L’intero territorio di Monte Roberto era compreso fino al sec. XIII nell’ambito della Pieve di Morro Panicale che si estendeva anche all’attuale territorio di Castelbellino e di Maiolati. Era una delle sette pievi della diocesi di Jesi, la seconda per ampiezza per un totale di kmq. 40,85. 1Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. II, p. 150.
Molte erano le chiese sparse nel territorio di Monte Roberto, di queste, tranne l’abbazia di S. Apollinare, rimane soltanto il ricordo in qualche toponimo o il nome segnato negli antichi catasti.
Chiesa di S. Silvestro de Curtis, sorgeva in un omonimo fondo; se ne ha memoria oggi nel nome di via S. Silvestro nei pressi del quale era ubicata la chiesa stessa. È ricordata per la prima volta nel 1290 quando già era parrocchiale, ma doveva essere più antica. Verso la prima metà del Quattrocento era distrutta e sostituta da una nuova chiesa con lo stesso titolo costruita a ridosso delle mura castellane. Negli ultimi decenni del Settecento fu demolita per far posto alla nuova chiesa parrocchiale. 2Cherubini A., Le antiche pievi della Diocesi di Jesi, cit., pp. 64-65.
Chiesa di S. Apollinare, ricostruita nel sec. XIII, ancora esistente, di essa si parlerà più ampiamente nelle pagine seguenti.
Chiesa di S. Giovanni di Antignano, era la chiesa dell’omonimo monastero che sorgeva non lontano dall’abbazia di S. Apollinare. Chiesa e monastero, duramente attaccati dai soldati del comune di Jesi nel 1284, sopravvissero per almeno altri due secoli, fino alla metà del XV secolo. 3 Urieli C., :lesi e il suo Contado,vol.I, tomo 2, p. 283.Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol.11, p. 172 e pp. 197-198. Cherubini A., op. cit., pp. 65-66.
Chiesa di S. Antonio di Antignano, nei pressi di quella di S. Giovanni di Antignano di cui era probabilmente una dipendenza: è ricordata dall’attuale via S. Antonio nei pressi di Passo Imperatore lungo la strada provinciale “Planina”. 4Cherubini A, op. cit., pp. 66-67.
Chiesa di S. Elena della Serra, è ricordata in un catasto jesino (nel fascicolo “Monte Roberto”) della seconda metà del Quattrocento. Difficile una sua esatta ubicazione, il toponimo richiama zone sia a destra che a sinistra del torrente CesoIa sia un’area nei pressi della chiesa di S. Giorgio, con tutta probabilità era ubicata in quest’ultima zona. 5Ivi, p. 67.
Chiesa di S. Giorgio, la chiesa è attribuita a volte al territorio di Castelbellino, altre a quello di Monte Roberto, nel luogo dove sorgeva infatti (Borghetto) corre tuttora il confine tra i due comuni; nelle visite pastorali fino al 1747 è compresa nella zona parrocchia di Monte Roberto, dal 1750 in poi – dopo la sua ricostruzione – in quella di Castelbellino. È ricordata per la prima volta nel 1105 e andò in rovina verso la metà del Settecento. Abbazia camaldolese, appartenne poi ai monaci di S. Biagio di Fabriano. 6Ivi, pp. 63-64. Priva del necessario per essere officiata, nel 1726, “niente ha della chiesa se non il nome, serve da granaio e da magazzino”, è quasi una stalla. La situazione non cambia di molto nel 1740: è officiata una sola volta all’anno, provvedono i fratelli Meriggiani, enfiteutici dei beni, che ricevono l’ordine di demolirla. Il 15 novembre 1741 si fa un contratto tra Francesco Meriggiani ed il Monastero di S. Biagio di Fabriano in cui il Meriggiani si obbliga a ricostruire la chiesa. 7ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 230v. Viene ricostruita verso il 1747, poco distante, in contrada Montali, nei pressi della Villa Meriggiani; nel 1750 è abbastanza decente. 8Urieli C., Archivio Diocesano Jesi – Visite Pastorali, ds. 1989 p. 214.
Buona parte delle chiese è di Origine monastica, alla presenza operosa dei monaci benedettino-camaldolesi si deve la rinascita economica e sociale della Valle dell’Esino, essi inoltre hanno avuto un ruolo non indifferente nella “cura d’anime” nelle zone dove erano presenti.
Il sistema organizzativo ecclesiastico delle pievi realizzatosi contemporaneamente alla loro presenza andò dissolvendosi con il formarsi dei castelli nei sec. XII-XIII.
Si assiste così nel corso del Trecento al “radicale rinnovamento della struttura territoriale della diocesi di Jesi”, “nascono pertanto altrettante parrocchie quanti sono i castelli del Contado”, mentre vengono meno tante altre piccole parrocchie rurali facenti capo ad altrettante chiese. 9Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. II, pp. 141-169.
Da ricordare inoltre come le abbazie benedettino-camaldolesi conoscano dal Trecento al Quattrocento una crisi irreversibile che le porterà a ridurre di molto la loro presenza numerica e patrimoniale, molti dei loro beni passano infatti al Vescovo e al Capitolo della Cattedrale, i terreni dell’Abbazia di S. Apollinare, ad es., diventano proprietà del Priore della Cattedrale di Jesi, l’Abbazia di S. Benedetto dei Frondigliosi di Castelplanio e relativi beni del Vescovo di Jesi.
Una profonda trasformazione si verifica nella struttura della chiesa jesina in questi secoli segnando direttrici e costanti, assetto territoriale, proprietà fondiarie ed enfiteusi ecc., che arrivano fino all’Ottocento; la divisione parrocchiale secondo i castelli invece rimarrà sostanzialmente invariata fino ai nostri giorni.
Per Monte Roberto già nel 1290 troviamo che la chiesa di S. Silvestro di Curtis è detta parrocchiale una delle tante parrocchie del sistema plebale. È del 1381 invece un documento che parla di un “Presbiter Montis Roberti” insieme a “presbiteri”, “pievani” degli altri castelli del Contado: 10Ivi, p. 156. non si elencano più le chiese e i relativi titoli secondo la struttura delle sette pievi usata fino allora, segno evidente che già il sistema parrocchiale secondo il territorio dei castelli, almeno per quanto riguarda il territorio rurale del contado, era un dato di fatto.
Categoria: 6 – VITA RELIGIOSA
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141 6.1 DALLA PIEVE ALLA PARROCCHIA
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143 6.2 I PARROCI E IL CLERO
Probabilmente don Pietro Brancoli da Gualdo, ricordato, come cappellano in Monte Roberto nella chiesa di S. Silvestro, il 30 ottobre 1553, 11ASCMR, Trasatti (1529-1568), c. 197r. non era il parroco, dal titolo non sembrerebbe, la serie dei parroci comunque inizia, dai nomi conosciuti, l’anno dopo con don Costantino Scevola da Spello che prese possesso della parrocchia il 13 luglio 1554; 12Zenobi C., L’episcopato di Mons. Gabriele del Monte (1554-1597), Jesi 1989, p. 181. non conosciamo l’identità dei parroci precedenti, sappiamo però che erano presenti in paese almeno da due secoli.
Don Costantino non conosceva quasi affatto il latino, era poco adatto alla cura d’anime, non spiegava il vangelo alla domenica e non faceva il catechismo ai bambini, teneva però in un certo buon ordine la chiesa parrocchiale ma doveva meglio conservare registri dei matrimoni e dei battesimi 13Ivi, pp. 81, 177e 180. prescritti dal Concilio di Trento (Sessione XXIV, 11 novembre 1563). Per don Costantino l’essere parroco, come per i titolari di analoghi uffici nel suo tempo, era più un godere del beneficio, cioè delle rendite finanziarie legate alla sua parrocchia, che non una missione pastorale, la nomina del resto l’aveva avuta da mons. Pietro del Monte, “esperto in cose militari più che in uffici della Chiesa 14Urieli C., La Chiesa di Jesi, Jesi 1993, p. 252. nel breve tempo del suo episcopato jesino. Per far fronte ai suoi doveri pastorali veniva invitato formalmente a provvedersi di un idoneo coadiutore approvato dal vescovo, cui affidare il catechismo, la predicazione domenicale e l’amministrazione dei sacramenti.
