Categoria: 5 – VITA POLITICA E AMMINISTRATIVA

  • 99 5.1. NELLE VICENDE DEL CONTADO

    99 5.1. NELLE VICENDE DEL CONTADO

    Dagli inizi del Duecento il territorio di Monte Roberto, unito ancora a quello di Morro Panicale (Castelbellino), comincia a far parte del Contado di Jesi. L’atto di sottomissione del conte Trasmondo di Morro Panicale del 1194 segna, possiamo dire, la data ufficiale della nascita di una aggregazione politica e amministrativa, poi ampliatasi, continuata per oltre sei secoli.
    Monte Roberto, divenuto castello autonomo da Castelbellino a cavallo tra il Duecento e il Trecento, ebbe un ruolo “marginale nello svolgimento delle vicende del Contado, ne ha seguito la storia, venture e sventure”.1Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. I, tomo I, p. 234.  
    Le lotte tra guelfi e ghibellini che a Jesi si susseguivano non interessarono politicamente se non in maniera subordinata questi piccoli castelli, si debbono però proprio a questi contrasti sia il consolidarsi come strutture fortificate di Castelbellino e di Monte Roberto, sia l’acquisto nel loro territorio di ampie proprietà da parte di esponenti dei partiti egemoni in Jesi.
    Esuli ghibellini da Jesi restaurarono il castello di Morro Panicale che si chiamò poi “castrum Ghibellini” (Castelbellino), 2Menicucci F., Memorie… Massaccio, p. 51. analoga sorte ebbe con tutta probabilità anche il vicino castello di Monte Roberto nel cui territorio, nei decenni successivi, la famiglia Simonetti di osservanza guelfa, venne in possesso di numerose proprietà fondiarie.
    Con lo stabilirsi del papa in Avignone nel 1309 (dove resterà fino al 1376 per ritornare a Roma nel gennaio 1377) la situazione dell’Italia diventò ancor più instabile e caotica; in Jesi e Contado si succedettero le signorie di Tano Baligani, Lomo Simonetti, Nicolò Boscareto e dei Malatesti, un alternarsi di guelfi e ghibellini che in poco si distinguevano ed in molto si uguagliavano in violenze, distruzioni, soprusi, assassini, crudeltà: una situazione veramente tragica.
    L’intero Contado fu poi tra il 1353 e il 1354 in balia delle truppe raccogliticce della “compagnia maledicta” di un avventuriero di origine provenzale Montreal di Albarno, soprannominato fra Moriale.
    Nel 1355 il card. Egidio Albornoz, inviato dal papa, incomincia la riconquista della Marca e la iorganizzazione dell’intero Stato della Chiesa. Nella “Descriptio marchiae”, in cui si fissano le competenze giurisdizionali e territoriali delle varie città e relativi contadi, l’Albornoz, nel territorio di Jesi tra gli altri castelli e ville, enumera “Castrum Gebellini” e “Castrum Montis Giberti”, evidentemente Castelbellino e Monte Roberto.
    Dal 1375 circa i Simonetti ritornarono ad essere i signori assoluti di Jesi, nel 1397 ricevono l’investitura ufficiale di Vicari del Papa, si comportano comunque da tiranni crudeli e rapaci; contro di essi una ribellione iniziata da Massaccio nel febbraio  1408 ed estesasi a tutto il Contado riesce a cacciarli definitivamente. I beni della famiglia confiscati nel 1417 vengono    messi in vendita nel 1453: la comunità   di Monte Roberto viene così in possesso delle proprietà dei Simonetti poste nel proprio territorio, esse hanno costituito la parte più importante delle proprietà fondiarie del Comune    protrattasi per secoli, alcune delle quali imaste fino al secolo scorso. 3 Per una più ampia e dettagliata trattazione di questo periodo, cfr. Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. II.  


  • 100 5.2. IL PALLIO SI SAN FLORIANO

    100 5.2. IL PALLIO SI SAN FLORIANO

    Antichissimi sono a Jesi il culto e la festa di S. Floriano che si celebrava, come oggi, il 4 maggio.  Patrono del Comune   e del Contado, l’omaggio al santo divenne un segno della “devozione” al Comune stesso: già nel 1194 nell’atto di sottomissione    al Comune    di Jesi, Trasmondo   conte di Morro    Panicale (Castelbellino), tra gli altri obblighi, assunse quello di pagare ogni anno tre libbre di cera nella festa di S. Floriano.    Comunque    l’atto che significava e qualificava maggiormente    la volontà di dominio di Jesi sui castelli del contado era la presentazione dei pallini, nel giorno della festa del santo, simbolo della “soggezione fedeltà et obbedienza” dei castelli alla città. 4Ivi, p. 367.   L’atto indubbiamente rappresentava “la sanzione più inconcussa dei diritti e delle prerogative del Comune”. 5Gianandrea A., Festa di San Floriano Martire, G Aurelj, Ancona 1878, p. 13.  
    “Il pallio era di seta e di vari colori, rosso, nero, verde, giallo, d’oro […] a tinta unita o decorato di rose, fiori ecc. Sospeso ad un’asta o lancia veniva portato […] da   uomo a cavallo. Nel periodo più antico vi si accompagnava anche un’offerta di cera. E l’obbligo della presentazione era così categorico che, se non vi si fosse ottemperato   dagli aventi obbligo, nello stesso giorno o nel seguente l’esercito jesino sarebbe andato contro i “non portantes”. 6Annibaldi G, Esame testimoniale nella causa circa i rapporti tra Jesi e Staffolo dalla morte di   Federico II e quella di Manfredi, in Atti del Convegno di Studi su Federico II (Jesi 28-29 maggio1968), Jesi 1976, p. 167. Il testo che riguarda il Pallio di S. Floriano (pp. 167-170) è   stato ripresentato su Voce della Vallesina n. 16 del I maggio 1994, p. 3.
    Potevano esserci anche sanzioni economiche, proibendo cioè a tutto il Contado di commerciare derrate alimentari con i castelli che si erano rifiutati di portare il pallio: chi contravveniva all’ordine era processato e condannato.
    Il processo e condanna che subirono due donne di Rosora il 20 luglio 1357 per aver venduto formaggio   a Serra San Quirico che non   aveva presentato il pallio il 4 maggio dell’anno prima, contravvenendo così alle disposizioni del Consiglio Generale del Comune   di Jesi prese il 10 luglio 1356, sono emblematici. 7Urieli C., Jesi e il Contado, vol. I, tomo II, p. 307.
    Ogni anno il Consiglio della Comunità di ogni castello, in una seduta precedente la festa di S. Floriano, provvedeva a nominare un deputato o delegato che prendesse parte alla cerimonia della presentazione dei pallii a Jesi. Il Comune e sua volta provvedeva    a determinare il valore del pallio da    presentare proporzionato all’importanza del castello e al numero delle famiglie. Per Monte Roberto il valore del pallio, stabilito il 5 maggio 1453, era di 20 bolognini insieme a Maiolati, San Marcello    e Monsano; 25 bolognini   doveva valere il pallio di   Massaccio, Montecarotto, Poggio S. Marcello e Belvedere mentre 15 bolognini   il pallio di Castelplanio, Rosora, San Paolo, Castelbellino, Poggio   Cupro e Scisciano. 8Gianandrea A., op.cit., p.14.  
    La presentazione dei pallii avveniva   dopo un corteo allietato da numerosi suonatori che si concludeva con una solenne cerimonia in piazza San Floriano (oggi Federico II). Seguivano la corsa all’anello e, dal 1453 la gara di tiro a segno con la balestra. La decisione per quest’ultima fu presa dal Consiglio di Credenza di Jesi il 28 aprile 1453 e tra i priori che ebbero la responsabilità di dare esecuzione alla delibera, troviamo Giovanni Brenchi da   Monte Roberto, estratto il 22 aprile per il bimestre maggio-giugno   insieme a Galvano di Antonio   Galvani e Francesco di Massimo   da Poggio S. Marcello e al Gonfaloniere Corrado di Giovanni Manuzio. 9ivi, pp. 20-21.
    La festa di S. Floriano con il relativo pallio da presentare fu per secoli “una dimostrazione della superiorità politico-amministrativa della Città sul Contado”, a questo si deve aggiungere che, quale “segno di recognition di dominio e di sogezione”, il Consiglio Generale di Città e Contado l’11 giugno 1504 deliberava di far scolpire sulle porte dei castelli lo stemma del   Comune di Jesi. 10Urieli C. Jesi e il suo Contado, vol. II, p. 367.   Ecco perché anche oggi lo stemma di Monte Roberto e degli altri comuni della Vallesina, ha come   immagine fondamentale il leone rampante   dello stemma di Jesi.  Se nella presentazione dei pallii fu preminente il carattere di sudditanza dei castelli di Jesi con odiose quanto ridicole discriminazioni e sopraffazioni fiscali, in essa era anche insito, come è stato giustamente sottolineato, un atto di devozione al patrono con una festa   comune che   serviva per cementare   sempre più negli animi la concordia e la vera fratellanza dei cittadini di tutto lo Stato jesino 11Annibaldi G., op. cit., p. 171 e Feltrini Giovanni Maria, Belvedere Ostrense. Ricerche storiche, Tip. Fiori, Jesi 1932; ristampa, Chiaravalle 1983, p. 33.   Urieli C., San Marcello, Jesi 1984, pp. 163-164.   Sospesa   durante il “triennio giacobino” (1797-1799), la cerimonia della presentazione del Pallio viene   successivamente ripresa, anche se la contestazione dei castelli nei confronti della città si fa sempre più evidente. Diversi di essi infatti non si presentano il 4 maggio o lo fanno con qualche   giorno di ritardo evidenziando lo stato di insofferenza nei rapporti tra città e contado. Per quanto riguarda Monte Roberto, tra il 1801 e il 1807, il registro dei Consigli della Comunità, a differenza di una prassi amministrativa secolare, riporta il nome del “deputato’ alla presentazione del pallio solo per il 1801: fu Giuseppe Bimbo, nominato il 26 aprile per la cerimonia del 4 maggio, il suo è l’ultimo nominativo conosciuto. 12ASCMR, Consigli (1794-1808), c. 88v. Negli anni successivi Monte   Roberto si presenta, ma non   sempre con puntualità: nel 1805 lo fece il 5 maggio insieme a Scisciano e Massaccio, nel 1806 di nuovo il 5 maggio insieme a San Paolo, Belvedere, Poggio Cupro, Monsano, Rosora e Rotorscio. Il 4 maggio 1807 si tenne l’ultima cerimonia della presentazione del pallio, presenti Monte Roberto e quasi tutti gli altri castelli: Rosora si presentò il 13 successivo, mentre Massaccio si rifiutò decisamente di andare. 13Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, pp. 724-725.  
    Il 2 aprile 1808, con decreto imperiale, Napoleone, annetteva le provincie di Urbino, Macerata e Camerino al Regno d’Italia, veniva così definitivamente sciolto il Contado di Jesi sanzionando la fine dell’organizzazione politico-amministrativa della Vallesina operante dal sec. XIII. Il possesso formale delle nuove provincie avvenne l’11 maggio; il 25 aprile, Jesi aveva diramato l’invito ai castelli per il Consiglio di Città e Contado e per “prestare il solito giuramento” previsti per il 4 maggio: non si ha la relazione ufficiale della riunione e della cerimonia, comunque quel giorno “venne   definitivamente ammainato   il Pallio […] simbolo della pagina  più gloriosa della storia della Vallesina”. 14Ivi, p. 729.

  • 103 5.3. LO STATUTO

    103 5.3. LO STATUTO

    Monte Roberto, al pari degli altri castelli del contado, non ebbe mai uno statuto oroprio: le procedure per la pubblica amministrazione, diritti e doveri dei cittadini, sanzioni, leggi e norme giuridiche erano contenuti negli Statuti della Città di Jesi.
    A Jesi già nel 1248 era stata riconosciuta la capacità di emanare norme specifiche e particolari (“statuta”) nel contesto della legislazione dello Stato della Chiesa, valevoli per la città e per i castelli ad essa soggetti impedendo inoltre a questi ultimi di prendere analoga iniziativa.15Urieli Jesi e il suo Contado, vol. II, pp. 2707271.
    Notizie su un ipotetico Statuto di Monte Roberto, senza alcun fondamento, sono state più volte pubblicate, come ad esempio in Atlante Marchigiano, a cura di Mauro Tedeschini, Ed. Il Resto del Carlino, Bologna 1992, p. 98.

    Non conosciamo il testo dei primi statuti jesini del Duecento, né quello delle successive revisioni operate nel Trecento per renderli conformi alle riforme legislative fatte dal card. Albornoz; il testo a noi giunto è quello messo a punto, tra il 1449 e il 1450, su delibera del Consiglio Generale della Città e Contado del 26 febbraio 1448, da Ser Angelo Colocci e Antonio di Angelo di Jesi, da Stefanodi Onofrio di Massaccio e da Ser Domenico di Bartolo di Castel del Piano.
    Per la prima volta gli statuti vennero dati alle stampe nel 1516 ad opera di Girolamo Soncini tipografo di Fano. Una seconda edizione uscì nel gennaio 1561 dalla tipografia di Luca Bini di Macerata: la Comunità di Monte Roberto ne prenota una copia già nel mese di maggio-giugno 1560: “Havemo speso per lo statuto f[iorini]”, la cifra non è specificata, evidentemente non se ne conosceva ancora l’esatto importo.16ASCMR, Entrate e Uscite (1558-1586), c. 29v.
    Alle norme contenute negli statuti che regolamentavano dettagliatamente la vita amministrativa della comunità e quella dei cittadini, si debbono aggiungere gli editti e i bandi che emanavano per tutto lo Stato della Chiesa i Pontefici o i responsabili delle vare congregazioni romane, i Governatori di Jesi per la città e contado o per i singoli castelli, o i Priori oil Gonfaloniere per la singola comunità.
    Gli editti e i bandi del Governatore o del Gonfaloniere calavano in concreto le norme più generali, ricordavano quelle degli statuti o rispondevano a problemi contingenti e specifici: nonostante le pene o le ammende previste, la riproposizione periodica degli stessi editti e bandi fa intravvedere una loro osservanza quanto meno poco puntuale e generalizzata.

