchiale con gravi lesioni, non davano certamente a Monte Roberto un aspetto molto gradevole: si conviveva con questa situazione precaria aspettando che i tempi non veloci della burocrazia maturassero in decisioni concrete. Mentre si leggono le antiche carte che registrano questi fatti sembra che la gente fosse abituata ad una tale situazione anche se di tanto in tanto nel Consiglio della Comunità si levano voci che chiedono interventi tempestivi.
    Qualcosa comunque negli anni immediatamente successivi si realizza. Per entrare su piazza S. Silvestro dalla strada di Fosso Lungo (viale Matteotti e piazza Serafino Salvati) c’era un antico arco e, staccata, la casa del capitano Filippo Mazzini cui erano unite le logge.
    Il capitano chiede al Consiglio di poter unire la sua casa all’arco e sopraelevare tutta la costruzione in maniera armonica e simmetrica; il Consiglio non si oppone, anzi l’8 agosto 1745 si esprime all’unanimità (“viva voce”): “L’arco che brama il Sig. Filippo Capitano Mazzini non apporta danno ne alcun pregiudizio a questo pubblico, ne tampoco ad alcuna famiglia, anzi renderebbe ornamento al paese e servirebbe di maggior comodo per stare al coperto ne’ tempi piovosi [le logge erano da anni cadute] a guisa dell’altro che di presente si ritrova, et a cui si deve unire il nuovo”. 48ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 142v, 8 agosto 1745. ASCMR, Registro delle lettere…, c. 69r.
    Il sottopassaggio venutosi a creare non era molto alto, anzi decisamente basso, tuttavia fu lasciato così per quasi due secoli: immaginiamo che attraverso di esso potessero passare solo persone e bestie da soma senza carri troppo ingombranti.
    Solo il 24 settembre 1938 il podestà Avv. Arrigo Cinti decise di ampliare l’arco-sottopassaggio, era talmente angusto che non ci poteva passare neanche il carro per i funerali che si celebravano nella vicina chiesa parrocchiale. 49ASCMR, Deliberazioni (1936-1940), n, 57 del 24 settembre 1936 e n. 32 delrll luglio 1939.

  • 85 4.3F IL MURAGLIONE NUOVO

    85 4.3F IL MURAGLIONE NUOVO

    I lavori per il nuovo muraglione non riuscivano ad incominciare. Erano stati appaltati nell’aprile del 1742, dopo la perizia Lacchè di due anni prima, a Mastro Luciano Terigi dal Massaccio; 50ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 198r, 6 maggio 1742. il Luogotenente Generale del Governatore di Jesi era venuto nello stesso mese a Monte Roberto per visitare il posto del muraglione e delle logge diroccate, 51ASCMR, Registro dei Bollettini (1711-1775), c. 76v. nulla però si mosse ancora per altri dodici anni.
    Ci volle la visita di Mons. Giovanni Potenziani che giunse a Monte Roberto nell’estate 1754 poco dopo la sua nomina a Governatore di Jesi e che sollecitò, anzi ordinò, l’inizio dei lavori.

    Tutto era pronto dal 1742, perizia, appalto e relativi capitolati, anche il denaro era depositato presso il Monte di Pietà di Jesi, nel prosieguo degli anni però invece di usarlo era stato dato in prestito a diversi.
    L’ordine del Governatore fu abbastanza deciso se si provvide subito, nel mese di ottobre, ad un nuovo appalto dei lavori affidati a Francesco Petrini, capomastro originario di Milano 52ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 243r/v, 10 agosto 1754 e cc. 252-257,28 ottobre 1754. che forni nuova ed approfondita perizia contestualmente all’accettazione dei lavori. 53ASCMR, Trasatti (1688-1766), cc.139r 140r, 28 ottobre 1754 [cc. 132v-146v]; cfr. Appendice n. 2, B, pp. 285-286.
    Si cominciò subito: collocate il 16 novembre 1754 le due pietre benedette sul pilastro verso la chiesa (in luogo delle palizzate suggerite dal Lacchè si optò per pilastri o pozzi ritenuti più sicuri), si redige un atto solenne della cerimonia alla presenza di dieci testimoni, si trovò “saldo e sodo terreno” per le fondamenta, 12 piedi romani (metri 4,80) fu la profondità del pilastro verso la Casa dell’erede del Capitano Filippo Mazzini.