Nel 1585 come successore di don Costantino troviamo don Servolo Scevola da Spello, probabilmente suo nipote o parente stretto. Il parroco non era l’unico sacerdote del paese, c’era anche il cappellano della Chiesa Nuova o Chiesa di S. Maria del Buon Gesù, costruita nel 1567, con specifici obblighi di officiarla su mandato della Comunità: il cappellano in genere, come vedremo, era anche maestro nella locale scuola. Come cappellani in questo scorcio di secolo troviamo don Ercole Fiorani 15 ASCMR, Consigli (1608-1616), cc. 99r/v, 9 aprile 1613. e don Giovanni Santi. 16Ivi, c. 52. L’ufficiatura della Chiesa era concessa anno per anno dal Consiglio della Comunità; venivano preferiti, quando c’erano, i sacerdoti novelli nativi di Monte Roberto: nel 1613 l’ebbe don Domenico Polidori 17ASCMR, Consigli (1608-1616), cc. 99r/v, 9 aprile 1613. che aveva celebrato la prima messa nel novembre dell’anno prima, 18Ivi, c.90r. l’incarico gli sarà riconfermato l’anno successivo a patto che avesse avuto la facoltà di confessare. 19Ivi, c:141 v.
La celebrazione della messa di neo-sacerdoti sia di Monte Roberto che di Castelbellino veniva accompagnata da un dono delle due comunità invitate alla cerimonia: don Angelo Colini nell’estate del 1603 ebbe dalla Comunità di Monte Roberto 3 libbre di cera, 4 coppe di grano e 1 soma di vino, 20ASCMR, Sindacati (1602-1608), cc. 53r/v. a don Simone Rinaldi di Castelbellino il Consiglio di Monte Roberto decise di fare “l’elemosina come agli altri e in caso che non si abbia vino si supplischi con il grano”; 21ASCMR, Consigli (1608-1616), cc. 86r/v, 26 agosto 1612. Cinquant’anni prima ad un sacerdote novello di Castelbellino fu offerto un cero (Entrate e Uscite (1558-1586), c. 60r, settembre-ottobre 1563), analoghi doni in quegli anni furono fatti a neosacerdoti di Monte Roberto (Ivi, c. 17r, 1559; c .99r, 1595) e a frati di Castelbellino (Ivi, c. 121r, 1569). don Dionisio Capitelli di Monte Roberto, monaco benedettino, nel 1667 ricevette in dono una soma di grano e una soma di vino. 22ASCMR, Consigli (1665-1676), cc. 52r/v, 29 settembre 1667.
Se oggi assistiamo ad un progressivo ridursi delle presenze sacerdotali nei piccoli paesi anche nella titolarità delle parrocchie, in passato esse erano ben più numerose: a Monte Roberto nel 1726 c’erano 6 preti, un diacono e 3 chierici (a Castelbellino 4 preti e un diacono), nel 1740 8 preti e 4 chierici (Castelbellino 4 preti), nel 1755 i preti erano 11 (Castelbellino 5), 4 nel 1869 (Castelbellino 3) e nel 1896 (Castelbellino 2).
In genere erano i figli delle famiglie più abbienti che venivano avviati alla vita ecclesiastica, alcuni potevano far carriera, altri per lo più rimanevano in paese trovando sostentamento nei beni di famiglia, qualche volta erano occupati come maestri di scuola concorrendo per cattedre in altri paesi, spesso facevano parte del Consiglio di Monte Roberto.
Erano responsabili di qualche confraternita e poteva venir loro affidata l’ufficiatura in altari laterali della chiesa parrocchiale senza che il parroco vi potesse intervenire; responsabili anche di particolari raccolte di offerte, come ad esempio per le Anime Purganti, ne rispondevano direttamente al Vescovo o alle confraternite stesse.
Non infrequenti erano i dissapori e le liti tra gli stessi sacerdoti per la divisione e la distribuzione degli emolumenti derivanti da alcune prestazioni liturgiche; qualche caso di vita poco esemplare era punito dal vescovo magari con l’obbligo di esercizi spirituali. Se qualche sacerdote lasciava desiderare una migliore testimonianza, altri ce n’erano veramente degni di venerazione come don Luigi Guglielmi descritto dal sindaco Filippo Salvati nel 1809 come “l’uomo più savio, il più ben educato, il più caritatevole, il più probo che sia nel mio comune, a sentimento di chi ha la sorte di conoscerlo”.23 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p. 218, lettera al Vice Prefetto del Distretto di Jesi, del 19 settembre 1809.
Dal 1643 al 1649 fu parroco don Teodorico Leoni di una nobile famiglia di Staffolo, di cui alcuni esponenti ebbero cariche pubbliche a Monte Roberto nel corso del Seicento e Settecento acquistandovi proprietà fondiarie ed immobiliari.
Ottenne la parrocchia di Monte Roberto nel 1681 don Giovanni Bernardino Ferranti di Massaccio (Cupramontana). Aveva conseguito la laurea in diritto civile e canonico presso l’Università di Macerata a soli 22 anni. Sacerdote nel 1658 insegnò a Castelplanio, Massaccio, Monsanvito e nel Seminario di Jesi. “Dura tutto di – scriveva il Menicucci nel 1790 – il grido dell’arte sua singolare nell’insegnare ai giovani le belle lettere”. 24Menicucci F., Dizionario Istorico de Cuprensi-montani, in Antichità Picene di Giuseppe Colucci, vol. IX, Fermo 1790, pp. CXIV-CXV. Fece parte di numerose accademie e letterarie, dei Germoglianti e degli Inariditi di Massaccio, dei Disposti e dei Riverenti di Jesi, dei Sorgenti di Osimo e dei Filergiti di Folli. Governò la parrocchia “con somma edificazione di quel popolo” fino al marzo 1701.
Alla morte di don Pier Francesco Sebastianelli nel 1736, che aveva retto la parrocchia per 35 anni, gli succede don Girolamo Noni, il posto comunque gli viene conteso da don Marino Moriconi da dieci anni parroco a S. Maria Nuova, che ebbe la parrocchia “per giustizia” dopo un ricorso a Roma; 24bisMenicucci F., Varie notizie istoriche di Cupra Montana o sia Massaccio, vol. I, cc. 19v e 20r. Fondo Menicucci, Archivio Storico Parrocchiale S. Leonardo, Cupramontana. il consiglio della Comunità però si era schierato dalla parte di don Girolamo, “è possidente di beni patrimoniali”, si osserva, e “con l’entrare in questa Pieve [può] far risplendere la Chiesa parrocchiale con abbellirla di fabbriche, quanto con dotarla di decenti suppellettili”. 25ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 9r, 3 aprile 1736. Alla prematura morte di don Marino Moriconi la parrocchia venne affidata nel 1737 a don Lucio Rocchi che oltre ad essere pastore zelante e capace fu per diversi anni confermato dal Consiglio della Comunità quale maestro, fino alla sua rinuncia, come maestro fatta il 30 aprile 1752. 26Ivi, c.270r.
Alla generosa attività del parroco don Carlo Antonio Rocchi che sostituì Don Lucio nel 1765, si deve la costruzione della nuova chiesa parrocchiale iniziata nel 1769 ed ultimata nel 1789, nonostante che alla morte di don Carlo Antonio, avvenuta l’anno prima, gli eredi abbiano portato via tutto il legname, sia quello lavorato come i telai per le finestre, sia quello usato per le armature e nonostante che esso fosse stato acquistato con il denaro dato in elemosina dalla Comunità. 27 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 90r. 27 aprile 1788.