  • 104 5.4. I FRATICELLI IN VALLESINA

    104 5.4. I FRATICELLI IN VALLESINA

    Nel 1466 durante l’ultimo processo tenuto a Roma contro i Fraticelli, Francesco da Maiolati racconta che i ragazzi sia di Monte Roberto che di Castelplanio erano soliti insultarsi dicendo: “Tu sei nato dal barilotto” e a vicenda tirarsi delle pietre.
    Non era affatto un complimento quello che si rivolgevano, facevano infatti riferimento ad un rito attribuito ai Fraticelli (unione sessuale promiscua e sacrificio rituale dei bambini concepiti in quelle occasioni) da diversi decenni presenti in Vallesina, specialmente nei castelli di Massaccio (Cupramontana) Maiolati, Mergo, Poggio Cupro, Belvedere, Castelbellino.
    Il rito, “barilotto”, “barilozza” o “barlozza”, richiamava “il barlozzo”, il rudere del serbatoio dell’acquedotto romano che riforniva l’antica Cupra Montana e al cui interno la tradizione collocava la celebrazione del rito stesso o quanto meno da quel luogo traeva nome.
    I Fraticelli, chiamati anche “Frati della povera vita”, “Bizzocchi” o `Beghini”, o anche “Fraticelli dell’opinione”, erano francescani spirituali che ritenevano la povertà sull’esempio di San Francesco d’Assisi, condizione assoluta per essere cristiani e per essere nella vera Chiesa: erano quindi “dell’opinione” che il papa Giovanni XXII (1316-1334) ed i successori avessero insegnato eresia in merito alla povertà di Cristo e degli Apostoli.
    Si ritenevano, essi soli, di formare la vera Chiesa e rifiutavano di esser chiamati eretici. Non accettando la giurisdizione dei pontefici, furono da questi perseguitati. Il loro movimento si diffuse in Italia, in Sicilia, in Provenza, in Grecia e perfino in Persia e tracce se ne trovano in Boemia e in Catalogna.
    In Italia la loro presenza fu particolarmente attiva dal 1317 al 1466, favorita dall’assenza del papa dall’Italia (era in Avignone), dalle controversie dei comuni con la Chiesa e dallo scisma d’Occidente (1378-1417). Tutta l’Italia Centrale, Lazio, Toscana e Umbria, e le Marche, in special modo la Vallesina, furono interessate alla loro attività. Proprio nelle Marche la setta dei fraticelli aveva avuto la sua origine ed il suo centro d’irradiazione, nata com’era dalla dissidenza di fra Angelo Clareno (Angelo da Chiarino, Recanati o Fossombrone), morto nel 1337.
    Nelle Marche si fanno notare nel secondo decennio del Quattrocento dopo il silenzio del periodo dello scisma, durante il quale, negatori dell’autorità della Chiesa qual’erano, si trovarono indirettamente protetti: solo di due processi, dal 1367 al 1420, ci è giunta memoria. Vengono di nuovo presi di mira nel contesto deIla riaffermazione dell’autorità del papa sulle città della regione: arresti, confisca dei beni, condanne pecuniarie, esecuzioni per traditori e ribelli.
    La lotta contro i Fraticelli è condotta dall’inquisitore, il francescano Giovanni da Capestrano, affiancato dal confratello Giacomo della Marca, l’autore, qualche decennio più tardi, del “Diaologus contra Fraticellos”, un documento che ne metterà in forse, agli inizi del Settecento, la proclamazione a santo.
    Nel giugno 1428 papa Martino V ordinava al Rettore della Marca, Astorgio degli Agnesi vescovo di Ancona, la distruzione del castello di Maiolati: un’azione punitiva che doveva servire come esempio e deterrente per gli eretici degli altri castelli. Maiolati fu così rasa al suolo ed i superstiti si rifugiarono nei paesi vicini, solo dopo due anni fu permesso di ricostruire, e dopo precise garanzie, il piccolo centro, senza però le mura, realizzate più tardi. Perché proprio Maiolati? Quasi certamente perché a Maiolati la setta dei Fraticelli aveva un più largo numero di aderenti con una loro chiesa ed una loro organizzazione gerarchica.
    Ai Fraticelli, che lo fecero forse per vendetta, è imputato l’anno dopo, nel 1429, l’uccisione del Beato Angelo da Massaccio, monaco nel vicino monastero camaldolese di S. Maria in Serra.
    Nonostante la dura persecuzione subita, i Fraticelli, negli anni Quaranta, tornarono a farsi vivi a Massaccio, Maiolati, Poggio Cupro, Mergo, Jesi e Belvedere: nel 1449 a Fabriano nel mese di novembre-dicembre vengono condannati al rogo e giustiziati una decina di Fraticelli.
    Nei centocinquant’anni che durò la repressione contro di loro, vi furono nell’Italia centrale, a carico di Fraticelli da essa provenienti 32 processi; la documentazione rimastaci è frammentaria e scarsa, la quasi totalità degli atti processuali è andata perduta. Rimangono una cinquantina di “bolle” papali e quanto mio scritto su di loro, i “vincitori” o coloro che hanno raccolto dicerie e voci.
    Nel processo del 1466 che vide imputati tra gli altri Francesco Tommaso di Angelo da Maiolati, Gaspare da Mergo e Nicola da Massaccio, non sembra siano seguite esecuzioni capitali.
    A Monte Roberto, vicinissimo a Maiolati, non erano sconosciute queste vicende tanto che si può ipotizzare una presenza dei Fraticelli in paese o nel suo territorio, considerato che anche Castelbellino non ne fu immune: ad aderenti alla setta dimoranti in Castelbellino furono confiscati dei beni nel 1425.
    Quella del processo del 1466 fu l’ultima apparizione dei Fraticelli che la storia ricordi.
    Il capitolo del fraticellismo e della sua repressione non fu proprio esaltante: alle originarie e nobili istanze, quali quella della povertà si frammischiarono momenti di miseria: non tutti gli storici però sono disposti ad accettare le testimonianze relative alle degenerazioni morali dei Fraticelli.
    Discutibile la loro eresia, anche se agli occhi dei contemporanei era tale: erano questioni più di disciplina che di ortodossia. La loro persecuzione fu determinata più da una situazione politica che religiosa: le deviazioni religiose servivano a combattere con più successo gli avversari, il discredito morale era poi il sigillo di tutta l’operazione.17Per tutta la questione relativa ai Fraticelli: Urieli C., Jesi e suo Contado, vol. II, pp. 21-225. Mariano d’Alatri, Fraticellismo e inquisizione nell’Italia Centrale, in Picenum Seraphicum, anno XI, 1974, pp. 289-314. Annibaldi G., L’azione repressiva di Martino V contro i ribelli difesi ed i Fraticelli di Maiolati, Massaccio e Mergo, in Picenum Seraphicum, anno XI, 1974, pp. 405-430. Villani V., La vicenda dei “Fraticelli”, in V. Villani, C. Vernelli, R. Giacomini, Maiolati Spontini Vicende storiche di un castello della Vallesina, Maiolati Spontini 1990, pp. 205-258.
    Basili Orietta, La religiosità popolare nell’Italia Centrale durante il Medioevo: il movimento dei Fraticelli nelle Marche dei secc. XIII-XV Tesi di Laurea, Università di Bologna, anno accademico 1991-1992.
    Accrocca Felice, Angelo Clareno. Seguire Cristo povero e crocifisso, Ed. Messaggero, Padova Ceccarelli Riccardo, a cura di, I “Fraticelli” santi o eretici?, Atti del Convegno, Cupra Montana 3 ottobre 1997, Cupra Montana 1998.
    Grégoire Réginald, a cura di, I “Fraticelli” di Maiolati: società ed eresia nel tardo medioevo, Prima giornata di studio, Maiolati Spontini 5 novembre 2005, Comune di Maiolati Spontini

  • 106 5.5. 1517:IL SACCHEGGIO DI FRANCESCO MARIA DELLA ROVERERE

    106 5.5. 1517:IL SACCHEGGIO DI FRANCESCO MARIA DELLA ROVERERE

    Jesi ed il Contado nei primi anni del Cinquecento    dovettero subire il   dominio di Cesare Borgia, il Duca Valentino.  Con la morte di papa Alessandro    VI (1503) e la rovina del Duca, si ristabilì in maniera diretta l’autorità del governo   papale: l’occupazione militare fu sopportata   specialmente dalle popolazioni   dei castelli. Poco   più tardi di un decennio, Jesi e tutti i castelli della Vallesina pagarono   un prezzo più alto nel corso della campagna   di riconquista delle terre della Marca da parte di Francesco Maria della Rovere, Duca    di Urbino.
    Il saccheggio   avvenne nel mese di giugno   1517, Jesi fu la più danneggiata, incendiati un quartiere di Massaccio e il castello di Castelbellino (si salvarono solo 11 case), 18Menicucci F., Memorie…Massaccio…. p. 131. danni notevoli   subirono i castelli di Maiolati, Monte   Roberto Castelbellino, Poggio Cupro, Scisciano, Rosora Castelplanio, Montecarotto, Belvedere, Morro    e Monsano.   
    In particolare oltre alla distruzione e agli incendi, agli abitanti di Castelbellino furono sottratte 115 some di grano e 846 porci vivi; agli abitanti di Monte Roberto 393   some di grano, 119 some d’orzo e 23 porci vivi. 19Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. III, p. 77 e per tutto il periodo pp. 31-79.
    Il Sacco di Jesi e del Contado può dirsi l’ultima vera azione bellica subita dalterritorio di Jesi; occorre giungere all’invasione delle truppe francesi del 1797 e anni seguenti, e più ancora, al passaggio del fronte nel 1944 per riscontrare ancora una guerra guerreggiata nella Vallesina.
    Ciò non significa affatto che Jesi ed il suo territorio siano rimasti indenni da vicende di guerra, e soprattutto da passaggi e stanziamenti di soldati di vari eserciti, da quello papale ad altri delle più svariate nazioni che dell’Italia, per secoli, hanno fatto il loro preferito campo di battaglia. Eserciti, alleati o avversari, tutti passavano su queste terre con le stesse modalità di violenza e di rapina”. 20Ivi, p .61.

  • 107 5.6. ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

    107 5.6. ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

    Monte Roberto, al pari degli altri castelli del contado, nell’ambito degli statuti, era governato da un Consiglio che era il “supremo organo deliberante della comunità”.
    A livello comunitario, per il Contado cioè, c’erano due organi collegiali: il Consiglio Generale di Città e Contado e il Consiglio di Credenza di Città e Contado, composto il primo da rappresentanti della città, e dei castelli in numero quest’ultimi a seconda dell’importanza della comunità rappresentata, mentre il secondo era paritetico, 15 membri della città e 15 del contado.
    Il “Maestrato” o “Priorato”, l’organo esecutivo, era composto da sei priori estratti ogni bimestre, tre della città facenti parte del grado nobiliare, tra i quali ogni venti giorni a turno ci si scambiava la carica suprema di “gonfaloniere”, e tre priori del contado con poteri molto ridotti .
    Due analoghi consigli, Consiglio generale di Città e Consiglio di Credenza di Città, amministravano gli affari di Jesi. Anche Massaccio, come Jesi, aveva un Consiglio Generale e un Consiglio di Credenza.21Menicucci F., Massaccio nel 1789, in appendice a Dottori D., Cupra Montana e i suoi figli
    più noti, Cupra Montana 1983, p. 130.