    I lavori continuarono alacremente durante tutto l’inverno, verso la metà del mese di marzo, nel rispetto degli impegni assunti, i lavori erano quasi conclusi: 54ASCMR, Consigli (1735-1755), cc. 258v e 259r, 16 novembre 1754 e c. 286r, 19 marzo 1755. ASCMR, Registro delle lettere…. , cc. 90v-95r.
    l’11 aprile Ludovico Alessandri, architetto di Staffolo che aveva visionato il progetto ed assistito ai lavori, fece il verbale di collaudo del nuovo muraglione. 55ASCMR, Trasatti (1688-1766), cc. 148r/v, 11 aprile 1755.

  • 86 4.3G SI CONSOLIDANO LE MURA

    86 4.3G SI CONSOLIDANO LE MURA

    La sistemazione di piazza S. Silvestro, del muraglione di sostegno e dell’arco-ingresso alla piazza, segna, possiamo dire, l’inizio di un periodo, durato sessanta/settant’anni, ricco di realizzazioni edilizie che diedero al centro storico di Monte Roberto l’assetto che ancora conserva.
    Nel 1762 fu ristrttturata la chiesa di S. Maria della Pietà; si iniziarono nel 1769 i lavori per la nuova chiesa parrocchiale su disegno e progetto attribuiti a Mattia Capponi, architetto di Massaccio che nello stesso anno aveva fatto la perizia sulla situazione delle mura; del 1816 sono i primi lavori per il teatro comunale situato all’interno del pubblico palazzo, mentre nel 1825 si incomincia a rifare la chiesa di S. Carlo.
    Nel frattempo non mancarono interventi per il consolidamento delle mura castellane.
    Al problema viene dedicata un’intera seduta del Consiglio della Comunità il 21 maggio 1769. La situazione non era certamente molto confortante e viene così descritta: “Per le liscie di terreno, che si suppongono derivanti dall’acque sotterranee, da quali si è cagionata la caduta dalli muri di scarpa castellana di questo Paese nella parte verso il Fosso Curto, con aversi straginata via la strada publica e parimenti nella parte verso il Fosso Lungo, stuccatasi la, strada con calata di terreno, e cadute le case e paccatesi le muraglie di scarpa Castellana, ed essendo altre fesse, e pericolanti la maggior parte dell’abitazioni de particolari, la Chiesa Parrocchiale, ed ancora questo Palazzo Publico, stà pericolante, mentre distaccatoglisi il terreno presso li fondamenti, e stando il Paese tutto pericolante e gl’Abitatori con gran timore, si è pensato espediente chiamare l’Architetto Sig.re Mattia Capponi per potersi fare l’ispezzione e riconoscersi l’origine di dette liscie, che cagionano la rovina del paese tutto”. 56ASCMR, Consigli (1766-1780), cc. 74v e 75r. ASCMR, Registro dei Bollettini (1711-1775), c. 259r.
    Il Capponi dopo aver fatto “pianta ed elevazione della Figura del paese colla descrizione de siti lamati e delli pericolanti”, per una più approfondita conoscenza della situazione, propose di fare dei sondaggi in profondità (“visitarsi la profondità con farsi qualche pozzo”): per queste nuove ricerche c’erano da spendere “circa una ventina di scudi”, una spesa per la quale si, rendeva necessario il permesso della Sagra Congregazione del Buon Governo.
    Di questo programma di esplorazioni sotterranee forse si fa ben poco o nulla. Nel 1786 si ripara qualche tratto di mura completamente rovinato, 57ASCMR, Registro delle lettere..” e. 227r, 29 marzo 1786, 11. soprattutto però si fanno nuove perizie: le presentano, su richiesta, Giacomo Pollo di Jesi, 58Ivi, c. 233v, 9 dicembre 1786. Domenico Spadoni di Ancona 59Ivi, c. 233r, 17 giugno 1787. e Paolo Isidoro Capponi di Massaccio, nipote di Mattia, con una relazione peritale più articolata e motivata. 60Ivi, cc. 234r/v e 235r, 8 agosto 1787; cfr. Appendice n. 2, C., pp. 287-288.