Un carattere deciso, forse un po’ scontroso, ebbe don Paolo Breccia parroco dal 1806 al 1830: i tempi certo non lo favorirono nel renderlo più duttile, dai modi poco diplomatici, non rari erano gli scontri con le autorità politico-amministrative sia a livello comunale che distrettuale, dovettero ben conoscerlo, se non altro per le lettere inviate dal sindaco Filippo Salvati, il Vice-Prefetto distrettuale di Jesi, 28ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), n. 36 dell’1.2.1809, pp. 134-135; n. 230 del 9.7.1809, pp. 217-219; n. 270 dell’1.9.1809, pp. 235-237. il Prefetto del Dipartimento del Metauro 29Ivi, n .39 del marzo 1809, pp. 156-158. ed anche il ministro del Culto. 30Ivi, n. 290 del 14 dicembre 1808, pp. 111-113..
Era giovane sacerdote don Paolo Clementi quando divenne parroco di Monte Roberto nel 1852, aveva celebrato la prima messa nel 1848. Vi rimase fino all’alba del nuovo secolo: i parrocchiani ne sperimentarono la bontà del pastore e la fine intelligenza del letterato. Don Paolo, fervido cultore delle lettere italiane e latine, poetava in latino, vero “maestro di latine eleganze”; era lo zio di Luigi Bartolini (1892-1963), artista poliedrico di Cupramontana che così lo ricorda: “… Zio Don Paolo…/ Don Paolo Clementi/ che scriveva versi in latino/ di primo mattino, /passeggiando a capo chino, / lungo e largo per il giardino/…”. 31Barteolini L., Pianete, Vallecchi, Firenze 1953, p. 247. Tra i più dotti sacerdoti della diocesi faceva parte di un cenacolo di letterati tra i quali don Antonio Zanotti (1814-1888) e mons. Giovanni Annibaldi (1828-1904) entrambi di Cupramontana di cui amava circondarsi il card. Carlo Luigi Morichini vescovo di Jesi nei momenti di riposo nella villa di Castelplanio. 32Urieli C., Cattolici a Jesi dal 1860 al 1930, Jesi 1976, pp. 25-60, 115. Urieli C., Il Cardinale Carlo Luigi Morichini, Jesi 2001, p. 50. Diede alle stampe non poche delle sue composizioni in latino 33Urieli C. (a cura di), La Diocesi difesi 1978, Jesi 1979, p. 437. ricevendo riconoscimenti e plauso anche in versi. 34Novelli Nazzareno, Saggi Poetici, Tip. Romagnoli, Castelplanio 1895, pp. 34-39. Novelli Nazzareno, Nel giubileo sacerdotale di Don Paolo Clementi parroco di Monte Roberto, Tip. Romagnoli, Castelplanio 1898, pp. 8.
Don Vincenzo Ciarmatori resse la parrocchia dal 1900 al 1936, era nato a S. Marcello nel 1869. “La sua azione pastorale assunse notevole importanza in campo diocesano quando, sempre restando parroco a Monte Roberto fu presidente della giunta diocesana di Azione Cattolica, operando attivamente per ricostruire, dopo lo sconquasso della guerra le varie organizzazioni cattoliche in stretta collaborazione con don Angelo Cappannini e don Angelo Battistoni. Notevole infatti era stata la sua attività anche in campo sociale, con l’istituzione nella sua parrocchia di due Unioni Agricole, l’una a Monte Roberto e l’altra a S. Apollinare. All’inizio del 1915 fondò nel paese la prima delle molte Case Rurali sorte in diocesi in quel periodo, avendo come collaboratore nella stessa Cassa don Luigi Nisi parroco di Castelbellino”. 35Rivista Diocesana, anno XXXII, Jesi 1984, p. 128. Urieli C., Cattolici a Jesi dal 1860 al 1930, cit., pp. 367, 369, 412.
Era un profondo conoscitore di Dante, citava a memoria interi brani della Divina Commedia. Scrisse anche un poemetto in tre canti in terzine sulla S. Casa di Loreto “Storia di un volo senza ali e senza motore”.36Tip. F.11i Rosati, Montemarciano 1930, pp. 48; sul frontespizio xilografia di Bruno da Osimo. Fu ristampata in Un ponte tra l ‘ appennino e l’infinito, a cura della Pro Loco di Monte Roberto, s.d., pp. 32-50.Morì il 6 febbraio 1942 a Jesi
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147 6.3 I PREDICATORI DELLA QUARESIMA
Il Concilio di Trento aveva sottolineato come fosse particolare dovere dei vescovi, degli arcipreti dei pievani e di tutti coloro che avessero cura d’anime nelle parrocchie, l’ufficio della predicazione (Sessione V, 17 giugno 1546, decreto secondo); sullo stesso argomento prescriveva poi, nel 1563, come specifico obbligo per i vescovi e per i parroci la predicazione “almeno tutte le domeniche nelle feste solenni, durante la quaresima e l’avvento del Signore, ogni giorno, o almeno tre volte la settimana, se lo credono utile, ed inoltre ogni volta che ciò possa essere stimato utile” 37Alberigo Giuseppe (a cura), Decisioni dei Concili Ecumenici, Utet, Torino 1978, p. 603 (Sessione XXIV, 11 novembre 1563, decreto di riforma, canone IV).
Non tutti i parroci misero in atto subito la prescrizione conciliare, anche se il vescovo di Jesi mons. Gabriele del Monte nel 1567 nella sua lettera ai sacerdoti e ai fedeli per la quaresima ne evidenziava l’importanza: “[…] per lo offitio della santa predicazione i populi si excitano a devotione”; 38Zenobi C., L’episcopato jesino di Mons. Gabriele del Monte, cit., p. 165. tuttavia ben presto si organizzarono corsi di predicazione nei tempi più importanti dell’anno in avvento e in quaresima.
La predicazione quaresimale acquistò particolare rilevanza non solo nelle grandi’ chiese della città dove si aveva l’occasione di ascoltare provetti predicatori alla presenza, nella cattedrale, della magistratura cittadina e del vescovo, ma anche nelle parrocchie dei castelli. Se nella città la predicazione poteva acquistare specie nel Seicento, un sapore coreografico, nei paesi era un avvenimento considerevole che coinvolgeva l’intera comunità. Nel bilancio annuale era previsto l’onorario per il predicatore, il Consiglio stesso della Comunità lo sceglieva e in un certo senso vigilava sul migliore andamento della predicazione e sull’impatto che essa aveva sul popolo.
Il Consiglio di Monte Roberto al predicatore della quaresima del 1602 assegna 30 fiorini e 25 baiocchi; 39ASCMR, Sindacati (1602-1608). 19 scudi e 87 baiocchi nel 1609; 40ASCMR, Entrate e Uscite (1609-1620), c. 49v. nel 1611 predica p. Arcangelo Martarelli da Montecarotto 41ASCMR, Consigli (1608-1616), cc. 59v/60r, 16 marzo 1610. e gli vengono dati 20 scudi e 70 baiocchi; 42ASCMR, Entrate e Uscite.(1609-1620), c. 56v.per gli anni successivi l’onorario è di 21 scudi, diventano 13 e 20 nel 1616: il comune però si accolla le spese per l’affitto della casa, per le fascine e la legna per il riscaldamento e l’olio per l’illuminazione.
Verso la fine del secolo troviamo che da anni alla conclusione della predicazione quaresimale “per carità” si dava al predicatore un agnello; il Consiglio nella seduta del 3 maggio 1694 decide interrompere la regalia “per non metterla in uso [cioè farla diventare una consuetudine], tanto più che non l’abbiamo in tabella” per rendere esecutiva la decisione tuttavia si doveva chiedere il nulla-osta al Governatore. 43ASCMR, Consigli (1676-1698), cc: 215r/v e 216r.
Qualche anno più tardi nel 1712, di nuovo “l’agnello [è] dato per carità al Predicatore”, non diventa però un fatto abituale tanto che tre anni dopo, per questo omaggio, non si prevede alcunché in bilancio: “Son di parere, dice il relatore in Consiglio, non darglisi veruna recognitione o regalo, e chi vorrà darglielo gli lo dij del proprio”. 44ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 79r, 21 luglio 1715. Per tutto il Settecento l’onorario del predicatore è di 12 scudi, non molto forse, ma anche il parroco partecipava alle spese per la sua ospitalità in paese.