  • 108 5.6A. IL CONSIGLIO DI MONTE ROBERTO

    108 5.6A. IL CONSIGLIO DI MONTE ROBERTO

    Il Consiglio della Comunità di Monte Roberto era formato da 24 membri; il numero dei componenti il consiglio variava da castello a castello, senza avere un rapporto diretto con l’entità demografica del castello stesso. Nel Settecento, ad esempio, Castelplanio ne aveva 44, 36 S. Marcello, 30 Belvedere e Montecarotto, 24 Massaccio, Rosora, San Paolo, Maiolati, Morro, Castelbellino e, come abbiamo visto, Monte Roberto.
    Si entrava a far parte del consiglio per diritto ereditario o per cooptazione: 22Molinelli R., Città e Contado nella marca Pontificia in età moderna, Urbino 1984, pp. 99-109. quando un consigliere moriva e non aveva eredi, il consiglio era chiamato a scegliere tra i nominativi delle famiglie maggiorenti della comunità per titoli e proprietà che ne avevano fatto richiesta.
    Una prassi secolare: il consiglio così strutturato aveva sostituito l’assemblea dei capi famiglia e del popolo che nel Medioevo veniva ascoltata per gestire le cose della comunità e del castello.
    Solo nel corso dell’Ottocento, l’ereditarietà, come diritto, venne a mancare; essa comunque era stata ribadita, concluso il “triennio giacobino”(1797-1799) con il ritorno del Governo Pontificio garantito dagli Austriaci, nella seduta del Consiglio della Comunità di Monte Roberto del 17 gennaio 1800: “Le cariche di magistrato – si disse – non possono né vendersi né rinunciarsi avendovi diritto tutti gli eredi”. 23ASCMR, Consigli (1794-1808), cc. 53v-54r.
    Fu questa ereditarietà della carica di consigliere che permise per secoli ad alcune famiglie di avere sempre un rappresentante nella gestione del potere amministrativo. Cambiarono regimi (da pontificio a francese, di nuovo pontificio, napoleonico, pontificio ancora, repubblicano e poi monarchico), si fecero elezioni ma alcune di queste famiglie rimasero sempre: Amatori, Olivieri, Capitelli, Annibaldi, Tesei, Baldelli, Nicodemi, Moretti, Salvati, Guglielmi ecc.
    Numericamente dai 24 consiglieri dei Sei/Settecento si passò al Consiglio della Municipalità del 1797-1799 formato da 5 “municipalisti” compreso il presidente. Dopo il 1808 con l’unificazione di Monte Roberto, Castelbellino e San Paolo, il Consiglio è così composto, il sindaco, due anziani di Monte Roberto e 5 consiglieri rispettivamente per Monte Roberto, per Castelbellino e per S. Paolo.
    Sedici consiglieri formavano il Consiglio del 1829 compresi il priore e due aggiunti; venti erano del 1839 più il priore e 4 anziani. Nel periodo della Repubblica Romana (1849) gli eletti del popolo alla Pubblica Rappresentanza furono 13 compresi il priore e 2 anziani.
    La successiva Commissione Comunale provvisoria era composta da 4 membri; sedici invece erano i componenti del nuovo Consiglio della Comunità dal 1851 al 1859. Con l’unificazione dell’Italia, il primo Consiglio Comunale di 15 membri fu eletto il 3 gennaio 1861, numero rimasto fino al presente. 24cfr. Appendice, n. 14.
    Annunciato sul far della sera del giorno precedente (“Congregato […] Consilio […] bandito hen vesperi pro hodie”) dal balivo e al suono della campana civica (“et pulsata campana more solito”), 25 ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 73v, 23 marzo 1612.il Consiglio si riuniva con un preciso ordine del giorno (“propositiones”) illustrato in ogni singolo punto da un relatore non senza aver pubblicamente premesso uno specifico giuramento. Seguivano la discussione e la votazione a “viva voce” o segreta con le palle del “si” e le palle del “no” messe in un apposito “bossolo”, e la eventuale nomina di specifici “deputati” che seguissero la realizzazione di quanto deliberato.
    Tra gli impegni più importanti cui era chiamato a discutere il Consiglio c’erano la “Tabella”, cioè il bilancio annuale delle entrate e delle uscite, e la nomina o la riconferma, da farsi prima del 13 dicembre, di ogni anno, del segretario, del medico, del maestro di scuola, del chirurgo, del postiglione, del moderatore dell’orologio, del balivo o cursore comunale.
    Preoccupavano spesso e molto i problemi relativi alla pubblica viabilità e quelli relativi al quotidiano dei cittadini (il forno, il macello, il grano, specie per le famiglie più povere). Faceva parte dei problemi affrontati in Consiglio anche la gestione-affitto delle proprietà fondiarie della comunità. 26Le proprietà erano in contrada Catalano, Forsaneto, Avolante, S. Silvestro e contrada Spina sulla sinistra del fiume Esino; di tutte, oltre la metà del Settecento, venne fatta una pianta esposta nella sala del Consiglio (cfr. ASCMR, Consigli (1780-1793) c. 59r, 7 novembre 1784).
    Per ogni singolo problema, quando c’era da seguirlo con particolare attenzione, sì nominavano uno o più “deputati” che ne riferivano al Consiglio. Non mancavano i problemi, quelli di ordine fiscale nei confronti di Jesi ed anche quelli con le comunità limitrofe che i rispettivi rappresentanti discutevano periodicamente.
    Conosciamo ad es. di due incontri avvenuti ad Osteria di Castel del Piano (attuale Borgo Loreto di Castelplanio) il 23 gennaio e il 3 aprile 1571 tra i delegati di Massaccio, Maiolati, Monte Roberto, Castelbellino e San Paolo. A programmarli era stato Massaccio; nella lettera d’invito si diceva: “Se mai havemo havuto da conferire con voi cose importantissime hora più che mai habbiamo da ragionare assieme cose di grandissima importanza”. 27ASCC, Lettere diverse (1516-1599), lettere del 18 gennaio e del 1° aprile 1571.
    Per far rimanere il Consiglio sempre di 24 membri, anche quando un componente fosse venuto a morte o fosse stato impedito stabilmente di partecipare e non avesse avuto un erede o un figlio maggiorenne, si faceva ricorso al “bossolo degli spicciolati”, ad un’estrazione cioè di nomi di riserva messi in un apposito elenco per sopperire gli eventuali vuoti.
    A decidere comunque era il Consiglio. 11 21 dicembre 1609 si dovette affrontare il problema non perché ci fossero scranni vuoti tra i consiglieri ma unicamente perché c’erano state quattro domande per entrare nel bossolo degli spicciolati.
    “Atteso che ci siano state presentate quattro lettere da diversi che pretendono essere ammessi nel bossolo delli 24 overo nel bossolo deli spicciolati per i primi lochi vacanti”; il relatore propose di non estrarre alcun nominativo: “in modo nessuno si innovi più altro sopra agli spicciolati […] sin tanto che non saranno finiti di cavare quelli che stanno dentro il registro e che quando succederà la morte di persone che non haveranno legittimo successore, che a quel tempo della refetione del Bossolo quelli che haveranno volontà di essere aggregati nel numero delli 24 se faranno sentire, e allora il Consiglio cercarà di dare sodisfatione a
    quelli che non haveranno hauto Padre o Avo et facendo a questo modo che ho detto la Comunità resterà Padrona di gratificare a tutti Homini atti e meritevoli i quali che ci hanno hauto padre e Avo”. La proposta fu accettata con “16 palle del Si e 2 palle del No”. 28ASCMR, Consigli (1608-1616) cc. 52r/v.
    In genere era proprio nell’ultima seduta che il Consiglio teneva ogni anno che Si nominavano i “deputati” per procedere alla “refetione del Bussolo” da farsi nella prima seduta del nuovo anno, durante la quale, oltre ad esaminare ogni proposta di ammissione e votarla singolarmente, si rinnovavano gli incarichi per i “salariati” del comune: la data però del 13 dicembre prevista per queste scadenze era scivolata ai primi di gennaio.
    Il rifacimento annuale del “Bussolo di Regimento della Comunità” 29ASCMR, Consigli (1756-1766), c.60v. era anche l’occasione per la “solita ricreazione”, tutti i consiglieri cioè si ritrovavano a tavola per un pranzo. La spesa relativa era prevista in bilancio, “siccome [però] non è sufficiente secondo il solito”, è necessario “supplirvi colli regali dell’Affitti ed Enfiteusi ecc., conforme si è costumato nell’anni passati”. 30Ivi, c.144r, 21 dicembre 1760. Gli affittuari del forno, del macello e dei terreni della comunità, per questa riunione conviviale, non mancavano di consegnare delle regalie, previste del resto nei rispettivi capitolati di affitto.
    Ci si era dotati anche delle necessarie stoviglie e all’occorrenza il Consiglio era chiamato a decidere. Il 10 dicembre 1758, il relatore Nicodemo Nicodemi così espone il problema ai colleghi: “Stimo cosa necessaria il rifarsi la Tovaglia nuova da tavola per questa Comunità, per valersene nella solita ricreazione del Bussolo, ed altresì provvedersi li vasi necessari, piatti, ed altro, e perciò li Signori Quattro fare la spesa, che potrà occorrere. Ad effetto poi di ben conservarsi, e custodirsi detti utensili son di parere darsene la consegna al Deputato della ricreazione con inventano, e quello poi per suo scarico, dovrà riportarne ricevuto dal deputato successore per un altro anno; e per conservarsi detti utensili darsi al medesimo Deputato la chiave della credenza solita, ove si conservano gl’altri vasi di questa Comunità, che servono per la medesima ricreazione”. La proposta ebbe 9 voti favorevoli e solo uno contrario. “Deputati eletti per il Bussolo dalli Sig.ri Quattro, sono i sigg. Tenente Ridolfo Leoni, e Mattia Amatori”. 31Ivi, c. 86v.

  • 111 5.6B. I QUATTRO O QUADRERIA

    111 5.6B. I QUATTRO O QUADRERIA

    L’organo esecutivo era costituito dalli “Providi Homini dei Quattro di Regimento” (“Quatuor de Regimine o Regiminis”). Erano chiamati anche “Massari”; inizialmente il loro numero fu effettivamente di quattro32ASCMR, Trasatti (1529-1558), c. 151 v, 20 novembre 1536; c. 156v, 20 febbraio 1538. Statuta sive Sanctiones et Ordinamenta Aesinae Civitatis, Luca Bini, Macerata 1561, liber primus,rub. LI, c. 16r. e continuò fino alle prime decadi del Seicento;33ASCMR, Consigli (1608-1616), cc. 34v, 35r; nel primo bimestre ne troviamo tre (c. 53v, 10 gennaio 1610) per poi ritrovare quattro nei bimestri successivi (c. 59v ecc.) e a volte anche nel Settecento ne troviamo quattro (cfr. Consigli (1756-1766), c. 1r; c. 29r, 28 novembre 1756). nella seconda metà del secolo diventeranno tre 34 ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 61r, 16 marzo 1610.mantenendo il nome de “I Quattro” o “Quatreria” giustificato non solo dalla tradizione e dagli statuti ma anche dalla presenza, non nuova peraltro, alle sedute consiliari e al governo del paese, del Capitano del Castello.35Urieli C., Jesi e it suo Contado, vol. III, p. 310.
    “I Quattro” erano estratti a sorte tra i consiglieri e duravano in carica un bimestre. Convocavano il Consiglio insieme al Capitano e li presiedevano. Avevano le competenze che oggi potrebbero essere attribuite al Sindaco e alla Giunta.
    Eseguivano quanto deliberato dal Consiglio. Nella chiesa parrocchiale di’ S.Silvestro avevano una panca riservata vicino all’altare maggiore chiamata “Arcibanca” 36ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 61r, 16 marzo 1610. o anche “Banca del Magistrato”; quando si recavano in chiesa in forma ufficiale dovevano essere accompagnati dagli altri ufficiali del Comune: il segretario, il maestro di scuola, il medico, il chirurgo, il camerlengo/esattore delle imposte. La panca era così chiamata anche “Banca del Magistrato e dei salariati”; l’ultima fu ricostruita ex-novo con 5 seggi su disegno di Angelo Campana nel 1787. 37ASCMR, Trasatti (1775-1788), cc. 112v e 113v, 25 agosto 1787.
    Nelle processioni avevano il primo posto dopo i sacerdoti; non risiedeva, come i Priori di Città, durante l’incarico, notte e giorno nel palazzo pubblico; non percepivano alcun compenso, se anticipavano qualche piccola somma venivano rimborsati. 38Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, p. 145. Al termine del loro mandato bimestrale, nel fare le consegne ai nuovi “Quattro”, si procedeva ad uno scrupoloso controllo delle entrate e delle uscite del bimestre redigendo un apposito processo verbale nei rispettivi registri, firmato dal Capitano del Castello. 39Urieli C., San Marcello, pp. 212-214.

  • 112 5.6C. I CAPITANI DEI CASTELLI

    112 5.6C. I CAPITANI DEI CASTELLI

    Previsti dagli statuti della città e contado (Liber Primus, Rub.LI), i Capitani dei Castelli erano nominati dal Consiglio di Credenza di Città in un’apposita estrazione. Le “litterae patentes” erano inviate ai soggetti scelti e alle rispettive comunità dai “Confalonierius, et Priores Inclitae Civitatis Aesij”. Duravano in carica sei mesi ed erano i rappresentanti ufficiali del Comune di Jesi nei castelli del contado.
    Governavano insieme ai “I Quattro”, convocavano e presiedevano il consiglio, fumavano il bilancio (“Tabella”), controllavano in genere gli atti della quotidiana amministrazione e vigilavano che venissero osservati gli statuti. Potevano essere anche giudici in cause di piccola entità. “Col trascorrere del tempo i Capitani dei Castelli verranno ad esercitare nei rispettivi castelli, nei quali devono risiedere durante il periodo di espletamento del loro ufficio, il compito che a Jesi esercitava il Governatore quale rappresentante e garante dell’autorità centrale dello Stato”.40Urieli C., San Marcello, p. 95. Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. III, pp. 305 e 329. Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, pp. 125-129.
    Per lungo tempo a quest’ufficio verranno scelti solo i nobili della città, poi nel corso del Cinquecento anche gli abitanti del Contado che tuttavia non potevano esercitare il loro mandato nel proprio paese. Solo nel Settecento, quando la carica divenne più onorifica (si chiamò “Capitano d’Onore”), a capitano venne nominato una persona del castello stesso.
    Monte Roberto non ebbe per secoli un capitano esclusivamente per sé, ma al pari di Scisciano e Poggio Cupro, il capitano era nominato per Monte Roberto e Castelbellino. Nel 1587 fu capitano per ambedue i castelli Don Stefano Fasoli, mentre Giovanni Pecciani di Monte Roberto lo era per i castelli di Scisciano e Poggio Cupro.41Molinelli R., Un’oligarchia locale nell’età moderna, Urbino 1976, p. 158. Capitano nel 1590 fu Vitale Vitali di Morro e nel 1602 il conte Annibale Scala da Rotorscio.42ASCMR, Sindacati (1602-1608), c. 58 r. Nel 1687 Monte Roberto e Castelbellino ebbero
    Giovanni Battista Colini mentre Giovanni Angeli di Monte Roberto fu capitano in Massaccio.43Molinelli R., op. cit., p. 159.
    Alla vigilia dell’invasione francese nel 1792 Monte Roberto e Castelbellino hanno un capitano per ogni paese, rispettivamente Domenico Mei di Belvedere a Monte Roberto e Antonio Campagnoli a Castelbellino, Agostino Antonelli invece di Monte Roberto era capitano a Poggio S. Marcello.44Ivi, p. 166.
    La consuetudine di avere un singolo capitano per ogni paese, cioè a Monte Roberto e a Castelbellino per quanto ci riguarda, si affermò nel sec. XVIII, quando l’incarico fu quasi unicamente onorifico: a Monte Roberto nella carica di “capitano d’onore”(“Capitaneus Honoris”) si alternano così gli esponenti, presenti in Consiglio, delle famiglie più ragguardevoli del paese. Nel decennio 1756-1766 sono “capitani d’onore” Dionisio Capitelli, Giacomo Capitelli, Mattia Amatori, Alessandro Guglielmi, Serafino Guglielmi, Nicodemo Nicodemi, Pietro Anibaldi, Antonio Anibaldi, Paolo Ignazio Baldelli, Gherardo Anibaldi, Quirino Senesi, Carlo Senesi, Pietro Paolo Tesei, Bartolomeo Olivieri; nominato “capitano d’onore” anche il segretario della comunità Pier Simone Dominici 45ASCMR, Consigli (1756-1766).
    Era il Consiglio della Comunità a far la nomina, si parla infatti di “capitaneus extractus”;46Ivi, c.12.7v, 7 aprile 1760 e c. 329r, 8 settembre 1765. a volte si dava il caso di dover cambiare nel corso della stessa seduta consigliare il Capitano d’Onore che presiedeva lo stesso consiglio insieme a “I Quattro”, quando una questione o un problema riguardava la sua persona o suoi parenti.
    Il 6 gennaio 1761, essendoci un “luogo vacante”, il Consiglio doveva procedere alla nomina di consigliere di Giovanni Amatori, “e siccome il Sig.re Mattia Amatori è nel presente consiglio Capitano d’Onore, e per il fratello Sig. Giovanni Domenico non puoi rendere il voto”, si propose che “i Sigg. Quattro” eleggessero “un altro consigliere per quest’atto da fare l’officio di Capitano; li Sigg. Quattro dichiararono per Capitano d’Onore per quest’atto il Sig. Giacomo Capitelli”. Procedendo alla votazione si assentarono i due fratelli del candidato, Mattia e Giovanni Antonio Amatori ed il loro cognato Francesco Tesei.47Ivi, c.150v.
    Nei verbali dei consigli tra il 1756 e il 1766 troviamo solo due nominativi, presenti alla riunione, con il titolo di “capitano”, Francesco Antonio Prucicchiani e Costantino Cimarelli, il 27 marzo 1763 e il 28 giugno 1764, in queste sedute non si nomina il “Capitano d’Onore”. Il Prucicchiani e il Cimarelli erano due invitati del Luogotenente Generale di Jesi che faceva le veci del Governatore e che aveva convocato il Consiglio della Comunità per esaminare alcune questioni di particolare urgenza: essi presiedettero, per questo sono detti “capitano”, insieme a “I Quattro”, la seduta.48Ivi, c. 208v, 27 marzo 1763, e G. 274v, 28 giugno 1764.
    Tra i salariati della comunità c’erano anche il “Capitano di giustizia” che veniva confermato ogni anno dal Consiglio: non aveva alcun ruolo dirigenziale, ma come scrive il Menicucci, “quale uffiziale e salariato ha obbligo di riferire i malefizi e gli aggravi a Monsignor Governatore di Jesi e suo Tribunale”.49Menicucci F., Massaccio nel 1789, in appendice a Dottori D., Cupra Montana e i suoi figli noti, Cupra Montana 1983, p. 126.
    Recapitava le citazioni e le notificazioni del Tribunale e con il balivo o messo comunale controllava lo stato delle strade.
    Giuseppe Antonio Bianchi, capitano di giustizia di Monte Roberto riconfermato nel 1757 era un tipo intraprendente: oltre a fare quanto di sua competenza, ebbe in affitto nel 1760 il forno pubblico (per il quale però molti si lamentavano) e alla fine del 1759 chiese di voler fare anche il moderatore dell’orologio ed il postiglione per una tariffa più bassa “di pochi paoli” di quella prevista in bilancio per il moderatore e il postiglione in carica Romualdo Nassi. Il 6 gennaio 1761 il suo incarico di capitano di giustizia gli fu riconfermato “per un altro anno, ma alle solite condizioni, che in caso di demerito ecc. sia lecito alli Sigg. Quattro pro tempore rimuoverlo, senza alcuna risoluzione di Consiglio, stando in di essi arbitrio”.50Urieli C., Jesi e irsuo Contado, vol. IV, p. 558.