    Nel 1790 la situazione non era ancora risolta o mutata 61ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 117r, 7 marzo 1790. e neppure dieci anni dopo: non erano risolti i problemi del terremoto di San Marco (24 aprile 1741), che il terremoto del 1799 ha “sconquassato maggiormente il paese… le case sono malsicure…; questa Comunità non avendo debiti ne fruttiferi ne infruttiferi, anzi dei censi attivi, potrebbe ricostruire” e si osserva che “ciò fu proposto sia al tempo del Governo Pontificio che al tempo del Governo Repubblicano”, naturalmente il progetto era sempre quello dell’architetto Paolo Isidoro Capponi fatto tredici anni prima. 62ASCMR, Consigli (1794-1808), cc. 68-70.
    I privati si facevano carico, per quanto potevano ma non sempre, di recuperare o riassettare le case che nei secoli precedenti erano sorte sulle cortine delle mura; quelle irrecuperabili venivano demolite come nella zona di Fosso Lungo dove poi fu rifabbricata la chiesa di S. Carlo.
    La Comunità a sue spese rifece il muraglione sotto il Palazzo Comunale (Fosso Curto, attuale via Spontini): vi si lavorò nei mesi di marzo-maggio 1817, per renderlo stabile si realizzarono ben 20 piloni, secondo la perizia di Luigi Bellonci di Massaccio e di Serafino Salvati. 63ASCMR, Sindacati (1790-1844). Lo stesso muraglione però, a causa delle piogge abbondanti dell’inizio del 1848 subì crolli in diverse parti, e poco più di un anno dopo si fanno lavori di ripristino. 64ASCMR, Consigli (1843-1849), 6 febbraio 1849 e 4 marzo 1849.
    La parte integra delle mura, quella occidentale, tra Fosso Curto e Fosso Lungo insistente sull’attuale via Francesco Giuliani, fu per decine d’anni proprietà della famiglia Salvati, come risulta dal catasto gregoriano (n. 14 di mappa, “Salvati Serafino e Fratelli quondam Benedetto”) e con tutta probabilità risale a questi anni (prima decade dell’Ottocento) la sistemazione, o almeno la decorazione pittorica dell’ampio salone, detta “Sala del Trono”, lo stile delle decorazioni è analogo a quello delle decorazioni di Villa Salvati sorta nel primo e secondo decennio dell’Ottocento; è in questa sala che si è favoleggiato della presenza di Federico II e di “Re e imperatori che hanno seduto e dettato leggi”. 65Riportato da Urieli C., Jesi e il Contado, v ol.l, torno II, p. 55.
    A Serafino Salvati nel 1786 era stato concesso il permesso di poter ingrandire una porta situata nelle mura castellane, 66ASCMR, Registro delle lettere , c. 228r, 9 aprile 1786.non era l’unica, qualche altra ce n’era: i privati con le case sulle cortine invece di fare un percorso più lungo attraverso la porta del castello preferivano aprire un passaggio sulla scarpa delle mura. I tempi ormai erano diversi da quando una nuova porta sulle mura poteva far nascere “scandoli e pregiuditij”, la popolazione del resto non viveva più solo all’interno del castello, “il borgo” (via G Leopardi) che si era costituito lungo l’unica e ripida strada che arrivava alla porta del castello, era diventato il nuovo centro della vita quotidiana.
    Il borgo infatti si era incrementato nei decenni del Settecento proprio per la sostanziale inagibilità di molte abitazioni sulle cortine delle mura dovute ai crolli del terremoto ma anche alle lesioni nelle mura stesse, alcune famiglie (ad es. Amatori e Capitelli) che avevano casa nel castello costruirono qui nuove abitazioni, ad esse si aggiunsero altre famiglie che trovavano il luogo più sicuro