La predica era quotidiana e al suono delle campane il popolo gremiva la chiesa. Non tutti i predicatori purtroppo rispondevano alle attese della gente, accadeva raramente ma accadeva, e allora se ne di discuteva anche nel Consiglio della Comunità: il popolo va in chiesa ma non sempre trova “chi dispensi loro il Pane evangelico’. Si verifica nella quaresima del 1755: il predicatore p. Boni domenicano, nonostante l’elemosina e quanto gli “somministra il parroco” si prende la libertà di lasciare delle prediche “con pregiudizio e scandalo del popolo”, il consiglio decide allora all’unanimità “che gli emolumenti si diano in proporzione alle fatiche e non per andare a spasso”. 45ASCMR, Consigli (1735-1755), cc. 270 e 272r, 20 aprile 1755.
Col napoleonico Regno d’Italia (1808) dal bilancio comunale viene cancellato l’onorario per il predicatore della quaresima, sarà ripristinato con il ritorno del governo pontificio (1815). Avvento e quaresima comunque venivano ugualmente solennizzati con la predicazione.
Nel dicembre 1808 il sindaco Filippo Salvati si rivolgeva direttamente al Ministro del Culto, “Senta Sig. Ministro e poi stupisca”, segnalando come il predicatore dell’avvento, p. Carlo da Staffolo, minore riformato del convento della Romita di Massaccio, scelto dal parroco, abbia proferito “parole piccanti ed offensive verso il pubblico, ed abbia fatto un’invettiva dal pulpito al popolo con sosquipedali (sic) ed altisonanti parole talmente improprie e indecenti dando generalmente fra le altre cose degli asini e birbanti a tutti gli ascoltatori” e tutto ciò, sottolineava il sindaco, con l’accordo più o meno tacilo del parroco don Paolo Breccia. “Il fatto fu serio e di molto scandalo”, molti si meravigliarono e ne parlarono con il sindaco, “come possa commettere sì forti insulti un Oratore che ha vantato dal pulpito di aver predicato nelle città capitali e metropoli”. 46ASCMR, Registro di Lettere (1808-1809), p. 111, n. 290, 14 dicembre 1808.
Negli anni successivi il controllo sui predicatori da parte del governo si fece più meticoloso. Una circolare prefettizia del Dipartimento del Metauro (Ancona) del 12 novembre 1812, n. 41592, prescriveva che “nessun predicatore potrà intraprendere il corso delle sue Orazioni senza essersi prima presentato a questa Prefettura e senza aver prima riportato la politica placitazione che verrà rilasciata sopra la licenza dell’Ordinario”, cioè del Vescovo.
Nel febbraio 1814 il Prefetto Provvisorio Benincasa attenuava la prescrizione concedendo ai Podestà la facoltà di dare la “politica placitazione”; nel successivo novembre invece richiamò alla più stretta osservanza della circolare del 1812, anzi con una ulteriore circolare “riservatissima” si ordinerà “che ogni Comune ove si predicherà nell’imminente avvento, un impiegato od altra intelligente e proba persona di conosciuto attaccamento al Governo, assista alle prediche con tutta la possibile attenzione e sulle deposizioni da lui fatte di certa scenza (sic) e coscenza e sull’analisi delle parole e proposizioni proferite qualora l’oratore si renda meritevole di politica censura sarà dalla Superiorità giudicato”. 47ASCC, Atti, 1814, tit. 1°, Culto; circolari della Prefettura del Dipartimento del Metauro del 15 febbraio, 11 e 20 novembre 1814.
Da non confondersi con la predicazione quaresimale o in tempo di avvento, le missioni al popolo che si tenevano di tanto in tanto: un corso di predicazione intensiva su tutto il territorio della parrocchia con particolari privilegi e facoltà da parte dei predicatori stessi. In ricordo delle missioni tenute a Monte Roberto nel giugno 1694 si costruì una croce di legno posta lungo la strada nei pressi del paese, 48ASCMR Consigli (1676-1698), c. 216v, 3 giugno 1694. il luogo in genere era quello dove veniva dato il saluto o il commiato ai missionari. Per le missioni del 1770, predicate da p. Luigi da S. Remo, minore osservante riformato e da altri frati dello stesso ordine, il Comune si impegnò ad offrire legna, olio e generi alimentari. 49ASCMR Consigli (1766-1780), cc. 95v e 96v, 16 ottobre 1770.
Solo nel 1867 il Consiglio Comunale decise, con un solo voto di maggioranza di sopprimere definitivamente la spesa, che era di £. 63,84, “per l’onorario del predicatore quaresimale”, per due ragioni, “per il cattivo stato finanziario in cui trovasi il Comune […] e per il miglioramento della condizione economica del parroco a confronto di quella di una volta”. 50ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1866-1876), p. 57, 31 gennaio 1867. -
151 6.4 DEVOZIONI E FESTE
La vita religiosa e la pietà popolare non hanno potuto e non possono prescindere da alcuni forti momenti di aggregazione come quelli delle feste.
Esse, diventate tradizioni, hanno formato e delineato lo specifico carattere religioso di una comunità.
Quella di Monte Roberto era caratterizzata da una sentita devozione al Crocifisso, a S. Silvestro, alla Madonna di Loreto e ad altri Santi. -
151 6.4A FESTA DEL CROCIFISSO.
L’immagine del Crocifisso venerata nella chiesa parrocchiale presenta “caratteri artistici romanici o primo Rinascimento per cui può essere fatta risalire al sec. XVI o XVII”. 51 II Crocifisso di Monte Roberto. Un’intelligente opera di restauro, in “Voce della Vallesina” n. 3 del 21 gennaio 1973, p. 3. Diocesi di Jesi, III Mostra di Arte Sacra nella Vallesina, Jesi 1983, p. 122. Il restauro effettuato nel 1972 ha permesso di rilevare questi dati ed ha fatto ritornare anche il Crocifisso alla sua originaria bellezza, verso di esso la devozione del popolo di Monte Roberto è secolare. In tutti i momenti di particolari difficoltà per l’intera comunità il ricorso al Crocifisso era un fatto ovvio e scontato.
Ad organizzare la festa e la processione con l’immagine del Crocifisso, che avveniva solo in circostanze eccezionali, era la Confraternita del SS. Sacramento e del Rosario che puntualmente riceveva un contributo da parte del Comune.
Una solenne processione con l’immagine del Crocifisso si fece nell’aprile del 1741 dopo il terremoto di S. Marco (24 aprile) che distrusse, parte del paese, si ricorse alla sua intercessione “acciò ci liberi dal liberi dal flagello del terremoto”, allo stesso scopo si fece celebrare anche una solenne liturgia nella chiesa di S. Maria della Pietà. 52 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), cc. 71r (3 scudi e 24 baiocchi per la processione, 90 baiocchi l’ufficio in S: Maria della Pieta da parte della pubblica amministrazione).. Nel giugno dello stesso anno il Consiglio della Comunità decide di fare la spesa per 12 libbre di cera per il Crocifisso e far “celebrare un offitio Generale nella nostra chiesa della Madonna della Pietà, con quella celerità possibile, in suffragio delle Anime purganti, acciò mediante esse et il patrocinio della SS ma Vergine, questo luogo resti libero dalle scosse di terremoto e da qualunque altro castigo”. 53 ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 84v, 1 giugno 1741.
Nel 1758 si verificarono molti casi di pleurite, “per muovere [questo] flagello che con mortalità infesta il paese” il Consiglio decide di fare una solenne processione con l’immagine del Crocifisso che da 17 anni non veniva portata fuori della chiesa, 54 ASCMR, Consigli (1756-1766), e. 71r, 23 aprile 1758.la data scelta fu quella della festa dell’Ascensione, occorreva però il permesso del Vescovo che ben volentieri lo concesse. 55 ASCMR, Registro delle lettere dei Signori Superiori… (1703-1795), c. 120r. La festa e la processione furono precedute da un triduo con l’esposizione dell’immagine del Crocifisso, il Comune partecipò alle spese con 6 scudi per la cera. 56 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 156r.