  • 114 5.6D. LA “CAUSA MAGNA”

    114 5.6D. LA “CAUSA MAGNA”

    La supremazia della Città sul Contado fu sempre netta e non lasciò quasi mai spazio a spiragli di autonomia ai singoli castelli, si trovarono anzi in continuazione motivi giuridici e pratici per un attento e serrato controllo. La stessa formazione del Contado, avvenuta per conquista, solo raramente per assoggettamento volontario, portava ad una leadership di Jesi che non accettava né partner né concessioni di sorta, Eppure secondo gli statuti, Città e Contado erano “paritarie per dignità e diritto, ma nella realtà il Contado [fu] confinato in condizione di inferiorità giuridica, sociale ed economica nei confronti della Città”51Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, p. 558
    Diverse furono le espressioni concrete di questa supremazia: l’esclusione dei Priori del Contado dalla carica di Gonfaloniere, supremo grado della magistratura jesina, lo stemma di Jesi fatto scolpire sulle porte dei castelli quasi fossero proprietà della città e specialmente, la presentazione del Pallio di S. Floriano. Il peso più rilevante comunque sopportato per secoli dal Contado fu l’iniqua ripartizione delle imposte tra Città e Contado stesso.
    Il decreto del Governatore della Marca del 22 novembre 1510, Mons. Antonio De Flores, che avrebbe dovuto trovare una soluzione equa, sanzionando magari la situazione ormai consueta facendo pagare tre parti delle imposte erariali su quattro al Contado, stabili invece che le collette dovevano essere divise in modo che il Contado ne pagasse due terzi più un ottavo e la Città il terzo rimanente meno un ottavo. Se la situazione precedente aveva fatto sorgere già a tempo controversie tra Città e contado (“cum diu fuerit, et sit versa differentia, et controversia inter civitatem Aesij, et eius cives ex una, et comitatum dictae civitatis, et eius homines partibus ex altera”), e per questo era stato chiesto l’intervento del Governatore Flores, il decreto di quest’ultimo non accontentava affatto i castelli che tuttavia dovettero subirlo incrementando un progressivo malcontento. Tra i Priori di Città e Contado che presenziarono ed “accettarono” il decreto c’erano Conte di Ser Gabriele da Massaccio e Sante di Antonio di Monte Roberto.
    Lo scontro tra città e contado crebbe nei decenni seguenti interessando anche il governo centrale di Roma con una vertenza giudiziaria durata quasi due secoli: la “Causa Aesina Collectarum” o più brevemente la “Causa Magna” (la “Grande Causa”). La vertenza produsse una mole enorme di documenti e di memoriali, avvocati e patrocinatori della Città e del Contado ed apposite commissioni pontificie a livello anche cardinalizio, discussero e si scontrarono con argomentazioni storiche e giuridiche: il Contado di fronte all’oligarchia cittadina non vide mai riconosciute le sue ragioni di fatto e di diritto. Pagare le tasse all’erario pontificio “per aes et libram” e cioè secondo il reale valore catastale degli immobili, riconosciuto anche da una Bolla di Pio V del 3 ottobre 1567 ma letto con interpretazioni a dir poco interessate, non fu mai possibile: prevaleva sempre il sistema del “decreto Flores”.
    Pagandosi meno tasse in città, non pochi erano i benestanti dei castelli che avevano preso residenza a Jesi aggravando così la pressione fiscale sui castelli stessi. Il 15 dicembre 1587 Sisto V, accettando una richiesta della Città concede un Governatore per tutto il Contado: un successo per Jesi che confermò ancora una volta la sua supremazia sui castelli ed un successo per l’oligarchia cittadina che sempre vide il Governatore schierato dalla propria parte.
    Nonostante le resistenze messe in atto, i castelli dovettero sempre pagare secondo l’ingiusta ripartizione e cominciano, da questo scorcio del Cinquecento a fino a metà Settecento, sul libro-registro delle “Entrate e delle Uscite”, le ripetute registrazioni: “A[…] per a bon conto della lite tra la Città et Castelli […] fiorini […] 52 Ad esempio, ASC1V1R, Entrate e Uscite (1585-1597),c. 25r (1587).sono le spese per avvocati e patrocinatori che ogni castello si accollava per la “causa magna”.
    Un “deputato” a nome di tutti i castelli del contado provvedeva a ritirare le somme dovute da ciascuna comunità e le inviava all’agente (rappresentante) del contado a Roma che a sua volta saldava le spese che si andavano sostenendo per la causa.53In appendice n. 3: Spese per la “Causa Magna”, pp. 288-290.
    Il Contado “era ben meno facoltoso di quello si fosse la Città di Jesi”.54Menicucci F., Memorie… Massaccio…, p. 125.
    La conferma era stata ufficializzata dal Catasto fatto eseguire da Mons. Gianfrancesco Negroni, già Governatore di Jesi nel 1663, e portato a termine nel 1669. L’estimo del territorio della Città di Jesi era superiore a quello del contado di scudi 295.351.
    L’estimo di Monte Roberto, di scudi 56.076,44, era all’ottavo posto tra i castelli; lo precedevano Monsano (123.104 scudi), San Marcello (118.120), Belvedere (109.298), Mono (93.051) Massaccio (70.234), Castelplanio (62.665) Maiolati (62.263) ed era seguito da Montecarotto (54.388), Poggio San Marcello (37.134), Castelbellino (30.938) San Paolo (25.759) Rosora (23.952), chiudevano i castelli più piccoli e più poveri Poggio Cupro (7.759) e Scisciano (4.121).
    Il reddito pro capite invece, in rapporto alla popolazione rilevata nel 1749, era per Monte Roberto di scudi 34,1 per una popolazione di 1.634 abitanti, al decimo posto in tutto il Contado compresa Jesi; il reddito più alto era di San Marcello (83,4 scudi), seguivano Jesi e S. Maria Nuova (81,5), Monsano (67,2), Castelbellino (64,7) Mono (54,0), Maiolati (53,7), Belvedere (48,4), Castelplanio (38,9) San Paolo (36,0). Dopo Monte Roberto c’erano Poggio San Marcello (33,3), Scisciano (32,7), Massaccio (25,8) Montecarotto (24,06), Poggio Cupro (20,0) e Rosora (14,8).
    Il reddito pro capite della città era di scudi 81,5, quello medio dell’intero contado di scudi 56,5: evidenti la sproporzione e di conseguenza la non equa ripartizione delle collette.
    Nel 1714 e nel 1717, nel prosieguo della “causa magna”, ci furono altri pareri favorevoli alla Città; nel 1719 si decideva invece l’annullamento delle precedenti sentaze con l’obbligo di rifare tutto il processo dinanzi alla Congregazione del Buon Governo.
    Per oltre un ventennio la causa covò sotto la cenere.
    La città, o meglio la nobiltà jesina ne approfittò per chiedere al papa per i Priori di Città i “rubboni rossi”, lasciando quelli neri ai Priori del Contado, presenti nella magistratura jesina; la concessione, ottenuta nel luglio 1738 suscitò ira e sdegno: era una nuova provocazione della città nei confronti del contado.
    In questo contesto di reciproca animosità, venne diffuso un manoscritto anonimo, ma negli ultimi decenni del Novecento attribuito a don Giovanni Angelo Tacchi (1666-1746) di Massaccio con la collaborazione di Carlo Ridolfi di Castelplanio e Curzio Bernabucci di Belvedere, “Il Pellegrino in pellegrinaggio per il Contado”.
    É la narrazione del “pellegrinaggio” fatto nel mese di ottobre 1738 per tutti i paesi del contado mettendo in evidenza gli aspetti culturali e religiosi e le magnificenze di ciascun castello ridicolizzando la nobiltà jesina e le pretese della città. Un libello satirico, aggressivo, velenoso contro l’oligarchia cittadina.
    Parlando di Monte Roberto, l’anonimo pellegrino scrive: “[…] questo Castello ha prodotto e produce oggetti qualificanti, e che ha prodotto altresì con Magistrati e Prelature Monastiche come tra l’altro è stata la Famiglia Amatori, […]. È nativo di questo luogo, il Priore Generale de Monaci Silvestrini,55Si tratta di Don Giovanni Amatori, vicario generale nel 1735-1736 ed abate generale nel quadriennio 1736-1740, cfr. Aspetti e Problemi del Monachesimo nelle Marche, Fabriano 1982, vol. II, p. 763. come anche uno de Capitani, che comanda le tre Compagnie de Soldati esistenti nel Contado”.
    Descrive poi la sontuosa abitazione di un “Ricco Sacerdote” con “argenteria Quadri, ed apparati Nobili”.56il libello è stato pubblicato in appendice a Molinelli R., Città e contado nella Marca pontificia in età moderna, Urbino 1984, pp. 243-304; quanto riguarda Monte Roberto è a pp. 270-273.
    Le consultazioni sul problema della “causa magna” tra i castelli del contado erano periodiche, erano diventate diremmo istituzionali: sede degli incontri era la Casa della Pieve delle Moglie (Moje di Maiolati) dove convenivano i rappresentanti dei singoli paesi. Per tutti questi “congressi” (come allora li chiamavano), vogliamo ricordare quello del 6 agosto 1738, la “causa magna” fu
    evidentemente l’argomento di maggiore importanza (in quest’occasione mancarono i “deputati” di Scisciano e Monsano): Massaccio che in tutta la vicenda ebbe sempre un “molo di punta”, mandò tre rappresentanti, tra essi don Giovanni Angelo Tacchi.57ASCMR, Consigli (1735-1755), cc. 35v e 36v.
    Anche Borgo Loreto di Castelplanio e Belvedere furono sede di analoghi incontri tra i castelli del contado.58ASCC, Lettere diverse (1516-1599), lettere del 18 gennaio e del 1 aprile 1571 per Borgo Loreto, e ASCC, Miscellanea (1741-1750), VIII-I, incontro del 17 novembre 1745. Di queste consultazioni se ne fecero per più di due secoli, segno che non mancavano argomenti da discutere sui rapporti con la città, specialmente quelli legati alle tasse da pagare.
    I castelli, seguendo l’esempio di Jesi che aveva già dal Cinquecento nominato un “cardinale protettore”, la figura più grande fu quella di S. Carlo Borromeo nominato nel 1562,59Urieli C., feste il suo Contado, vol. III, p. 108. elessero anch’essi un “cardinale protettore” che potesse aiutarli non solo presso il governo centrale nelle pratiche amministrative e nelle richieste che inviavano ma anche presso le autorità periferiche.
    Non tutti i castelli se lo potevano permettere perché naturalmente al cardinale era necessario inviare qualche “gratifica”. Il Consiglio della Comunità di Monte Roberto il 31 marzo 1737 nomina protettore del paese il Card. Marcello Passeri, “il patrocinio di un porporato – è scritto nel verbale della seduta – apporterebbe decoro e utile a questa nostra Comunità”.60ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 21v. Per il Card. Passeri, cfr. Moroni Gaetano, Dizionario di Erudizione storico-ecclesiale, Venezial 851, vol. II, pp. 265-266.
    La “causa magna” negli anni Quaranta riprese il suo cammino con successivi atti del 1742, 1746, 1747, 1749 fino ad arrivare alla sentenza definitiva del 20 marzo 1752.1128 aprile 1752 Benedetto XIV emanava il Motu proprio “Laudabile” dove riassumeva tutte le fasi della vertenza, confermava la sentenza e il sistema del “Decreto Flores” del 1510: “la ripartizione degli oneri pertanto doveva farsi per due terzi più un ottavo a carico del Contado e un terzo meno un ottavo a carico della Città”.
    Il contado era definitivamente umiliato; la causa riguardò esclusivamente i proprietari della Città e quelli dei Castelli, sia questi che quelli difesero i propri interessi anche se i proprietari dei paesi chiedevano certamente un modo più equo e onesto nella ripartizione degli oneri fiscali.
    Il popolo rimase estraneo a tutta la vicenda, se a Jesi “viveva nella miseria e spesso sopravviveva nel clientelismo all’ombra dei grandi signori […] anche nei Castelli la classe popolare viveva in una povertà di esistenza tale che i soli suoi interessi erano quelli della sopravvivenza”.61Urieli C.. Jesi e il suo Contado. vol. IV, p. 628. Per tutta la vicenda cfr. Urieli C., op. cit., vol.
    IV, pp. 551-636 e Urieli C., San Marcello, cit., pp. 193-203 e 247-285.