  • 88 4.4 IL PALAZZO COMUNALE

    88 4.4 IL PALAZZO COMUNALE

    Nei secoli passati un’importanza del tutto particolare hanno avuto il palazzo pubblico e la torre civica con la sua campana ed il suo orologio.
    Il palazzo era la sede della pubblica amministrazione, cioè dei Priori o del Gonfaloniere o del Sindaco poi, della segreteria e dell’archivio, vi potevano trovar luogo anche la scuola, i magazzini pubblici e quelli dell’Abbondanza, le carceri o anche le stanze per i “birri”.
    La torre civica, oltre ad essere un segno visibile del luogo della pubblica autorità, era munita dell’orologio che scandiva il tempo per tutta la comunità, rilevante per tutti era l’ora della chiusura e dell’apertura della porta del castello; la campana poi, con tutta probabilità la stessa dell’orologio, convocava le pubbliche riunioni del Consiglio o veniva suonata in altre importanti circostanze.
    Tenere efficienti queste strutture è stata in ogni tempo una delle maggiori preoccupazioni delle autorità, perché da questa efficienza e dai relativi servizi prestati si poteva verificare la capacità di intervento delle autorità stesse.
    Non sappiamo dove fosse il palazzo delle pubbliche autorità nei secoli XIV-XV; conosciamo sufficientemente bene invece le vicende di questo palazzo, dal Cinquecento al Novecento, ubicato sopra le mura sulla sinistra della porta del castello: qui rimase la pubblica amministrazione fino al 1933 quando si trasferì nel Palazzo Casati in piazza Ruggeri.
    La torre civica, non grande, fu probabilmente sempre ubicata sopra la porta del castello; periodici i lavori per tenere in efficiente funzionalità l’orologio e la campana: il primo intervento registrato nei libri rimasti dell’archivio comunale è dei mesi di novembre-dicembre 1560 quando si sistemano torre ed orologio e la campana viene fusa da Gallerano da Apiro. 67ASCMR, Entrate e Uscite (1558-1586), cc. 26r e 29v.
    Lo stesso palazzo era in condizioni precarie se nel maggio-giugno 1578 si fanno lavori per “buttare a terra il palazzo” e si ricomincia subito a lavorare per ricostruire 68Ivi, cc. 226r e 227r. e, con diverse interruzioni, i lavori si prolungano per una decina d’anni: dal gennaio all’ottobre 1589 furono eseguiti da Andrea di Tullio e da mastro Nicolò muratore. 69ASCMR, Entrate e Uscite (1585-1597), cc. 38v, 39r, 40r, 45r.Non appena sessant’anni dopo il palazzo minaccia di nuovo rovina, il Consiglio della Comunità incarica “i Quattro” di porvi rimedio, 70ASCMR, Consigli (1639-1 651), cc. 10v e 11r, 26 febbraio 1640.si rifanno le finestre 71Ivi, c. 33, 10 dicembre 1641.e si interviene sul campanile che sovrasta la campana e sull’orologio. 72Ivi, c. 66r, 1643.
    Violenti temporali, vento e piogge torrenziali 73ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 189r, 10 dicembre 1724. o qualche fulmine 74ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), e. 166f, luglio 1759. impongono restauri urgenti ogni volta che si verificano questi fenomeni, sia alla torre civica che al tetto del palazzo, “mezzo scoperto” nel dicembre 1672. 75ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 109v, 11 dicembre 1672.
    II pubblico palazzo con alcune case annesse, nella terza decade del Settecento, pur subendo gravi lesioni a causa del terremoto, è ancora agibile, ma in Consiglio si parla della inutilità dei lavori di riattamento e si pensa ad un rifacimento totale del palazzo stesso. 76ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 214r, 7 gennaio 1728 e cc. 217-218, 30 maggio 1728. ASCMR, Registro delle lettere…. , cc. 34v, 36v, 5 maggio 1728.
    La perizia di Giuseppe Fammilume per il rifacimento del palazzo viene disattesa “perchè non essere suo mistiere lavorar di pietra rustica della quale è necessario servirsi per compiere la fabbrica”. 77ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 253v, 5 ottobre 1732. Il rifacimento totale del palazzo non si realizzò; solo nell’ottobre 1778 vennero appaltati i lavori per il “rimodernarsi della sala del palazzo Publico e per la Fabrica di stanza per la Segreteria Publica”: 78ASCMR, Consigli (1766-1780), cc. 269v-272v, 25 ottobre 1778. nel dicembre 1779 erano già terminati ed approvati il mese successivo dalla Congregazione del Buon Governo. 79ASCMR, Registro delle lettere…. , c. 2 13, 21 dicembre 1779.
    Nonostante i problemi statici cui i pubblici amministratori dovevano far fronte, essi si adoperano anche per un certo decoro degli ambienti interni del palazzo: il 5 ottobre 1614 si approva la spesa di quattro scudi fatta nell’acquisto di un “quadro dipinto dell’Immagine della Madonna S.S. per il nostro Palazzo”. 80ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 136v.
    Analoga decisione viene presa nella seduta dell’8 marzo 1739 dal Consiglio nel comperare un quadro raffigurante la Madonna da tenere nella Sala Consigliare. 81ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 46r.
    Nel 1750 a Francesco Luisati, pubblico orologiere di Jesi, per accomodare l’orologio della torre civica, viene preferito quello di Monte S. Vito: la ragione non è accennata. 82Ivi, c. 200v, 18 maggio 1750.