II 23 aprile 1769 il consiglio “per implorare l’ajuto Divino nelle presenti calamità, colle quali ci visita la Divina Misericordia, con Pioggie continue in gran copia perlocché, si vengono giornalmente slamarsi il terreno di queste pertinenze, e diroccarsi li muri del Paese, e cadere molte case, e del Castello medesimo, e della Campagna; ed altresì essendoci delle malattie; [ha] considerato opportuno ricorrere alla Misericordia di Dio perché ci liberi da ogni male, e a tale effetto farsi un Triduo in questa Chiesa Parrocchiale di S. Silvestro col esporsi l’Immagine del SS.mo Crocifisso di questa Comunità”. A questo scopo si decide ancora la spesa per 10 libbre di cera. 57 ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 73r.
Il contributo per la cera era sempre richiesto al Comune dalle confraternite del SS.mo Sacramento e del Rosario nella ricorrenza della “festività del Santissimo Crocifisso per vieppiù impegnare Sua Divina Maestà tenere lontano dalle nostre campagne il flagello della grandine”. Memorabile fu infatti una tempesta di grandine del 1733, in queste circostanze si accendevano lumi davanti all’altare del Crocifisso, l’immagine veniva scoperta e si recitavano preghiere dal popolo che riempiva la chiesa: era questa una usanza antica, “si è sempre praticata continuamente”, osservava il sindaco Filippo Salvati nel 1809. 58 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), P. 218, n. 230 del 19luglio 1809.
Nel 1790 le confraternite del SS.mo Sacramento e del Rosario decisero di incrementare la devozione al Crocifisso fissando la festa all’ultima domenica di maggio facendola precedere da un triduo di predicazione e di preghiera: il Consiglio della Comunità invita alla festa 5 sacerdoti “forastieri” offrendo loro uno scudo (20 baiocchi per ogni messa). 59 ASCMR, Consigli (1780-1793), cc. 121v e 123r, 24 maggio 1790.
Due anni dopo nel 1792 fu celebrata una festa straordinaria, il Governatore per tutelare l’ordine pubblico fece intervenire da Jesi una squadra di Dragoni. Per l’occasione nella nuova chiesa parrocchiale fu cantato “Il Trionfo di Davidde”, oratorio in musica composto da don Niccolò Bonanni maestro di cappella della Collegiata di S. Leonardo di Massaccio. Nel 1795 il Comune invita il locale macellaio ad organizzare uno “steccato” di 10 buoi in occasione della festa del Crocifisso: 60 ASCMR, Trasatti (1788-1802), 1 aprile 1795. c’erano dunque non solo manifestazioni religiose ma anche momenti di divertimento popolare. Con il nuovo secolo la data della festa venne spostata in agosto: il 31 agosto 1802 si celebra la festa con una presenza eccezionale, almeno per i nostri paesi, quella della Banda musicale della Truppa Papale di stanza a Jesi, il pranzo è pagato dal comune. 61 ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 80v.
Nel 1805 in occasione sempre della festa del Crocifisso si ruppero le campane che necessitarono di una nuova fusione realizzata da Andrea della Noce, napoletano, per una spesa di scudi 32,50 sostenuta dalla pubblica amministrazione. 62 ASCMR, Consigli (1794-1808), cc. 150v, 151r/v, 7 luglio 1806.
La devozione per il Crocifisso è sempre grande fra la popolazione di Monte Roberto: la festa si tiene di nuovo, nel 1809, nell’ultima domenica di maggio e si fanno celebrare messe in suffragio dei benefattori defunti con le offerte raccolte per le Anime purganti. 63 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p. 185, 12 maggio 1809. Intanto la Prefettura del Dipartimento del Metauro aveva in quello stesso anno sospeso le questue in grano, granoturco e mosto, il sindaco Filippo Salvati supplica il Prefetto affinché rimangano le questue di S. Antonio e di S. Vincenzo e quella del Crocifisso che si fanno da tempo antichissimo, “se venissero soppresse, dice il sindaco, ci sarebbe malcontento tra le gente”. 64 Ivi, p. 215, 12 luglio 1809.
Nel 1848, il parroco don Giuseppe Polidori “bramoso d’accrescere sempre più ne’ suoi Parrocchiani la devozione verso la prodigiosa Immagine del SS. Crocifisso”, chiede al card. Cosimo Corsi, vescovo di Jesi; “a volersi degnare di concedere l’indulgenza di 100 giorni per ogni volta che i fedeli visiteranno l’altare, ove sta riposta la detta Immagine, ed assisteranno alle funzioni relative alla medesima”. Il 19 luglio il cardinale, da Castelplanio presso la Badia di S. Benedetto ove stava trascorrendo i mesi estivi, accordava “l’indulgenza di 100 giorni a tutti quei fedeli dell’uno e dell’altro sesso i quali degnamente disposti nell’anima reciteranno avanti l’immagine del SS. Crocifisso tre Pater, ed Ave pregando Sua Divina Maestà secondo le nostre intenzioni”.
Intanto alla Confraternita del SS. Sacramento e Rosario che organizzava la festa, si era affiancata l’Opera Pia SS. Crocifisso che per oltre mezzo secolo si prenderà cura degli aspetti economici della festa ed anche di chiedere i relativi permessi anche all’autorità ecclesiastica.
Nel 1854, la festa riportata nel mese di agosto, si celebra il 27 con una “processione straordinaria” ed “un’Orazione Panegirica di don Pietro Pellegrini, Canonico della Basilica Lauretana”.
L’11 settembre 1855 il Consiglio Comunale all’unanimità fa voto all’immagine del SS.mo Crocifisso “onde Sua Maestà voglia degnarsi per sua infinita misericordia a far cessare il flagello del Cholera che miete vittime in questo comune”. Il votò consisteva nel far celebrare per 10 anni continui il 29 settembre, a cominciare dal 1856, “una messa solenne a organo nell’altare del Crocifisso con intervento della Magistratura in forma pubblica e l’offerta di 12 libre di cera in falcole”. Al Crocifisso, si afferma, “ricorreremo con viva fiducia in tutte le nostre calamità, ed in tutti i nostri bisogni pubblici e privati”. 65 ASCMR, Consigli (1850-1859), pp. 262-263.
Il voto alla scadenza del decennio fu rinnovato dal Consiglio Comunale nella seduta del 16 novembre 1865; sia nel 1855 che nel 1865 a motivare le decisioni comunali furono due istanze “coperte da firme di parecchi cittadini”. Il consigliere Pasquale Barcaglioni suggeriva che si decidesse per un voto perpetuo più che decennale, Guglielmo Guglielmi, altro consigliere, invece era per il rinnovo decennale “sembrandogli che nelle risoluzioni dei corpi morali debba evitarsi per quanto è possibile la perpetuità”; la proposta del Guglielmi fu approvata all’unanimità mentre il Barcaglioni si augurava che il voto venisse poi rinnovato alla nuova scadenza. 66 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1865-1866), pp. 73-74. La sua però era solo una speranza: dieci anni dopo, presente ancora il Barcaglioni in Consiglio Comunale e forse perché non ci fu alcuna istanza, nessuno si ricorda di prendere in considerazione il rinnovo del voto che veniva così a perdere ogni vincolo di obbligo e di continuità per la pubblica amministrazione. 67 ASCMR, deliberazioni Consigliari (1866-1876), nessuna delibera ne tratta tra il 1875 e il 1876.
Attualmente, pur celebrandosi ogni anno in agosto, celebrazioni più solenni con la processione con l’immagine del Crocifisso si fanno ogni cinque anni. Una devozione secolare per il Crocifisso “miracoloso” che il tempo non ha scalfito.