    I proprietari non potevano non difendere i loro interessi: erano loro presenti di padre in figlio nella magistratura del castello al centro dell’economia c’erano sempre loro fornendo lavoro ai coloni ai braccianti agricoli e agli artigiani; solo loro si potevano permettere di far studiare i figli e di far loro intraprendere magari la carriera ecclesiastica o giuridica.
    A metà del Seicento a Monte Roberto i proprietari sono 166 con 487 some e 889 canne di terra, 62Una soma equivalente a 1.000 canne quadre, una canna 16 mq., 10 some a 16 ettari. gli enti sono 5 con 49 some e 853 canne. I 20 maggiori proprietari privati, locali e forestieri, possiedono 421 some e 60 canne, pari all’86,3% di tutta la proprietà privata.
    Un secolo e mezzo dopo, verso la fine del Settecento, l’estimo di Monte Roberto per le terre private risultò di scudi 76.252,14, era cresciuto di circa 20.000 dal 1749.
    Complessivamente le proprietà di tutto il territorio hanno un estimo di scudi 127.747,98; i proprietari locali sono 42 con scudi 11.549,31 e gli enti con scudi 2.014,53; i 20 maggiori proprietari locali possiedono per un estimo di scudi 10.170,97 pari all’ 88,06% della proprietà privata locale. I grandi proprietari del luogo sono Amatori, Salvati, Capitelli, Tesei, Chiatti, Antonelli. La proprietà privata forestiera incide con scudi 65.202,83 per 1’84,95% della proprietà privata totale, la monopolizzano in gran parte i nobili jesini, i Ghislieri, gli Honorati, i Guglielmi; quella degli enti, Capitolo della Cattedrale e ordini religiosi, ammonta a scudi 48.981,31.63Per tutti questi dati, dal Seicento alla fine del Settecento: Molinelli R., Città e contado nella Marca Pontificia in età moderna, cit., pp. 167-174.
    Le famiglie di possidenti erano diventate il ceto dirigente inamovibile ormai da generazioni ed avevano intrecciato tra loro rapporti di parentela rafforzando l’oligarchia paesana, mentre all’occasione non disdegnavano matrimoni con esponenti di famiglie di più consolidata nobiltà di Jesi o di altre città.

  • 119 5.6E LA LITE CON CASTELBELLINO

    119 5.6E LA LITE CON CASTELBELLINO

    Se per gli “oneri camerali”, per le imposte cioè a favore dell’erario pontificio tra città e contado ci fu una vertenza di quasi due secoli e mezzo, un’analoga lite giuridica si sviluppò per oltre 150 anni tra Monte Roberto e Castelbellino per gli “oneri comunitativi”, per le imposte cioè devolute alla casse delle rispettive comunità.
    La conflittualità con Castelbellino era sorta per l’abitudine di alcuni abitanti di quest’ultimo castello, che possedevano proprietà in territorio di Monte Roberto, di non pagare le imposte alla comunità di Monte Roberto;[64]ASCMR, Consigli (1711-1735), cc. 50-51, 1 settembre 1713. tra le ragioni addotte, oltre ad antichi documenti, c’erano che i confini erano stati variati, che il catasto non era in buon ordine, che i terreni in oggetto erano oltre i confini della comunità.[65]ASCMR, Registro delle lettere (1703-1795), c. 41v, 13 settembre 1732.La zona cui si riferivano queste proprietà era sicuramente quella della dorsale tra le attuali via S. Giorgio – il luogo dell’antica abbazia – e via Montali e sue adiacenze.
    La vera motivazione, certamente non peregrina, ma che ricordava una situazione antica quando il castello di Castelbellino (Morro Panicale) aveva giurisdizione sul territorio anche di Monte Roberto, c’era realmente: le due comunità, vicinissime, avevano tenuto per tanto tempo indivise giurisdizioni e pertinenze.
    Quando poi crebbero e rivendicarono pari autonomia e soprattutto quando le imposizioni fiscali sia erariali che per le rispettive comunità cominciarono ad essere più sostanziose, si iniziò una verifica capillare dei contribuenti nelle casse comunitarie secondo delimitazioni confinarie più precise. La vertenza nacque in questo contesto. La causa però andava avanti con difficoltà: l’11 luglio 1717 il Consiglio Comunale decide di cambiare il “procuratore” a Roma eleggendo Eustachio Negri al posto di Antonio Balestrieri.[68]ASCMR, Consigli (1711-1735) cc. 112v e 113r. Cinquant’anni dopo, nel 1766, Monte Roberto contestò addirittura l’autenticità della “concordia” del 1576, facendo ricercare da due notai di Jesi l’originale sui cinque volumi di protocolli rogati da Ottaviano d’Antonio (Ottaviano Antonini) notaio in Monte Roberto tra il 1563 e il 1616, esistenti negli archivi jesini, i due “fanno fede che in detti Protocolli non vi è alcun istrumento di Concordia o Transazione tra le due Comunità di Monte Roberto e Castel Bellino”.[69]ASCR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 228v, pagamento straordinario del 18 agosto 1766. Monte Roberto insomma riteneva la “concordia”, “carta informe ed apocrifa inventata oggi dalli possidenti [diCastelbellino] per utile”. Castelbellino di contro affermava essere “troppo oltraggiosa e calunniosa l’asserzione” di Monte Roberto e replicava esserci copia “registrata” nell’archivio di Castelbellino e che la sua autenticità era stata recepita e ritenuta tale dalla sentenza del 1714 e che anzi, Monte Roberto l’aveva esibita in pubblica copia in una vertenza con la stessa comunità di Castelbellino discussa a Jesi il 15 gennaio 1650. Si aggiungeva poi “che è stato sempre ed è in verde osservanza fra i due castelli questa Transazione”.
    Di fronte alla sentenza definitiva passata in giudicato del 1714, Monte Roberto cercava ogni argomento per rescindere l’antica “concordia” ma certamente riuscirono vani tutti i tentativi messi in campo. L’estimo secondo il Catasto Negroni del 1669 dava Monte Roberto più ricco nei confronti di Castelbellino, Monte Roberto era però più povero per reddito pro capite, 34,1 scudi su 1.634 abitanti di fronte ai 64,7 pro capite della popolazione di Castelbellino che ammonta solo a 478 abitanti nel 1749 che erano sostanzialmente quelli dei decenni prima.
    In questa più diffusa povertà sta con tutta probabilità l’insistenza di Monte Roberto nella lunga lite con Castelbellino: se più proprietari ci fossero stati a pagare, meno avrebbero pagato tutti in proporzione per le necessità di una comunità più numerosa. Non conosciamo la conclusione della lite, i verbali del Consiglio della Comunità non ne parlano più, conosciamo solo una bozza di un “memoriale” che Castelbellino mandò probabilmente al suo procuratore a Roma verso il 1776, secondo cui “gl’uomini di C.Bellino non solo pagano il loro dovere, ma anche di più del loro dovere”, chiedendo che tutto rimanesse, come di fatto rimaneva, secondo la concordia del 1576.[70]Menicucci P., Notizie d’Apiro e di Castel Bellino ms. Archivio S. Leonardo, Cupramontana,Fondo Menicucci, cc. 36-40.

  • 121 5.7 IL TRIENNIO GIACOBINO (1797-1799)

    121 5.7 IL TRIENNIO GIACOBINO (1797-1799)

    Prima dell’arrivo di Napoleone e delle truppe francesi l’eco della rivoluzione d’oltralpe nei nostri castelli era stata piuttosto tenue. La gente umile ne avrà avuto notizia o sentore frequentando magari il Monastero camaldolese e l’annessa chiesa di S. Lorenzo o il Convento francescano della Romita a Massaccio dove erano ospitati dal 1792 cinque sacerdoti profughi dalla Francia, 71Manganelli F., Memorie della Terra di   Cupramontana. ms. Biblioteca   Comunale Cupramontana, p. 9.  ed avrà di certo confrontato e arricchito queste notizie con quelle che riportavano quanti frequentavano le grosse fiere come quella di Senigallia. Anche la lettura delle “Gazzette” che arrivano a famiglie benestanti e la corrispondenza che ci si scambiava tra città e paesi fra parenti ed estimatori favorivano questa circolazione di informazioni.
    A Monte Roberto il nome del Generale Bonaparte si fece sentire ufficialmente in Consiglio Comunale il 19 febbraio 1797, quando i consiglieri, invitati dalla Municipalità di Jesi e per ordine del Bonaparte, dovettero eleggere a loro volta la Municipalità composta di cinque membri (il presidente più quattro componenti). Gli eletti, oltre al presidente Filippo Salvati, furono Pietro Amatori, Nicola Capitelli, Agostino Antonelli e Pietro Moretti. Nella stessa seduta si decise di costituire una Guardia Civica di 40 individui che i cinque “municipalisti” avrebbero scelto e diretto. Acquartierate provvisoriamente nel Magazzino dell’Abbondanza le guardie, a turno e armate, avrebbero dovuto “girare di giorno e di notte continuamente […] e servire unicamente per i casi di bisogno”.72ASCMR, Consigli (1794-1808), cc .29-31  
    Napoleone lo stesso giorno, 19 febbraio, firmava il Trattato di Tolentino con imposizioni al Papa in denaro e cessione di territori “quali mai si erano fatte ai suoi predecessori”.73Ranke Leopold, Storia dei papi, Sansoni Firenze 1959, p. 964.  

    Il trattato di Tolentino

    Ad Ancona Napoleone era arrivato il giorno 10, I’11 a Jesi si era insediata la Municipalità esautorando quella legittima, Priori di Contado erano Giacomo Nicodemi di Monte Roberto e Andrea Meriggiani di Castelbellino. Seguirono a Jesi e nel Contado cinque giornate di insurrezione, dal 23 al 28, “l’agitazione cominciò nei Castelli a monte della Città, cioè verso Massaccio e Castelli attigui”74Urieli C., Jesi e il suo Contado vol. IV, p. 667. coinvolgendo anche Monte Roberto.
    Con il 1° aprile ritorna il Governo Pontificio, avendo quest’ultimo ottemperato ai pagamenti previsti dal Trattato di Tolentino. 75Cfr. gli artt. XII e XV del Trattato di Tolentino, in Nocchi A., Ceccarelli R., Editti e Bandi del sec. XVIII, Cupra Montana 1993, p. 68.  Tutto sembrava essere come prima, almeno a Monte Roberto: fermenti “giacobini” rimanevano a Jesi, Ancona poi era ancora in mano ai Francesi. Il 4 maggio tutti i castelli presentano il Pallio di S. Floriano, Giovanni Ragaglia è il rappresentante di Monte Roberto.
    Nelle sedute del Consiglio della Comunità si alternano come “capitani d’onore” Filippo Salvati, Carlo Senesi, Giacomo Nicodemi, Gregorio Tesei, Giuseppe Olivieri. Non troviamo nei verbali il nome del capitano Domenico Mei di Belvedere nominato da Jesi, 76Molinelli R., Un’oligarchia locale in età moderna, cit., p. 160.   probabilmente questo “capitano” era il rappresentante della Comunità di Jesi presso la Comunità di Monte Roberto, che, salvo casi eccezionali, faceva presiedere il Consiglio, come ormai da decenni, al Capitano d’Onore eletto dal consiglio stesso.
    Verso la fine dell’anno Napoleone stava lasciando ai giacobini la libertà di agire secondo i loro progetti, ad Ancona si costituisce la “Repubblica Anconitana” il 17 novembre cui aderiscono poi altre città tra cui Jesi: il Trattato firmato a Tolentino tra Napoleone e il Papa stava andando in frantumi. Il 31 dicembre si formava a Jesi la nuova Municipalità, contemporaneamente partiva dalla città il Governatore Mons. Alessandro Macedonio, in serata uscivano le truppe papali e giungevano quelle francesi.
    Il 2 gennaio 1798 si riunisce il Consiglio della Comunità di Monte Roberto, si legge una lettera della Municipalità di Jesi che invitava a fare quanto la città aveva già fatto “d’implorare [cioè] provvisoriamente la protezione dell’invitta nazione francese”. Il consigliere Giuseppe Olivieri, per l’occasione nominato “consultore” cioè relatore sull’argomento, è del parere “che ancor noi che forniamo la minima parte del Contado jesino ci uniformiamo a quanto ha risoluto il Comune della stessa città, cioè che provvisoriamente imploriamo la protezione francese, tanto più, che restiamo assicurati che sarà intatta la nostra Santa Religione cattolica e salve le proprietà particolari: intendendo con ciò di non essere ribelli al Nostro Sovrano, ma chiedere unicamente la protezione francese provvisoriamente”.
    Si elesse poi la Municipalità provvisoria, di cinque membri, “i più sani, e per coscienza e per morigeratezza che costumi, probità e capacità”. Furono eletti Filippo Salvati, Pietro Amatori, Francesco Olivieri, Nicola Moretti e Domenico Amatori, il più votato, Filippo Salvati, fu proclamato Presidente della Municipalità “con l’assoluto governo di questo luogo”.77ASCMR, Consigli (1794-1808), c. 47v e c. 48r.
    Il malcontento popolare contro nuovi arrivati non mancò di farsi sentire: a Maiolati nelle prime settimane vennero segnalati “sediziosi e malintenzionati che spargono voci contro alla pubblica quiete”,78Urieli C., op. cit., p. 683 e 705.   ma la sommossa più ampia e organizzata cominciò a Massaccio il 29 gennaio, gli “insorgenti” si spinsero fino a Scisciano, Maiolati, Monte Roberto e Castelbellino invitando la popolazione all’insurrezione. Ad essi si aggiunsero bande di insorti provenienti da Cingoli, Apiro e Staffolo: Jesi stessa temette di essere assalita. Le truppe francesi da Ancona mossero contro Massaccio ritenuto esso solo causa del disturbo e della sedizione”, dopo breve assedio il 2 febbraio lo espugnarono e sottoposero a saccheggio. 79Ivi, pp. 684-685 e Nocchi A., Ceccarelli R., op. cit., pp. 78-81.   
    Nel viaggio verso Massaccio, ai soldati francesi che passavano a Monte Roberto, andò incontro il curato Don Pergolini (che non era il parroco, né originario di Monte Roberto), invitato dal Presidente della Municipalità Filippo Salvati, impossibilitato per malattia, e da altri cittadini, al sacerdote dai soldati dell’avanguardia venne rubato l’orologio: la Municipalità il 21 aprile 1798 gli accorda un compenso di sette scudi “avendo fatto una parte da buon cittadino, ed ottimo cattolico, sebbene forastiere, ed ha posto a rischio la vita ancora, oltre la robba che portava”.80ASCMR,  Consigli (1794-1808), c. 50r. 
    Sul Palazzo Comunale fu issata la bandiera tricolore e alla truppa data assistenza in pane e vino, consegnate 35 paia di scarpe, mentre il fieno per i cavalli fu mandato a Jesi. Il chirurgo di Monte Roberto si recò poi. a Maiolati per curare alcuni soldati francesi feriti durante l’insurrezione di Massaccio. 81ASCMR, Sindacati (1790-1844), pp. 56-58.   
    Dopo la proclamazione della Repubblica Romana avvenuta il 12 febbraio 1798, le Marche furono divise in tre Dipartimenti: del Metauro, capoluogo Ancona; del Musone, capoluogo Macerata, e del Tronto, capoluogo Fermo.
    Monte Roberto così dal 1° aprile (“12 Germinale Anno Primo della Repubblica Romana, Una, ed Indivisibile”) fece parte del Dipartimento del Musone (diviso in 16 cantoni) e del Cantone di Apiro insieme ai castelli a destra del fiume Esino, Massaccio, San Paolo, Castelbellino, Poggio Cupro, Scisciano, Rotorscio, D’orno, Poggio San Vicino (Ficano) e Frontale. 82Nocchi-Ceccarelli, op. cit., pp. 82-84.   
    Se sul Palazzo Comunale sventolava la bandiera tricolore, ed era cosa gradita ed apprezzata, per i salariati invece del Comune fu obbligatorio avere sul cappello la coccarda nazionale: il postiglione Romualdo Nassi al servizio di Monte Roberto e di Castelbellino fu multato di uno scudo per non portarla, i rispettivi comuni a loro volta si fecero carico, a metà di pagare l’addebito. 83ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 41r.   
    Il 1798 fu drammatico per la mano pesante usata dai francesi nei confronti della religione e del clero; 84Urieli C., op. cit., p. 690.   a Monte Roberto però non si registrarono episodi particolarmente importanti: i municipalisti avevano fatto parte tutti del precedente Consiglio della Comunità ed anche i verbali delle sedute della Municipalità registrati nel 1798 (nessuno è registrato per il 1799) dicono che avevano termine, come sempre, con la preghiera di ringraziamento: “E rese le grazie fu dimessa la Congregazione”.85ASCMR,  Consigli (1794-1808), cc. 48v, 49r/v, 50r.   
    Il 26 giugno 1798 (“8 Messifero Anno VI”) viene reso obbligatorio l’uso del calendario dell’Era Repubblicana iniziata nel 1792: il primo giorno dell’Anno Repubblicano è il 10 vendemmiale cioè il 22 settembre, 86Nocchi-Ceccarelli, op. cit., pp. 88-91.   per celebrare questo capodanno Paolo Canonici, prefetto consolare del Cantone di Apiro, invia “agli abitanti tutti del cantone” un caloroso appello. 87Ivi, pp. 92-93.  
    Dopo aver ricordato a tutti l’ubbidienza alle leggi e di celebrare il capodanno in tranquillità e onesta allegria, conclude: “Voi siete miei Fratelli, altre volte il vostro zelo patriottico, la vostra subordinazione alla Legge ha dato prove non equivoche del vostro docile Spirito, sicché non avrò che d’approvare la vostra democratica condotta, il vostro scambievole Amore”.
    Il governo della Repubblica Romana tuttavia, nonostante gli appelli alla quiete e le pene gravi previste per gli insubordinati e l’aver reso responsabili di eventuali insurrezioni e i sacerdoti con minaccia di fucilazione immediata o di arresto, 88Ivi, cfr. i bandi del maggio 1798 e del 17 dicembre 1798, pp. 87 e 99.   non ha giorni tranquilli.
    Approfittando della campagna di Napoleone in Egitto e in Medio Oriente, moti rivoluzionari si verificarono nella Marche (luglio-dicembre 1798), una rivolta esplode poi in tutto il territorio della Repubblica (maggio 1799). 11 10 maggio 1799 (21 fiorile) un gruppo di “insorgenti” guidati dal Tenente Marsili di Camerino rompe e brucia la bandiera tricolore posta sul palazzo comunale di Monte Roberto, pretende del vino dalla popolazione e si avvia quindi verso Maiolati. 89ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 57v.   Jesi il 14 giugno è saccheggiata dai “liberatori insorgenti”, poi il giorno dopo è di nuovo saccheggiata dai Francesi. Nelle settimane seguenti si muovono le truppe austriache che si preparano all’assedio di Ancona.
    Nella prima decade di agosto queste si accampano intorno a Jesi: alla Municipalità si sostituisce la “Cesarea Regia Provvisoria Reggenza”, analogo cambio avviene il 16 agosto a Monte Roberto con l’insediamento della Reggenza Provvisoria formata da Filippo Salvati, Domenico Amatori, Nicola Moretti e Domenico Barcaglioni, 90Ivi, c. 58v.   eccetto quest’ultimo, tutti in precedenza facevano parte della Municipalità.
    Il 30 settembre 1799 ha fine la Repubblica Romana; l’assedio di Ancona da parte degli Austriaci si conclude con la resa il 15 novembre: l’avvenimento fu salutato a Monte Roberto con fuochi e feste e con la distribuzione ai poveri di fascine e pane. 91Ivi, c. 65r.   