    Anche la campana ha bisogno di manutenzione: nel 1779 viene rifatta la “cicogna o sia ceppo della campana del palazzo publico”. 83ASCMR, Consigli (1766-1780), e. 284v, 8 agosto 1779. Agli inizi dell’Ottocento la torre civica ha gravissime lesioni: 84ASCMR, Consigli (1794-1808), c. 98r, 21 dicembre 1801.è Carlo Gagliardini che nei primi mesi del 1803 ne porta a termine i lavori di restauro. 85ASCMR, Bollettini (1791-1808), 5 marzo 1803. ASCMR, Sindacati (1790-1817), e. 83v. Poco più di cinquant’anni ancora e la campana dell’orologio dopo secoli di onorato servizio, nel 1855, si rompe: tre anni dopo viene rifusa da Giuseppe De Giorgi di Ancona. 86ASCMR, Consigli (1850-1859), 28 settembre 1858.
    L’obiettivo degli amministratori era pur sempre quello di un nuovo palazzo; si riuscivano a concretizzare solo interventi parziali, progetti generali però non mancavano. Nel 1798 è la volta dell’architetto di Massaccio Paolo Isidoro Capponi che fornisce disegni, perizie e misure, per il suo lavoro gli vengono corrisposti 15 scudi. 87ASCMR, Sindacati (1790-1817), e. 39v, 21 marzo 1798.
    Il progetto rimane tale e non se ne fa niente; quasi vent’anni dopo si osserva che “il Palazzo Publico è angusto, indecente e malsicuro, la scala esterna permette a chiunque di entrare anche di notte, a vagabondi e maleintenzionati”, Luigi Bellonci (1765-1839) di Massaccio, allievo del Capponi, è incaricato di redigere un progetto di ristrutturazione che viene approvato dal Consigli-o, il 15 febbraio 88ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 63. Contemporaneamente, al Bellonci era stato commissionato il rifacimento del muraglione sotto il palazzo comunale devastato da frane verificatesi nel 1815 e nel gennaio 1816: la sua perizia fu preferita a quella dell’Ing. Donegani ed i lavori, come abbiamo visto, eseguiti nel 1817.
    Risale anche al 1816 la richiesta di realizzare all’interno del palazzo comunale una Sala Teatrale. 89Ivi, pp. 68-69.
    Con l’entrata su Fosso Curto (via Spontini-via Ponte) ma sull’immobile del palazzo comunale, era ubicato il macello pubblico, rifatto nel 1769 accanto alla casa della Compagnia della Morte, e vicino al quale c’erano le carceri 90Ivi, p.81, 3-0 novembre 1816. ASCMR,Trasatti della Comunit+á di Monte Roberto (1758-1777),cc. 85r/v e 86.ASCMR,Consigli (1766-1770),cc. 68r/v e 69r, 12 aggio1769. costituite probabilmente da una grotta di proprietà di Giuseppe Amatori che nel 1838 veniva utilizzata per conservare la carne nella stagione estiva.
    Non lontano dal macello, lungo le stesse mura, c’era anche il forno ormai da tanti decenni; se nel 1758, già pericolante, era chiamato “il Fornaccio o forno vecchio” 91ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 83r. 91., esso costituiva un pericolo continuo per la possibilità di incendi.
    Il “sottoposto forno comunale […] trovasi nel centro di questo publico edificio, ed ogni giorno in attività, ogni giorno può esser causa della totale roina di questo publico Stabilimento non solo ma ancora dei fabbricati adiacenti”. Ebbene nonostante questo pericolo e pur avendo trovato il denaro per rifare altrove il forno, la proposta viene respinta dal Consiglio Comunale il 29 agosto 1824 con 15 voti contrari e solo 4 favorevoli. 92ASCMR, Consigli (1809-1827), p.255.
    Parere negativo che meraviglia ancor più in considerazione dell’incendio che poco prima, sviluppatosi nella casa dirimpetto al palazzo comunale di proprietà Menicucci e successivamente di Bernardino Amatori, aveva seriamente danneggiato il tetto del palazzo comunale ed i locali dell’archivio, e più gravi sarebbero stati i danni senza il pronto e sollecito intervento di tanti volontari
    che “estinto il fuoco dopo un travaglio di circa tre ore” riportano suppellettili e documenti nella sede comunale. 93Ibidem.
    Per arrivare ad una nuova sede comunale bisogna attendere ancora più di un secolo. Non la ristrutturazione di quella ormai necessaria da secoli, ma una nuova sede da farsi nel Palazzo Casati il cui acquisto fu deliberato dal Consiglio Comunale il 1 marzo 1908. 94ASCMR, Deliberazioni del Consiglio Comunale (1896-1908).
    Il palazzo era denominato anche “filanda”, per avervi ospitato una “filanda da seta” che viene ricordata nel 1830. 95ASCMR, Consigli (1829-1839), P. 86, 28 agosto 1830.L’acquisto era finalizzato ad utilizzare l’ex-Palazzo Casati per scuole, uffici comunali e alloggi. 96ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1909-1912) p. 105, 26 novembre 1911. ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1912-1915), p. 156,25 aprile 1915.Come in passato, non fu facile realizzare il tutto in breve tempo, ci vollero alcuni decenni, alla fine degli anni Venti i lavori presero un avvio più deciso: il palazzo fu inaugurato il 28 ottobre 1931, nel 1935 fu effettuato il collaudo definitivo. 97ASCMR, Deliberazioni (1930-1932), p. 19, 10 aprile 1930 e pp. 72-73, 20 aprile 1931. ASCMR, Deliberazioni (1935-1936), n. 170 del 12 ottobre 1935, p. 31.
    Reso inagibile per il terremoto del 26 settembre 1997, l’intero complesso edilizio è stato ristrutturato e restaurato secondo il progetto dell’ing. Emilio Zannotti di Serra de’ Conti ed inaugurato il 19 ottobre 2002. 98Cfr., Inaugurazione della restaurata sede municipale,Monte Roberto 19 ottobre 2002,cartella con 4 tavole,presentazione del Sindaco O.Togni e R.Ceccarelli.