In occasione delle celebrazioni del 2010 la Parrocchia ha voluto ricordare il percorso storico di questa devozione e lo stretto legame con la popolazione del territorio e non solo, pubblicando un opuscolo La devozione al SS. Crocifisso come testimonianza di radici cristiane profonde e condivise; la civica amministrazione invece, sostenendo metà delle spese, ha realizzato l’illuminazione perenne della torre campanaria. -
154 6.4B FESTA DI S. SILVESTRO
S. Silvestro, papa dal 314 al 335, è il patrono del Comune, titolare della parrocchia, la sua festa cade il 31 dicembre. Per secoli la pubblica amministrazione ha partecipato con l’offerta di cera per le “luminarie”: nel 1602 furono 15 le libbre di cera offerte per le “luminarie di S. Silvestro”, 68 ASCMR, Sindacati (1602-1608), c. 57r. quasi due secoli dopo, nel 1792 le libbre di cera erano 10, in altri momenti erano state soltanto 6.
Era anche consuetudine immemorabile che in quel giorno la Magistratura della Comunità al completo e cioè “I Quattro di Residenza” accompagnati dai salariati, medico, segretario, maestro di scuola e camerlengo, si recassero in forma ufficiale in chiesa per partecipare alla messa solenne. Sulla porta principale della chiesa un sacerdote porgeva l’acqua santa al Magistrato (“I Quattro”) con l’aspersorio prima di aspergere il popolo, in corteo poi ci si avviava verso l’altare maggiore dove era in attesa il parroco che porgeva al bacio la reliquia di S. Silvestro. Si presentava quindi la cera quale offerta della Comunità, tutti infine prendevano posto nella Banca Priorale nei pressi dell’altare.
Terminata la liturgia il parroco “riceveva il Magistrato col suo accompagno dalla Banca della Chiesa, l’accompagnava alla propria casa parrocchiale, ove trattenevasi alla ricreazione del pranzo”. Anche questo pranzo offerto dal parroco era una consuetudine immemorabile e quando il parroco don Carlo Antonio Rocchi il 31 dicembre 1769 volle “escludere il Magistrato e suo accompagno dalla ricreazione del pranzo che pure ha fatto, con l’invito di alquanti religiosi forastieri non soliti, ed alcuni preti”, fu un affronto per l’amministrazione: era la prima volta che veniva esclusa da questa “ricreazione solita, antica, immemorabile”.
Se ne parlò in due sedute del Consiglio della Comunità, l’8 gennaio e il 4 marzo 1770, se nel gennaio si decise di “sperimentare le ragioni in qualunque tribunale bisognerà”, nel marzo i ritenne necessario “doversi parlare al Sig. Don Carlo Rocchi, e sentire qual sia la di esso intenzione, ed in caso si mostrasse voler sostenere la novità di escludere il Magistrato dalla solita ricreazione nella festa di S. Silvestro, agirsi in Tribunale per sostenersi jus e consuetudine immemorabile di questa Comunità”. 69 ASCMR, Consigli (1766-1780), cc. 83v-84r, 8-gennaio 1770 e cc. 88v e 90r, 4 marzo 1770. Con don Rocchi poi i rapporti tornarono ad essere ottimi, la pubblica amministrazione infatti, venne incontro in maniera generosa alle necessità del parroco nella costruzione della nuova chiesa parrocchiale.
Si fecero alquanto burrascosi invece con il parroco don Paolo Breccia che, per la festa del 1807 e del 1808 non diede il solito pranzo al sindaco, ai salariati e al clero del paese, tuttavia pur non avendo fatto il pranzo ufficiali, don Paolo l’11 luglio 1808 presentando al comune lo stato attivo e passivo 611a parrocchia scriveva: “Per il pranzo a sacerdoti e alle autorità del Comune in occasione della festa di S. Silvestro scudi 10”. Si riferiva probabilmente alle spese sostenute negli anni precedenti.
Clero e autorità civili questa volta non sembra che abbiano protestato ufficialmente; il complessivo comportamento del parroco però non poteva non recare stupore al sindaco Filippo Salvati che espose i fatti come erano avvenuti in una lettera al Vice-Prefetto del Distretto di Jesi. 70 ASCMR, Consigli (1766-1780), cc. 83v-84r, 8-gennaio 1770 e cc. 88v e 90r, 4 marzo 1770. -
155 6.4C Devozione alla Madonna di Loreto
A Monte Roberto, come a Jesi e negli altri castelli del contado, non mancò di svilupparsi, tra il Trecento e il Quattrocento, una intensa devozione alla Madonna di Loreto sia da parte dei singoli fedeli che a livello ufficiale da parte della pubblica amministrazione. Quest’ultima spesso si rendeva presente direttamente al santuario di Loreto con l’offerta di cera o di altri preziosi oggetti e partecipava ogni anno alle spese per i fuochi e gli spari alla vigilia della Festa della Venuta della S. Casa (10 dicembre).
Il primo accenno, almeno per quanto riguarda i registri dell’Archivio comunale che ci rimangono, di questa devozione lo troviamo nel 1560 quando leggiamo: “Havemo dato et pagato a ser Orelio spitial da Jegi per li ciri et una torcia per portare a S.ta Maria di Loreto, fiorini 12 e bolognini 12”; 71 ASCMR, Entrate e uscite (1558-1586), c. 23r. una corona invece fu portata al santuario di Loreto il giorno della festa del Corpus Domini del 1562. 72 Ivi, c. 50r.
Nella chiesa parrocchiale nel 1603 in un altare laterale, accanto al fonte battesimale, fu posto un quadro di Antonino Sarti, “La Vergine Lauretana e Santi” (S. Ciriaco, S. Pelagio e S. Lorenzo).
Presso questo altare il 10 dicembre “si celebrava la festa della Vergine Lauretana colla processione nella quale si portava il simulacro della Santa Casa scolpito in legno dorato. L’altare venne dotato nel 1637 di alcune rendite con le quali si dovevano far celebrare durante la settimana alcune messe. 73 Annibaldi Cesare, Un affresco lauretano giottesco e il culto della S. Casa di Jesi; Città di Castello 1912, p. 42.
Il Comune intanto forniva ogni anno, nella festa del 10 dicembre, cera “per le luminarie per la S. Casa di Loreto”. 74 ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 43v, 30 novembre 1666, 7 libbre di cera.
La confraternita del SS. Sacramento e del Rosario nel 1678 organizza un pellegrinaggio popolare a Loreto, chiede un contributo al comune che dà 4 coppe di grano per fare il pane da distribuirsi ai poveri che avrebbero partecipato al pellegrinaggio e per fare un regalo alla S. Casa. 75 ASCMR, deliberazioni Consigliari (1866-1876), nessuna delibera ne tratta tra il 1875 e il 1876.
L’esperienza viene ripetuta nei primi anni del Settecento; il pellegrinaggio si effettuava nel mese di maggio; nel 1703 esso doveva servire per ringraziare la Madonna per aver preservato il paese dal terremoto come era accaduto nella vicina Umbria 76 ASCMR, Consigli (1698-1711), cc. 51r/v, 25 marzo 1703., in questa occasione il Comune partecipa con l’offerta di 12 scudi che andavano ad aggiungersi alle altre offerte raccolte tra la gente, metà del contributo comunale sarebbe ‘stato però devoluto per i pellegrini poveri. Nello stesso anno vengono mandati a Loreto i 6 scudi impegnati in bilancio per la “ricreazione del Bussolo”, per il pranzo cioè che annualmente si teneva ai primi di gennaio quando si eleggevano i membri mancanti in seno al Consiglio della Comunità. 77 Ivi, c. 56v, 14 agosto 1703.
Il pellegrinaggio si ripete nel maggio del 1704 e del 1707. 78 Ivi, c. 91, 14 settembre 1707. Per la consuetudine di “fare li spari” e di “fare li fuochi” nella notte tra il 9 e il 10 dicembre, per la Festa della Venuta della S. Casa, il Consiglio Comunale nel 1782 stabilisce di comperare ogni anno 5 libbre di polvere da sparo e 40 fascine 79 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 35r, 15 dicembre 1782. e ciò avviene puntualmente negli anni successivi, anzi nel 1809 le “fascine di viti” diventano 50. 80 ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 102 r.