  • 125 5.8 LA FINE DEL CONTADO E IL REGNO D’ITALIA (1808-1815)

    125 5.8 LA FINE DEL CONTADO E IL REGNO D’ITALIA (1808-1815)

    Gli Austriaci facilitarono il ritorno del Governo Pontificio, restaurato nella pienezza dei suoi diritti il 25 giugno 1800. Intanto città e castelli, come avevano sostenuto parte delle spese per l’assedio di Ancona, dovevano mandare vettovaglie per le truppe che continuavano a sostare nella città dorica, ed ancora una volta i più penalizzati erano i castelli.

    Regno d’Italia


    Un esempio per tutti: si dovevano mandare, nella prima decade di febbraio 1801 in Ancona “dieci bovi o manzi” da parte di città e contado, il Gonfaloniere ed i Priori di Jesi ne chiedono uno a Monte Roberto. L’imposizione appare gravosa; in Consiglio Comunale si osserva che dal momento che i castelli, esclusa la città, sono in quindici, “sarebbe cosa doverosa e proporzionata che tale contribuzione di un bove fosse pagata dai tre castelli Maiolati, Castelbellino e Monte Roberto”. 92ASCMR, Consigli (1794-1808), cc. 78r, 79r, 80v, 8 febbraio 1801.
    I rapporti tra Jesi ed il Contado frattanto andavano peggiorando: i motivi erano economici e politici, maggiore libertà nel gestire le proprie risorse e nel prendere decisioni, il disagio crescente si evidenziava anno dopo anno, quando non tutti i castelli si presentavano puntuali alla cerimonia della presentazione del Pallio di S. Floriano.
    In questi anni la Comunità di Monte Roberto non ha grosse possibilità economiche, non disdegnava così di far ricorso a raccomandazioni per avere qualche favore ed ogni spesa per sollecitarlo puntualmente era annotata.
    L’ultimo giorno di febbraio 1804 si pagano tre scudi e 50 baiocchi “per la spesa di due presciutti di libbre 35 mandati all’agente in Roma onde ottenere sovvenzione di qualche somma” 93ASCMR, Bollettini (1791-1808).   
    Regalie ed omaggi del resto erano una secolare abitudine: nel 1581, “se speso per un capretto bolognini 38 che fu donato al Sig. Podestà di Jesi”, per consegnarlo poi si spesero altri 20 bolognini. 94ASCMR, Entrate Uscite (1558-1586), e. 241r.    Pignoleria e precisione di ogni registrazione contabile, si trattava pur sempre di denaro pubblico, come quella di qualche anno prima “… e più si spese per doi libbre di casio per li macheroni”.95Ivi, c. 146v (1572).
       Napoleone, ritornato dal Medio Oriente, aveva riconquistato il nord della penisola stabilendovi la Repubblica Cisalpina mentre le sue truppe andavano sostituendo nello Stato Pontificio quelle austriache. Eletto imperatore con l’emanazione di una nuova costituzione il 18 maggio 1804, la Repubblica Cisalpina fu trasformata in Regno d’Italia ed Eugenio Beauharnais, figliastro di Napoleone, nominato viceré.

    Con decreto imperiale emanato il 2 aprile 1808 Napoleone riuniva al Regno d’Italia le province di Urbino, Macerata e Camerino: il possesso formale dei nuovi territori sarà effettuato l’11 maggio. Si concludeva in questo modo la secolare vicenda del Contado di Jesi, una realtà politico-amministrativa durata più di sei secoli e che ha lasciato segni e vincoli ancor oggi facilmente rintracciabili.
    Le Marche ebbero un nuovo assetto territoriale.
    Tre i Dipartimenti come nel 1797-1799: Dipartimento del Metauro, del Musone, del Tronto, con i capoluoghi Ancona, Macerata e Fermo; diverso invece l’assetto interno ad ogni Dipartimento. Monte Roberto e tutti i castelli dell’antico contado fecero parte del Dipartimento del Metauro e del Distretto quinto di Jesi, dirigeva il Distretto un Vice-Prefetto e la città, sede di distretto, un Podestà. Dal 1811 al 1814/15 la ripartizione amministrativa fu sempre Dipartimento del Metauro, ma Distretto Primo di Ancona e Osimo e Cantone secondo di Jesi. 96ASCMR, Consigli (1809-1824), c. 18v, 6 maggio 1811; e. 46v, 18 ottobre 1814.   Tutti i comuni della Vallesina mantennero l’autonomia ad eccezione di Poggio Cupro e di Scisciano aggregati a Maiolati. San Paolo e Castelbellino furono uniti a Monte Roberto.
    Nel maggio 1808 il podestà di Jesi Emilio Ripanti affida l’incarico di sindaco provvisorio di “Monte Roberto ed Aggregati” a Filippo Salvati97ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p.1, lettera del 16 maggio 1808. che su richiesta dello stesso podestà, propone una lista di 20 consiglieri per il Consiglio dei comuni riuniti. I consiglieri potevano aver fatto parte dei precedenti consigli, dovevano essere possidenti ed aver superato i 25 anni. Salvati, tenendo conto della popolazione dei rispettivi comuni, propose 6 consiglieri per San Paolo e 6 per Castelbellino ed 8 per Monte Roberto. Fece l’elenco nel miglior modo possibile, “giacché – scrive al Ripanti – il rinvenire soggetti tutti forniti di singolari qualità e segnatamente dotti in comuni così ristretti e scarsi di persone civili è stato impossibile”.98Ivi, p. 3, lettera del 30 maggio 1808.   
    Il prefetto del Dipartimento Casati, il 7 giugno 1808 scelse da questa lista 5 consiglieri per ogni singolo comune, due anziani di Monte Roberto (Amanzio Amatori e Giuseppe Olivieri) e il sindaco (Filippo Salvati); 18 erano così i membri del Consiglio Comunale, nei paesi uniti rimase solo il moderatore dell’orologio, mentre per l’anno successivo il governo pensava di togliere anche il maestro e il medico. 99Ivi, pp. 70-71, lettera del 28 settembre 1808, n. 187.  
    Monte Roberto è comune principale, unica la rappresentanza, unica la sede dell’amministrazione, soppresse le cariche di segretario a San Paolo e a Castelbellino, unico anche l’archivio dove dovevano essere riunite tutte le carte dopo specifico inventario. 100  p  94, lettera del 13 novembre 1808, n. 243.   Snellita la burocrazia amministrativa, i disagi più sensibili li subirono i cittadini di San Paolo: Castelbellino e Monte Roberto erano vicinissimi e molti servizi da tempo in comune, San Paolo era invece a più notevole distanza.
    Il nuovo governo conservò le tasse antiche quando non ne mise delle nuove: “Si versi in codesta cassa la somma ripartita per le spese tra città e contado giusta il metodo e regolamento dell’antico governo,” 101Ivi, p.7, lettera del 12 giugno 1808.  proibito far uso delle carte da giuoco delle antiche fabbriche”;102Ibidem.   proibito portar armi anche quelle da caccia. 103Ivi, p. 6, lettera dell’Il giugno 1808.  Se in passato si doveva chiedere l’autorizzazione al Governatore non solo per abbattere una quercia ma anche per togliere un albero secco nella selva della Comunità per sistemare una fonte, 104ASCMR, Consigli (1711-1735), c.11v, settembre 1711.  ora allo stesso modo era necessaria l’autorizzazione del Vice-Prefetto di Jesi per abbattere le querce. 105ASCMR, Registro delle lettere (1808-1809), p. 206, 26 giugno 1809.   
    Vi fu da parte del sindaco Salvati, in armonia con le circolari del governo, premura e sollecitudine per la vaccinazione antivaiolosa dei bambini di Monte Roberto, San Paolo, Castelbellino e Maiolati. 106Ivi, pp.192-193, 203, 213, 242. 
    Controllo del governo anche sulla moralità pubblica. Così con identica premura, su richiesta del Vice-Prefetto di Jesi del 6 aprile 1809, il sindaco Salvati gli risponde il giorno 21: “Per quanto è a mia notizia e sull’intesa anche dei rispettivi Parochi, non vi sono in questo Comune e uniti Zitelle incinte […]. Se in appresso accadessero tali inconvenienti non mancarò usare i mezzi possibili per l’opportuno discuoprimento servendomi dell’intelligenza dei Parochi medesimi, che sono più a portata per la corrispondente e sollecita relazione di tali fatti”. 107Ivi, p. 178.   Si provvede a cancellare l’onorario per il predicatore della Quaresima, cosa che la pubblica amministrazione faceva dal Cinquecento, e per il procuratore a Roma. 108Ivi, p. 13, 22 giugno 1808.   
    Per l’onomastico di Sua Maestà l’Imperatore viene fatta una pubblica illuminazione il 15 agosto 1808, 109ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 100v.   per l’anniversario dell’incoronazione l’11 maggio 1809 “al levar del sole si sono suonate tutte le campane, a mezzo giorno si è cantato il Te Deum nella Chiesa Parrocchiale, alla sera stato illuminato il paese. 110ASCMR, Registro delle lettere (1808-1809), p. 184, 12 maggio 1809.   
    Stemmi pontifici nei luoghi pubblici o nelle chiese non c’erano; se c’erano stati un tempo essi vennero distrutti durante il “triennio giacobino” come da ordine avuto nel maggio 1797, 111Nocchi A., Ceccarelli R., Editti e Bandi del sec. XVIII, cit., p. 97.   comunque nel marzo 1809 “mancava ancora lo stemma reale dell’augustissimo Sovrano”, il sindaco Salvati si impegna che esso “verrà fatto quanto prima e messo sulla porta principale di questo comune”.112ASCMR, Registro delle lettere (1808-1809), p. 152 del 7 marzo 1809.   
    La Marina Reale intanto per la riparazione o la costruzione di nuove navi aveva provveduto a far individuare e segnare le querce del territorio. 113Ivi, p. 138, lettera del 13 febbraio 1809, n. 45.   
    La politica di Napoleone chiedeva eserciti numerosi ed efficienti, era stata così istituita anche per il Regno d’Italia la coscrizione obbligatoria e non pochi erano quelli che rifiutavano di presentarsi alla chiamata alle armi e si davano alla clandestinità infoltendo gruppi di sbandati, chiamati gli uni e gli altri genericamente “briganti”. Un fenomeno di proporzioni notevoli che interessò anche la nostra zona e quelle limitrofe, accentuato anche dalla crescente povertà della popolazione rurale. Le autorità civili chiedevano collaborazione ai parroci per individuare i soggetti alla leva (solo le parrocchie avevano fino allora l’anagrafe desunta dai Registri di Battesimo e a tal fine proprio in questi anni viene istituita l’anagrafe civile), e poi per la lettura degli ordini di chiamata o delle sentenze di condanna dei “briganti”.
    “Briganti e traviati” vengono segnalati nell’agosto 1808 nelle vicinanze di Apiro, il sindaco Salvati preoccupato della pubblica quiete chiede che la truppa acquartierata allora in Massaccio venga mantenuta e lo difenda dal momento “che il Massaccio è fornito di ogni sorta di provvigione, per cui se mai i medesimi si impadronissero prenderebbero un vigore maggiore, ne verrebbe una conseguenza fatalissima, e molto dannosa tanto per la perdita delle sostanze, che della vita di molti individui di queste parti”.114Ivi, pp 51-52, lettera del 30 agosto 1808, n. 134.   
    Quasi un anno dopo, il 23 luglio 1809, il comandante della Guardia Nazionale di Monte Roberto e Uniti, Berarducci, parte con 17 soldati nazionali alla volta di San Paolo al fine di “dissipare quella Banda di Briganti, che si è affacciata in questo distretto e precisamente tra il confine del Comune di Jesi e quello del Cantone di Cingoli in Gangalia”.115Ivi, pp. 220, lettera de123 luglio 1809, n. 233.   
    Il Tribunale Militare di Ancona con sentenza del 29 dicembre 1808 aveva condannato a due anni di detenzione Giuseppe Ragno, originario di Staffolo, fornaro e barbiere domiciliato a San Paolo e balivo del comune, “accusato d’essere un partitante de Briganti”, mentre aveva assolto Giovanni Bondoni, calzolaio e canapino di Massaccio, dall’accusa di “aver tenuto discorsi il 22 agosto all’effetto di promuovere li Giovinotti di non obbedire alla legge riguardante alla Conscrizione, spingendoli di perdere l’armi di riunirsi ai Briganti”.116ASCC, Editti Bandi Decreti (1808-1809) vol. II, pag. 191.   
    Malacari, Vice-Prefetto del Distretto di Jesi, il 2 giugno 1809 segnalando che due briganti sono comparsi nelle campagne di Castélplanio e Montecarotto, ricordava a tutti gli abitanti del distretto il dovere di farli arrestare e continuava: “Resta pertanto diffidato ogni Cittadino specialmente delle campagne, che sarà punito con l’arresto e col rigor delle leggi, qualora emerga che potendo consegnarli, o farli consegnare alla forza pubblica, non l’avrà eseguito, o che avesse prestato loro volontario soccorso, o che forzato a trattenersi seco loro non n’abbia fatto subito avvertire l’autorità e il Capo della Pattuglia Nazionale più vicino”.117Ivi, p. 324.   
    Nonostante l’impegno della forza pubblica ed alcuni successi contro i “briganti”, il fenomeno continuò sia nel Dipartimento del Metauro che in quello del Musone: nel 1812 ancora si danno ordini, si organizzano “Colonne Mobili’, si mettono taglie, si promettono ricompense o segnalazioni presso il Viceré per chi avrà contribuito a “far cessare in brigantaggio”.118ASCC, Editti Bandi Decreti (1812), vol. IV, p.146(18 dicembre 1812); p. 148 (11 dicembre 1812); p. 150 (27 dicembre 1812).   
    In Monte Roberto episodi di non risposta alla chiamata alle armi e di conseguente brigantaggio non si verificarono, almeno nei primi tempi; il sindaco Salvati in una lettera al Prefetto del Dipartimento del Metauro Casati, così sottolineava la tranquillità del paese e la sua sottomissione alle leggi nell’ultimo decennio e con il succedersi dei vari governi:  “[…] In febbraio del 1797 la Repubblica invase una parte dello Stato Pontificio, e fra tutta la Marca, e nel tempo del suo Governo provvisorio, che si sollevarono molti popoli, questo Paese non si mosse, e restò sempre subordinato alle leggi fino alla Pace di Tolentino. Quindi rientrò il Pontificio Governo, e Monteroberto restò sempre tranquillo. […] rientrarono [poi] le Armi Francesi in tutto lo Stato Pontificio, ne formarono l’estinta Repubblica Romana, ed i Paesi e Popoli di quasi tutta la Repubblica in più epoche di tempo ed in più, e più circostanze fecero infinite rivoluzioni suonando per ogni dove Campane a Martello, e questo Paese, in cui io ero Edile, non prese le armi verun cittadino, e nessun cittadino suonò le Campane a Martello.
    Cessò qua il comando dell’indicata Repubblica Romana a Novembre del 1799 e subentrò l’Imperiale Reggenza Austriaca il di cui comando durò circa sette mesi, nel qual periodo di tempo io fui qui Presidente di un Reggenza Provvisoria, e -questo Paese fu sempre subordinato alle leggi e non si mosse veruno.
    Nel Giugno del 1800, se non prendo errore, tornò ad occupare le Stato il vivente Pontefice Pio VII e dal tal tempo fino alli 11 del perduto Maggio questo Paese fu sempre quietissimo, e subordinato a tutte le Leggi. Da tale epoca delli 11 che entrò a comandare in questi tre Dipartimenti Napoleone il Grande Imperatore de Francesi, e Re ‘d’Italia fino al giorno di oggi Monteroberto con i due Paesi riuniti di Castelbellino, e Sanpaolo, sono stati subordinatissimi, ed obbedienti alle Leggi vigenti del Governo. L’affare della presente coscrizione me ne dà una prova molto grande.
    Dal primo all’ultimo Conscritto tutti hanno obbedito all’Istruzione dei 21 Novembre 1807 e modificazione dei 6 Luglio perduto, ambi di Sua Eccellenza il Sig. Ministro di Guerra, e mio avviso al Publico dei 2 corrente, tantoche attesa l’indicata subordinazione dei Giovani Coscritti di questo Comune, e loro sperimentata osservanza a tutti gli ordini Sovrani, mi trovo con mia somma consolazione quasi al termine dell’ultimazione di tutte le liste delle tre classi della Coscrizione del 1808. 119ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), pp. 35-36, lettera del 7 agosto 1808, n. 96