  • 93 4.5 IL TEATRO COMUNALE

    93 4.5 IL TEATRO COMUNALE


    I balli erano certamente più godibili ad una fascia più grande della popolazione: un gradimento che la pubblica amministrazione cercava di esaudire. Nel 1797, non sappiamo se nella sala consiliare o in chiesa, fu rappresentata “La sposa de cantici”.
    Una sala teatrale stabile fu richiesta solo il 29 agosto 1816. La petizione di cittadini di Monte Roberto e di Castelbellino fu portata in Consiglio Comunale: “I signori possidenti di Monteroberto e di Castelbellino con la loro istanza supplicano questa Municipalità, e Consiglio di voler loro accordare la facoltà di formare una ringhiera mobile nell’interno della sala pubblica di questo Comune dividendola in circa tredici palchi scoperti di loro ragione, a riserva di quello di mezzo, che rimarrà a disposizione della publica rappresentanza del Comune, e di permettere ad essi, che nel vano di fronte alla sala accennata non peranche rifinito, possano adattarvi un piccolo teatrino affinché in tempo di carnevale, ed in altre ricorrenze fra l’anno possa eseguirvisi una qualche rappresentazione per sollievo di questa popolazione”.102Consigli (1809-1827), pp. 68-69.
    L’incarico di allestire la sala venne dato al Sig. Serafino Salviati che accettò nella seduta del 29 agosto.