Fuochi e spari di notte, tradizionali da secoli dovevano servire ad esprimere “esultanza” e “giubilo” da parte del popolo, si erano trasformati invece, specie gli spari, in occasioni di vendetta e di odio privato: con il beneficio della notte e il salvacondotto della festa, era facile vendicarsi di qualche persona particolarmente invisa. Per prevenire questi gravi disordini il Delegato Apostolico di Ancona Mons. Ludovico Gazzoli, con una notificazione del 3 dicembre 1815, proibisce “nella notte del 10 dicembre, festa che suol solennizzarsi per la venuta della S. Casa di Loreto, gli spari tanto con armi da fuoco, quanto con qualunque altro strumento od artifizio”. 81 ASCC, Editti Bandi Decreti (1815-1818), vol. VI, p. 88.
Il Comune di Monte Roberto per fare gli spari in occasione di particolari solennità aveva alcuni mortai; nel 1766 essi non funzionavano più, così per la prima visita, nel mese di luglio, del vescovo Mons. Ubaldo Baldassini i mortai per gli spari vennero presi a Maiolati e riportati poi in Apiro dai legittimi proprietari. 82 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 232v. Qualche anno dopo nel 1773, si decide di accomodarne sei, affidati alla competenza dell’archibugiere mastro Francesco Bozzi di Monte S. Vito, dimorante in Staffolo, che li rese efficienti per il compenso di 6 scudi. 83 ASCMR, Consigli (1766-1780), c.134r, 16 maggio 1773 Considerata la spesa affrontata, poco dopo si decide ancora che “detti mortari non possono prestarsi a Paesi Forastieri senza licenza del Consiglio e che non habbiano arbitrio li Magistrati pro tempore di darli fuori”. 84 Ivi, c. 137r, 31 maggio 1773.
Gli spari alla fine del Settecento in occasione della festa della Madonna di Loreto venivano effettuati così con questi mortai sistemati dal Bozzi e garantiti per tre colpi consecutivi ciascuno per ogni volta. 85 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1735), c. 281 v.
Nel 1831 il Comune possiede 12 mortai di bronzo e 7 di ferro, l’antica prescrizione di non prestarli era stata dimenticata, venivano dati infatti a paesi lontani e vicini e minacciavano di rovinarsi, si decide allora di nuovo di non prestarli più ” senza espressa licenza”. 86 ASCMR, Consigli (1829-1839), p. 02. I mortai furono dati nel 1926 alla Congregazione di Carità ed usati per la fusione delle campane della chiesa di S. Carlo. 87 ASCMR, Delibere di Giunta (1925-1926), n. 26 del 30 dicembre 1926, pp. 27-30.
A ricordo di questa devozione alla Madonna di Loreto da parte dell’intera popolazione di Monte Roberto attualmente rimane, in una nicchia da tempo rimasta vuota, al di sotto nella piccola torre civica sopra l’arco di ingresso al castello, la statua della Vergine Nera, suggello e conferma di una tradizione secolare, ivi posta nel 1970. -
158 6.4D ALTRE FESTE E DEVOZIONI
La devozione popolare durante l’anno si esprimeva nella celebrazione di feste di altri santi ai quali si ricorreva per necessità particolari.
La festa di S. Antonio abate (17 gennaio), era celebrata con particolare devozione. La Comunità per “antica consuetudine” offriva cera per le luminarie e faceva celebrare “gl’offici di Messe” nella chiesa parrocchiale. 88 ASCMR, Sindacati (1602-1608), c. 58r (1603). In considerazione però che questa festa veniva solennizzata nelle chiese dei paesi vicini e nelle chiese rurali e là i recavano i sacerdoti per celebrare, Monte Roberto rimaneva solo con due messe “onde il popolo non puole soddisfare alla propria devozione per mancanza di dette Messe”, il Comune, nel 1778, si vide obbligato per far venire più preti a celebrare ad aumentare l’elemosina della messa, da un paolo (10 baiocchi) a 15 baiocchi ciascuna. 89 ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 252r, I marzo 1778.
La stessa decisione fu presa dal Consiglio della Comunità per la festa di S. Atanasio (2 maggio), compatrono della parrocchia e del comune: la festa si celebrava ugualmente per antica consuetudine con “officio generale e vespro”: nel 1743 il parroco non volle fare le solite e consuete funzioni, il Consiglio allora ricorse al Vescovo. 90 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), cc. 71r (3 scudi e 24 baiocchi per la processione, 90 baiocchi per. l’ufficio in S: Maria della Pieta da parte della pubblica amministrazione).
Per la festa di S. Biagio (3 febbraio), il Comune offriva agli inizi del Seicento 4 fiorini, 91 ASCMR, Sindacati (1602-1608), c. 79r.la metà di quelli che allora si davano per le “luminarie di S. Antonio e suo officio”.
La festa di S. Antonio di Padova (13 giugno) era preceduta da una novena. 92 ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 84r, 1 giugno 1741. Nella seconda metà del Settecento fu introdotta la festa di S. Vincenzo Ferreri (5 aprile), protettore contro le intemperie e relativi danni alle campagne; ci si dotò di una statua del santo e per celebrare la festa con la dovuta solennità, essendo il primo anno, nel 1772, il Comune, non avendo nulla a questo scopo in bilancio, impegna i 6 scudi previsti “per la ricreazione del Bussolo”. 93 ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 116r, 15 marzo 1772.
Grande era anche la devozione per le Anime Purganti, in suffragio delle quali si facevano celebrare S. Messe in discreto numero con le offerte raccolte con una questua specifica fatta dall’Opera Pia delle Anime Purganti. 94 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), n. 89, 13 marzo 1809, P. 156.
Il Comune con l’offerta per la celebrazione di messe partecipava anche alla festa di S. Andrea Avellino (10 novembre), patrono contro la morte improvvisa e di S. Emidio (5 agosto), patrono contro il terremoto; sosteneva altresì la spesa per “ottici di S. Messe” in circostanze importanti, ad esempio la Pentecoste, risarcendo il parroco per le offerte date ai sacerdoti celebranti e per la cera usata. 95 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 260r, nota di Don Carlo Antonio Rocchi, gennaio-maggio 1769.
S. Messe da parte della Comunità venivano fatte celebrare in onore di S. Macario, taumaturgo nella cura delle malattie e per ottenere la pioggia, e di S. Bordone (“…per l’offitio di S. Bordone e S. Macario vati della nostra Comunità”), 96 ASCMR, Sindacati (1602-1608), c. 75r. cioè di S. Rocco protettore contro la peste, così chiamato in quanto raffigurato come pellegrino con in mano il bordone (bastone ricurvo) cui era appesa la zucca per l’acqua.
Dal 1988, voluta dal parroco don Francesco Santarelli (1912-1997), si celebra nell’ultima domenica di maggio, una festa dedicata alla Madonna; tra le feste di S. Silvestro e quella del Crocifisso, le uniche rimaste, una dedicata alla Madonna veramente mancava, l’augurio di chi l’ha voluta è che essa come le altre diventi una vera tradizione per Monte Roberto. 97 Ceccarelli R., A Monte Roberto le vere radici parlano di amore alla Vergine, in “Voce della Vallesina”, n. 25 del 19 giugno 1988. -
160 6.5 LE CHIESE
Abbiamo già visto le chiese presenti nel territorio di Monte Roberto nei primi secoli dopo il Mille e andate distrutte tra il Trecento e il Quattrocento, di esse rimane solo l’abbazia di S. Apollinare mentre di S. Silvestro ha avuto la sua continuità in successive ricostruzioni.
Altre piccole chiese furono costruite dal Seicento in poi, tranne quella di S.Carlo, delle altre ci rimane solo il ricordo in qualche toponimo o qualche traccia in vani ormai fatiscenti. -
160 6.5A CHIESA PARROCCHIALE DI S. SILVESTRO
La vecchia chiesa di S. Silvestro de Curtis ubicata in campagna fu sostituita da quella nuova costruita nella prima metà del Quattrocento. Sorgeva poco lontano dalla porta d’ingresso al castello, dove si incontravano le due strade che immettevano nel paese (strada di Fosso Lungo – viale Matteotti e strada del Borgo – via Leopardi), rimase in piedi fino alla sua demolizione avvenuta, per far luogo alla nuova chiesa, negli ultimi decenni del Settecento.