  • 130 5.9 UN GOVERNATORE A STAFFOLO

    130 5.9 UN GOVERNATORE A STAFFOLO

    Dopo la sconfitta di Napoleone e quella di Gioacchino Murat, il Congresso di Vienna (1815) decretava la ricostruzione dello Stato della Chiesa. Pio VII il 6 luglio 1816 riordinava lo Stato Pontificio; Jesi fa parte della Delegazione di Ancona e pur essendo sede in un governo distrettuale non risorge l’antico contado.


    La Segreteria di Stato con un editto del 26 novembre 1817 mette nuovo ordine nelle amministrazioni locali decidendo che con il 1° gennaio 1818 alcuni comuni aggregati ritornino nella piena autonomia.
    La decisione per l’autonomia di Castelbellino e San Paolo è comunicata con circolare della Delegazione di Ancona del 7 dicembre 1817, cinque giorni dopo si riunisce il Consiglio Comunale di Monte Roberto e Aggregati, i consiglieri di San Paolo protestano e vogliono rendere nulla la seduta stessa: si fa osservare comunque che l’autonomia sarebbe iniziata il 10 gennaio 1818, non il 13 dicembre. 120ASCMR, Consigli (1809-1827), pp.123 e 129.   Una nuova seduta del Consiglio del 19 dicembre provvede alla sostituzione dei consiglieri di San Paolo e di Castelbellino che con il nuovo anno “vengono a distaccarsi e formare ciascuno Comunità separate”.121Ivi, p. 129.   
    Con il ritorno del governo pontificio si era cominciato a studiare e a mettere in atto la riforma amministrativa con nuove circoscrizioni territoriali e relativi capoluoghi.
    Massaccio, Poggio Cupro, Scisciano, Maiolati, Monte Roberto, Castelbellino, San Paolo e Staffolo dovevano formare una nuova circoscrizione. Massaccio con i suoi 3.525 abitanti già “governo di seconda classe”, un palazzo comunale ampio e accogliente, capacità recettive in locande e osterie ubicazione centrale tra i comuni del piccolo distretto, rivendicava nei confronti di Staffolo la sede di capoluogo. Sottolineava in particolare la difficoltà dei cittadini di Maiolati, Monte Roberto e Castelbellino nel raggiungere Staffolo, “intersecato da due torrenti Fossato e Cesola, i quali nella maggior parte’ del Verno sono rovinosi ed intransitabili”.
    Le autorità di Massaccio nell’agosto 1815 scrivono al card. Consalvi Segretario di Stato, poi anche al card. Diego Innico Caracciolo già Governatore di Jesi (1790- 1795) ed in stretto rapporto epistolare con la comunità che lo aveva eletto suo “patrono” e “protettore”, fecero loro pervenire memoriali esplicativi: la questione era rimandata al Delegato di Ancona che avrebbe preso in considerazione le motivazioni addotte da Massaccio.
    Il paese chiedeva di essere capoluogo-sede di un Governatore “Giusdicente”, di un governatore cioè che esercitasse funzioni anche di giudice per vertenze minori che poi erano le più numerose. Si insistette su questa richiesta per tutto il 1816 e nei primi sei/sette mesi del 1817: la conclusione fu che Staffolo fu scelto definitivamente, con il 1818, come sede del “Governo Giurisdizionale” con un governatore residente, Carlo Fabrini fu il primo, mentre in ogni altro comune sarebbe stato eletto per un biennio un vice-governatore. 122ASCC, Petizione per Giusdicente (1815-1817). Riparto dei Governi e delle Comunità dello Stato Pontificio con i loro rispettivi Appodiati, Vincenzo Poggioli Stampatore, Roma 1817, p. 486.  A questa carica il Consiglio Comunale di Monte Roberto elesse il 19 dicembre 1817 Emidio Salvati con un onorario annuo di 60 scudi. 123ASCMR,  Consigli (1809-1827), pp. 131-132. 
    L’art. 168 del Motu Proprio di Pio VII del 6 luglio 1816 dava particolare importanza alla redazione del bilancio preventivo (Tabella Preventiva) che doveva essere compilato entro il mese di agosto dell’anno precedente. Il Consiglio Comunale di Monte Roberto e Aggregati il 25 agosto 1817 lo discuté e lo approva, è un bilancio per tutte e tre le comunità ancora unite, non si sapeva infatti che con il 1° gennaio 1818 Castelbellino e San Paolo avrebbero ottenuto l’autonomia.
    Complessivamente il bilancio è di 1754,74 scudi, l’entrata più importante è data dalla tassa sul bestiame, scudi 1218,70; tra le spese, oltre a quelle per i salariati (medici, 291,30 scudi; chirurghi, 100; postiglioni, 31,92; maestri, 106,20 ecc.) una voce considerevole è quella relativa alle somministrazioni caritative, 187 scudi. Da questo anno vengono ripristinati gli onorari per il procuratore a Roma e per il predicatore della quaresima. 124Ivi, pp. 112-113.   
    Nel bilancio per il 1819 che si riferisce evidentemente al solo comune di Monte Roberto, si prevedono in entrata e in uscita 952,05 scudi, dal bestiame, eccetto “i bovi aratori”, si ricava scudi 762,90; in uscita “alla città di Jesi per i spilli” scudi 124,52. 125Ivi, pp. 139.  
    Il preventivo per l’anno 1820 è all’incirca come quello dell’anno prima 935,32 scudi; in luogo della tassa su bestiame (“L’industria sul bestiame tanto utile al commercio, quanto necessaria per gli ingrassi, è affatto distrutta”), vi è la tassa sul seminato a grano (scudi 772,45), identica la tassa per gli spuri.126Ivi, pp. 162-163. 
    Nel 1821 ritorna la tassa sul bestiame mentre aumenta la spesa per gli esposti, 144,42 scudi. 127Ivi, pp. 184. 
    Un bilancio più ristretto quello del 1822, 894,80 scudi; è abolita la tassa sul bestiame ed introdotta quella sul focatico rustico (815 scudi) e urbano (15 scudi): “la Metà del focatico rustico sarà pagata dai Coloni e l’altra metà dai rispettivi padroni del fondo, come essi padroni hanno pagato la metà della colletta sul bestiame”. Quello urbano “verrà formato in sette gradi da pagarsi in proporzione delle facoltà [possibilità] degli artisti [artigiani] e giornatarij [braccianti]”. Diminuita per il 1822 la spesa per gli spuri, 112,89 scudi. 128Ivi, pp. 197-198.   
    Nel 1823 viene introdotta, per il 1824, una tassa sui “carri tirati a bovi”, pagabile metà dai padroni e metà dai coloni. 129Ivi, pp. 327.
    Fonti delle entrate erano sempre le imposte sui redditi agricoli, o sul bestiame o sulle famiglie impegnate nell’agricoltura in relazione al terreno coltivato e al suo estimo, o sul seminato a grano, quantitativamente potevano variare a seconda della situazione economica che si verificavano anno per anno. Per il 1824 è reintrodotta ad es. la tassa sul bestiame diminuendo in parte quella “sopra i fuochi”, “perché la scarsezza del raccolto de generi annorari percuotendo specialmente le famiglie miserabili, trovino esse un sollievo per questa parte”.130Ibidem  Entrate ogni anno erano previste poi dal dazio sul vino e sulle carni fresche, dagli affitti del forno e del macello, dalle tasse sulle strade provinciali (per la prima volta il bilancio per il 1824) così ripartite “per un terzo sopra i fuochi, per un terzo sopra i bestiami, per un terzo sopra il censo” e che in uscita erano destinate allo stesso uso. Per la manutenzione delle strade comunali e per le spese impreviste e straordinarie il bilancio prevedeva sempre, ma non grandi, disponibilità. 131Ivi, pp. 236 e 252.  
    A dieci anni di distanza dal documento di Pio VII, papa Leone XII stava predisponendo nel 1826 un nuovo documento sull’amministrazione pubblica rinnovando anche il “Riparto de Territori”: efficienza (“comodo e utilità delle popolazioni”) ed economia erano alla radice del provvedimento, specie per quanto riguardava il riordino delle amministrazioni locali, queste infatti avrebbero dovuto funzionare meglio e a costi possibilmente più contenuti.
    Venuti a conoscenza di questo progetto che la Delegazione di Ancona stava elaborando per il governo centrale, Massaccio provò di nuovo, come aveva fatto nel 1815-1817 a chiedere di essere fatto sede del Governo Giurisdizionale. di Staffolo. I motivi di efficienza e di economicità giocavano proprio in suo favore: la centralità delle sedi per tutto il circondario rendeva più efficiente il ruolo del governatore con una presenza più capillare nei paesi di sua competenza: “ogni cittadino potrebbe senza pena accedere al suo giudice. I Comuni sarebbero con più facilità diretti e sorvegliati. I buoni difesi, i rei atterriti […]”.
    La zona, oltre a quella del Governo di Staffolo, per raggiungere un congruo numero di abitanti come si richiedeva, avrebbe potuto essere addirittura allargata comprendendo anche Sasso, Rotorscio e Domo che erano sotto Sassoferrato, Precicchie, Porcarella (Poggio S. Romualdo) e Castelletta sotto Fabriano, Ficano (Poggio SanVicino) e Frontale sotto San Severino, Apiro e Colognola sotto Cingoli. Le ragioni addotte per Massaccio-capoluogo erano avvalorate dal fatto che da_ queste località e paesi la gente affluiva “continuamente e necessariamente in Massaccio per rapporti commerciali”: un’affluenza numerosa e secolare, soprattutto per il mercato e le fiere. 132Ceccarelli R., Il mercato dei lunedì di Cupramontana, in Quaderni Storici Esini, n. II-2011, pp. 133-149.   
    Il progetto di Massaccio fu presentato nelle opportune sedi romane, sembrava che non ci fossero opposizioni pregiudiziali e che anche “il voto della Delegazione di Ancona fosse in favore di Massaccio”. Contemporaneamente (agosto 1827) da Roma si scriveva a Maiolati sollecitando un’azione più convinta facendo sottoscrivere un ricorso da tutte le rispettive magistrature di Massaccio, Poggio Cupro, Scisciano Monte Roberto, Castelbellino e S. Paolo: i tempi erano molto ristretti, ma si poteva provare. L’agente in Roma che curava gli interessi di Massaccio, il Conte Alberto Alborghetti, il 28 agosto scriveva che tutti era ancora segreto e che “tutte quelle ragioni, che possono dirsi, tutte quelle riflessioni, che possono farsi, ed in voce, ed in scritto sono state da me fatte, e dette, a tutti quelli, che ho ritenuto potessero avere una qualche influenza. Di lusinghe ne ho avute moltissime […]”.
    Speranze purtroppo vane per Massaccio e paesi limitrofi: il 26 dicembre 1827 lo stesso Conte Alborghetti scriveva una lettera “riservata” al Gonfaloniere di Massaccio che il papa direttamente aveva deciso di sopprimere il Governo di Staffolo: “È stata mente decisa di N. [ostro] S. [ignore] che togliere qualunque fonte di competenza e di reclamo fra codesto Comune e quello di Staffolo sia in quella Comune soppresso il Governo, e tanto Massaccio, che Staffolo vengono ambedue portate sotto il Governo di Jesi”.133ASCC, Lettere varie (1826-1852).   
    Il Motu Proprio di Leone XII del 21 dicembre aveva dettato “norme communitative” nel titolo quinto (artt.161-227) e pur non accennando direttamente a questi “governi giurisdizionali”, parlava di un “Podestà” presente in ogni comune non sede di Governatore (art.19; l’art.32 ne fissava la competenze di giudice). A Staffolo Francesco Giorgi Alberti, governatore ormai in via di giubilazione, espletava ancora per tutto il 1828 alcune sue incombenze; 134ASCC, Atti 1828, tit. 3°. ASCC, Atti 1829, tit. 110.  a Monte Roberto, Podestà è nominato Emidio Salvati agli inizi del 1829, a Massaccio Paolo Pittori. Dopo l’Editto della Segreteria di Stato del 5 luglio 1831 le competenze del Podestà passarono al Governatore Distrettuale (per la nostra zona aveva sede in Jesi) che doveva essere invitato a ciascuna adunanza dei “Consigli Comunitativi”,135ASCC, Atti 1831, tit. 2°, circolare del 26 luglio 1831, Delegazione di Ancona, n. 4882.  in sua assenza ne avrebbe fatto le veci il Capo della Magistratura locale cioè il Priore. 136ASCC, Ivi, tit. 3°, circolare del 13 settembre 1831, Delegazione di Ancona, n. 7147.   
    Il Governatore di Staffolo per dieci anni aveva fatto da tramite tra le comunità di sua competenza e la Delegazione di Ancona ed aveva riassunto in sé, insieme ad altre, le competenze avute dalla figura del Governatore presente in ogni comunità dal 1816 al 1817, 137ASCC, Motu Proprio, Notificazioni (1816-1820), Notificazione del card. Consalvi del 18 settembre 1816.   Giambattista Leonardi lo era stato per Monte Roberto, Panfilo Franceschini per Massaccio.