    Il paese non si poteva permettere “la costruzione di un vero e proprio edificio teatrale, di conseguenza non si fa altro che rendere definitiva la precedente consuetudine: al posto degli scenari improvvisati si costruisce il palco e le panche vengono sostituite da un duplice ordine di posti”.103D’Incecco, P. Diotallevi, M. Scoccianti, Il Teatro di Monte Roberto, in L’architettura teatrale delle Marche, Cassa di Risparmio di Jesi, Jesi 1983, p. 381

    I lavori furono eseguiti contestualmente al riassetto del palazzo comunale secondo il progetto di Luigi Bellonci e furono fatti con una certa sollecitudine se già nel 1821 si ha notizia che “in quel teatro agiscono i comici dilettanti del luogo in unione a quelli Castelbellino”.104 Ibidem
    La sala teatrale ospitava anche tombole e balli spesso organizzati dall’impresario in occasione degli spettacoli, per lo più in tempo di carnevale per finanziarsi e finanziare le compagnie.


    “Il primo progetto, modificato durante il restauro avvenuto intorno al 1920 […] presentava al piano terra un sistema di palchetti in legno incastrati fra le colonnine porgenti verso la sala, usata anche per riunioni comunali. Le colonne erano in mattoni sagomati rivestiti da listelli di legno dipinto ed in seguito sostituite da colonnine in legno di evidente produzione artigianale. Il ballatoio sovrastante era ed è tuttora suddiviso in palchetti scoperti seconda la richiesta formulata ed approvata nell’agosto del 1816”.105ivi, p. 383.

    Proprietari dei palchi e del palcoscenico erano i condomini che avevano affrontato la spesa iniziale, i loro eredi o quanti successivamente ne erano entrati in possesso, il fabbricato invece rimaneva di proprietà comunale.106ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1909-1912), p. 25. 17 aprile 1910.
    Le compagnie che si succedevano ogni anno nel teatro non erano certo quelle che calcavano teatri più grandi di città più ricche come Jesi, Ancona, Senigallia ecc., erano compatibili comunque agli spazi di un piccolo teatro come quello di Monte Roberto o di Massaccio, e di in volta in volta chiedevano anche la collaborazione di attori comici dilettanti” del luogo.

    La presenza di un teatro aveva stimolato già dall’inizio la formazione di una filodrammatica tra Monte Roberto e Castelbellino che offriva spettacoli in proprio e coadiuvava con singoli attori le compagnie di passaggio.
    Così Francesco Amatori, Zibina Zepparoni, Odoardo Nicodemi, Vincenzo Barocci, Giovanni ed Eugenia Moretti, Carmela Franconi e altri recitarono con la “coppia drammatica” Giuseppe e Regina Paronzini nel mese di novembre 1877 nel mandare in scena “Santa Genevieffa Duchessa di Treveri ovvero La caduta del feroce e terribile Golo” domenica 4, “La statua di carne” domenica 11 e “Maria Giovanna o La famiglia del beone” domenica 25, “prezzo d’ingresso Cent. 10 più la generosità”. 107D’Incecco, P. Diotallevi, M. Scoccianti, Il Teatro di Monte Roberto, cit., pp. 385-386.
    Il teatro con le rappresentazioni, i balli o le tombole, fino in tempi recenti,
    ha avuto un ruolo centrale nella vita della non grande comunità di Monte Roberto, costituiva infatti una delle poche occasioni di divertimento e di svago per una popolazione prevalentemente impegnata nei lavori artigianali e dei campi.

    Presso il teatro fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento ha operato una filodrammatica che ha portato in scena lavori di un certo impegno e che venivano dati oltre che a Monte Roberto anche a Staffoto. Apiro ecc. Ad es. negli anni che precedettero la seconda guerra ondiale, la filodrammatica di Monte Roberto rappresentò a Staffolo “Luce che torna” di Riccardo Melani con Enrico Gabbianelli, Augusto Lucarini, Fernando Bastucci, Cristina Crudi, Iris Crudi, Pietro Crudi, Valentina Mancini ed Icilio Priori, regista ed animatore del gruppo era Enrico Gabbianelli. In quel periodo fu rappresentato anche “Le bocche inutili”, dramma in tre atti di Annie Vivanti.
    La “Società carnevalesca” per la sera di S. Silvestro, patrono del paese, fino agli anni Cinquanta organizzava nel teatro la recita di una commedia cui seguiva il ballo di fine anno.

    File:Teatro Comunale di Monte Roberto.jpg


    Successivamente la sala teatrale conobbe un notevole degrado specie nelle decorazioni, fino a diventare, negli anni Settanta, una laboratorio di confezioni della Ditta “Faber 76” di Terzo Garbuglia di Filottrano.