  • 135 5.10 REPUBBLICA ROMANA (1849)

    135 5.10 REPUBBLICA ROMANA (1849)

    Gli avvenimenti che anticiparono i pochi mesi della Repubblica Romana (febbraio-giugno 1849), l’elezione di Pio IX (1846), le speranze che ne seguirono, i fatti convulsi verificatisi a Roma e in Italia nel corso del 1848, non produssero in paese grosse novità.
    Il fatto più importante fu quello della costituzione della Guardia Civica secondo il regolamento che era stato redatto e diffuso per tutto lo Stato Pontificio il 30 luglio 1847. Il corpo di Guardia Civica fu organizzato agli inizi del 1848 e posto sotto il comando del Capitano Alessandro Capitelli. Nel bilancio 1848-49 fu previsto l’acquisto di 30 fucili, furono programmate spese per la caserma, materiale di cancelleria, stampati, ecc.
    Tutto doveva funzionare nel migliore dei modi: furono previsti un tamburino, un inserviente, un armiere ed un istruttore. Al ruolo di Istruttore della Guardia Civica fu chiamato Giuseppe Merli di Castelbellino, già caporale e reduce dell’Armata napoleonica e quindi di provata esperienza.
    Il Consiglio Comunale il 12 giugno 1848 approvò la richiesta di quattordici componenti della Guardia Civica che, avendo scelto di vestirsi in uniforme a proprie spese, chiedevano però di essere forniti di daga e giberna a carico del Comune. Ed avevano scelto di farlo “per mostrare il loro leale attaccamento al Governo dell’immortale Pontefice e Sovrano Pio IX”. Questi i loro nomi: Sante. Amatori, Pacifico Barocci, Domenico Chiatti, Pacifico Amatori, Vincenzo Meloni, Pasquale Barcaglioni, Antonio Tesei, Francesco Ceccarelli, Pacifico Barcaglioni, Domenico Moretti, Francesco Zepparoni, Giuseppe Giuliani, Emidio Badiali.
    Come tamburino, non essendoci in paese, fu chiamato Ippolito Santinelli di Rosora, già tamburino della Truppa Militare di Riserva disciolta da quasi due armi. 138Palmolella Marco, “L’albero segato in Majolati”: Vicende della Repubblica Romana, Comune di Majolati Spontini 2004, pp. 105-106.   
    Poco meno di un mese prima, il 20 maggio, il Priore Giovanni Mecarelli e gli Anziani Ridolfo Capitelli e Angelo Scarabotti, attestavano che pur non avendo potuto fare il Comune alcuna offerta per le truppe che partecipavano con i Piemontesi a quella che sarebbe stata la prima guerra d’indipendenza (marzo – luglio 1848), avevano però fornito di vestiario, di daga e giberna e di soldo quindicinale al giovane volontario Cristofaro Camerini che era stato arruolato nella 3a Compagnia, 1° battaglione della la Legione Romana che nei primi giorni di aprile si era messa in marcia verso la Lombardia. 139Ivi, pp. 130-131.   
    Le notizie ufficiali delle fasi delle confuse vicende che Roma stava vivendo, arrivavano in Municipio attraverso i proclami, le notificazioni o gli appelli che venivano direttamente da Roma o da Ancona mentre le autorità comunali cercavano nel modo migliore di mettere in atto le disposizioni superiori.
    Il 21 gennaio 1849 gli elettori della città e della Provincia di Ancona elessero i rappresentanti del popolo per l’Assemblea Nazionale. Monte Roberto faceva parte del terzo collegio elettorale di Jesi che comprendeva i comuni di Jesi, S. Marcello, Monsano, Maiolati, Massaccio, Staffolo, Castelbellino e S. Paolo. 140ASCC, Editti Bandi Decreti 1849, Decreto del Delegato di Ancona del 15 gennaio 1849. L’Assemblea Nazionale, diventata Assemblea Costituente Romana, con il “Decreto fondamentale” del 9 febbraio 1849, “1 ora del mattino”, decideva all’art. 1 che “Il Papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Pontificio” e all’art. 3 che “la forma del governo dello stato romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana”.141Ivi, Decreto del 9 febbraio 1849. 
    Per 1’11 marzo era prevista l’elezione di tutte le Magistrature Municipali esistenti nel territorio della Repubblica secondo il “Decreto sugli ordinamenti dei Municipi” che aveva fatto il 31 gennaio la Commissione Provvisoria degli Stati Romani. 142Ivi, Decreto del Ministro dell’Interno del 10 febbraio 1849 e Decreto sugli ordinamenti dei Municipi del 31 gennaio 1849.  Monte Roberto, come tutti” i Comuni che hanno una popolazione minore di duemila abitanti” doveva eleggere 13 consiglieri che a loro volta avrebbero eletto il Priore e due Anziani.
    Lo stesso giorno che a Roma si insediava il Triumvirato (G. Mazzini, C. Armellini e G Saffi), il 19 marzo, gli eletti dell’11 marzo al Consiglio Municipale di Monte Roberto si riunirono per eleggere la Magistratura, nominando Benedetto Salvati Priore e Francesco Capitelli ed Arcangelo Scarabotti Anziani. 143ASMR,  Consigli (1843-1849), 19 marzo 1849, pagine non numerate. 
    La nuova situazione politica a Monte Roberto aveva cambiato ben poco; il fatto straordinario ed importante fu l’elezione “a suffragio universale”‘ per la prima volta del Consiglio Comunale, non però un “suffragio universale 144AS CC, Editti Bandi Decreti 1849, decreto del 10 febbraio 1849.  come lo intendiamo oggi (uomini e donne senza alcun riferimento ai beni posseduti): votarono infatti i cittadini possidenti maggiori di anni 21, i responsabili di enti morali o di aggregazioni ugualmente possidenti, “escluse le sole aggregazioni di donne”, non votarono “quelli che vivono di mercede giornaliera per opera manuale o meccanica, cioè di salario per opera servile [operai] e di elemosine”. e “tutti i lavoratori mezzadri, e che non possiedono beni immobili”.145Ivi, Decreto sugli ordinamenti dei Municipi del 31 gennaio 1849, artt. 11, 12, 13.   
    Un suffragio dunque universale solo per possidenti: in consiglio non mancarono quindi i Salvati, i Capitelli, gli Amatori, i Mecarelli, ecc. già presenti da decenni nella magistratura del paese.
    Ordinaria amministrazione in questi mesi per la nuova magistratura “democratica”, ma anche un progetto approvato che seppure imitava quanto si andava facendo in altri comuni, fu ugualmente importante per Monte Roberto, quello dell’illuminazione notturna dell’interno del paese, approvato all’unanimità il 29 aprile 1849.
    Le truppe francesi del Gen. Oudinot frattanto avevano attaccato il territorio della Repubblica anche se con alterne vicende; di fronte però al più impegnato intervento francese la sorte sembrava ormai segnata per la giovane Repubblica Romana, la cui Assemblea il 25 aprile aveva sollevato una energica protesta per l’intervento straniero e chiedeva ai municipi e ai circoli popolari una forte e convinta adesione non solo morale.
    Il Consiglio di Monte Roberto si riunisce il 3 maggio con un unico punto all’ordine del giorno: “Adesione alla protesta emessa dall’Assemblea Romana nella seduta del 25 scorso aprile contro l’intervento Francese”.
    Illustrate le circostanze che motivano l’atto di adesione, il segretario Barsimeo Bevilacqua aggiunge: “Cittadini! È questo il supremo momento, che si può decidere della salvezza della Patria. Ma si richiede energia, ordine, unione. Stringiamoci tutti intorno al vessillo Repubblicano, e giurando di difenderlo fin che ci rimanga un soffio di vita uniformiamoci agli altri Municipi, e convalidiamo anche del nostro appoggio la sublime decisione dell’Assemblea, cui il popolo affidò le nostre sorti”.
    Il Consiglio quindi all’unanimità approva l’atto di adesione: “Il Municipio di Monte Roberto, letta e considerata la protesta dell’Assemblea Generale Romana del 25 aprile 1849 vi fa solenne atto di adesione, dichiarandosi devoto al Governo della Repubblica”.146ASCMR, Consigli (1843-1849), 3 maggio 1849, pagine non numerate.   
    L’adesione del Municipio di Monte Roberto e di altri, non fu discussa invece né presa in considerazione dal Municipio di Massaccio, l’adesione del paese fu espressa dal locale Circolo Popolare Cuprense il 2 maggio che dichiarava “di volere concorrere per quanto è nelle sue forze, alla salvezza della Repubblica”.147Manganelli F., Memorie della Terra di Cupramontana, ms., p. 119, Biblioteca Comunale Cupramontana.
    Analogo Circolo Popolare era presente a Monte Roberto del quale facevano parte i fratelli Alessandro e Francesco Capitelli, segnalati nel mese di agosto in due lettere anonime affinché non venissero eletti nella Commissione Comunale Provvisoria che avrebbe sostituito in settembre il Consiglio di osservanza repubblicana. 148Palmolella Marco, op. cit., pp. 169-170, 238,   
    Tra la fine di maggio e gli inizi di giugno le truppe austriache restaurano lo Stato Pontificio nella Provincia di Ancona; Roma resiste ancora per qualche settimana: il 30 giugno si dimettono i Triumviri, il 3 luglio l’Assemblea Nazionale promulga la nuova costituzione, ormai inutile, mentre i francesi occupano la città di Roma.
     Una Commissione Comunale Provvisoria sostituisce a Monte Roberto il Consiglio eletto 1′ 11 marzo: è composto da quattro membri e tranne il pievano don Giuseppe Polidori deputato ecclesiastico, gli altri facevano parte del precedente consiglio, Guglielmo Guglielmi, ora Presidente, Giovanni Mecarelli e Benedetto Salvati già Priore.
    La Commissione Comunale Provvisoria rimarrà in carica fino alla promulgazione dell’Editto della Segreteria di Stato del 24 novembre 1850: il Consiglio è ora composto da 16 membri, un Priore, quattro Anziani e undici consiglieri.
    In una delle ultime sedute della Commissione Provvisoria, in esecuzione dell’ art. 186 del Motu Proprio di Leone XII del 21 dicembre 1817 che prevedeva deputati ai pubblici spettacoli, vengono eletti a quest’ufficio Alessandro Capitelli e Agapito Salvati, quest’ultimo giovane di appena 21 anni. 149ASCMR, Consigli (1850-1859), p. 3, 8 luglio 1850. 
    Si affaccia così alla vita pubblica, per la prima volta, Agapito Salvati (1829- 1897) che dopo aver partecipato, rimanendo ferito, alla battaglia di S. Martino (24 giugno 1859) nel corso della seconda guerra d’indipendenza, fu il primo sindaco di Monte Roberto dopo l’unità d’Italia, rimanendovi per ben 36 anni (1861-1897).