Tra gli altari della chiesa, già poco oltre la metà del Cinquecento (1567) c’era quello del Crocifisso 98 Zenobi C., L’episcopato jesino di Mons. Gabriele del Monte, op. cit., p. 17. che tanta devozione avrà nel corso dei secoli. La chiesa non era molto grande: agli inizi del Seicento si avverte la necessità di ingrandirla e si decide di raccogliere il materiale necessario per poter incominciare i lavori, eventualmente nei primi mesi del 1613. 99 ASCMR, Consigli (160-1616), cc. 79r, 80r, 2 maggio 1612. Di questo progetto non se ne fece nulla, si costruì invece, negli stessi mesi all’interno del castello, la chiesa di S. Carlo, mentre Gioacchino Branchesi nel 1614 chiede di poter edificare una edicola- cappella all’esterno della chiesa in corrispondenza dell’altare di S. Giacomo: il permesso gli viene accordato a condizione che la strada, quella del Borgo, non rimanga troppo stretta e ci si possa transitare anche con le bestie cariche. 100 Ivi, c. 112v, 16 febbraio 1614.
Negli anni 1639-40 si rifanno le campane e il campanile della chiesa; la pubblica amministrazione decide di partecipare alla spesa per “un bel doppio di campane perpetuo honore di questo nostro castello”; 101 ASCMR, Consigli (1639-1651), c. 7r, 23 ottobre 1639; c. 17r. sulle campane tuttavia, nella scritta dedicatoria non viene affatto nominata la Comunità, “tutto l’Honore al Pievano”, i soldi previsti allora non vengono dati e del fatto sono informati il Vescovo di Jesi e il Governatore, 102 SCMR, Sindacati (1790-1817), c. 102 r.poi però ci si ripensa, invitati forse a farlo dalle autorità superiori, e si contribuisce alla spesa con le entrate ed i proventi del taglio della legna della selva della Comunità.
La croce del campanile venne promessa da Baldassarre Paziani che nel frattempo però mori; i suoi eredi comunque non ne volevano sapere di far installare la croce sul nuovo campanile, per convincerli si dovette far intervenire il cardinale Tiberio Cenci vescovo di Jesi. 103 Ivi, c. 111v, 22 gennaio 1646.
Nello stesso anno in cui si decideva di rifare campane e campanile, si pensava di fare anche delle logge davanti e al lato della chiesa, 104 Ivi, c. 3r, 17 luglio 1639; un progetto più completo si farà. nel 1647 (lbidem, cc. 136r e 137r, 11 luglio 1647) si realizzarono però diversi decenni più tardi (1725) di fianco alla chiesa stessa e si pensava di farle con il ricavato della demolizione e della vendita di un forno; si ritenevano “di gran utile e comodo del popolo stante che le dette loggie levarebbe li discorsi che si fanno dentro la chiesa con grande scandalo del popolo”. 105 ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 92v, 30 aprile 1671.
Il luogo dove sorgeva la chiesa dava qualche problema di staticità, un arco della stessa chiesa si rese pericolante e si pensò di ovviare con la costruzione di uno sperone nel muro di sostegno. 106 ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 7r, 13 giugno 1677.
Sul nuovo campanile, costruito neanche 40 anni prima, si abbatte nei primi mesi del 1682 un rovinoso fulmine (“saetta”) facendo una “gran bugia” sulla sua sommità 107 c. 77v, 11 marzo 1682. e rimanendo per oltre 15/18 anni gravemente danneggiato. 108 Ivi, c. 233r, 14 agosto 1695; c. 258r, 8 settembre 1697.
Rotta da qualche tempo anche la campana, nel 1691 “il Popolo se lagna che non si rifà”; 109 c. 181v, 15 luglio 1691. nel novembre il Vicario Apostolico di Jesi ordina di rifarla, la spesa che è di 50 scudi dovrà essere ripartita tra il parroco 15 scudi e la comunità 35 scudi. 110 Ivi, c. 186r, 4 novembre 1691. Sulla decisione superiore però non c’è accordo e si discute ancora, la spesa alla fine sarà divisa a metà tra il pievano e la Comunità, 111 Ivi, c. 200r. comunque prima del 1694 la campana non viene rifatta.
Nella chiesa c’era una grande panca (“Arcibanca”) destinata ai 24 consiglieri, spesso però essa veniva occupata da altri che non trovavano posto altrove, si costruisce allora un’altra “bancha che habbia a servire tutti li ventiquattro e per altri, la quale poi debba colocarsi in mezzo a detta a ritornando in acconcio ancora per lo spartimento fra gli Uomini e le Donne giusta la conformità di molte altre chiese”. 112 Ivi, c. 216v, 3 giugno 1694.
Nei pressi della chiesa non distante dalla canonica, era ubicato il cimitero che nella visita pastorale del 2 settembre 1697 viene descritto essere senza riparo, aperto agli animali e con la possibilità che vi entrino anche i maiali; 113 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, ds., pp. 72 e 77 decisamente migliore tuttavia è la situazione nel 1726, il cimitero è con il tetto coperto, le pareti imbiancate e nel vano di ingresso un piccolo altare. 114 Ivi, p 131.
La chiesa, oltre all’altare maggiore, aveva sei altari laterali di cui quattro a forma di cappella a volta, e si passava da un altare all’altro attraverso porte intermedie; gli altari erano dedicati rispettivamente al Crocifisso (altare della confraternita del Sacramento), al Rosario (dell’omonima confraternita), a S. Giuseppe (della famiglia Leoni), a S. Giacomo (della famiglia Magnoni), a S. Ciriaco (degli Eredi Colini) e a S. Lorenzo. Tutti, eccetto quello del Crocifisso, avevano dipinti su tavola o su tela come pale d’altare. 115 Ivi, pp. 131-132: 187.
La struttura della chiesa era in stile gotico (tre “archi a terzacuto” sostenevano il tetto); la poca profondità delle fondamenta, il terremoto del 1741, la presenza d’acqua nelle zone più profonde del sottosuolo dove poggiava la chiesa stessa, ne avevano compromesso gravemente la staticità con lesioni alle mura talmente numerose da minacciare rovina a tutto l’edificio. 116 ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 113r. Ne fu decisa così la ricostruzione.
Il progetto, secondo il biografo, è di Mattia Capponi 117 Annibaldi Giovanni, Mattia e Paolo Isidoro Capponi architetti di Cupramontana, Tip. Framonti-Fazi, Jesi 1878, p. 9. architetto di Massaccio e fu redatto nel 1766, documentazione autografa tuttavia della sua paternità non esiste; 118 Amadio Mauro e Altri, Mattia Capponi Architetto, Jesi 1988, p. 37. il Capponi comunque in quegli anni (1769) compi un sopralluogo con relativa perizia sullo stato idrologico delle mura e dell’intero paese 119 ASCMR, Consigli (1766-1780), cc. 74v e 75r. e non è escluso che possa aver fornito il disegno, non sembra però che ne abbia seguito i lavori se nel 1771 viene interpellato Domenico Spadoni capomastro di Senigallia abitante in Ancona, per “considerare lo stato presente della Chiesa Parrocchiale di S. Silvestro del Castello di Monte Roberto di Jesi”. 120 Ivi, cc.112v-113v.
I lavori iniziarono nel 1769 121 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 76r. e continuarono con alterne vicende per una ventina d’anni. Il Consiglio della Comunità il 21 dicembre 1771 decide di devolvere per la nuova costruzione (“non potendosi diversamente accomodare in altro Luogo per questo Popolo, non essendoci altro Tempio capace, ove possa ricevere il Pascolo Spirituale”) 400 scudi, non in unica soluzione ma 100 scudi all’anno cominciando nel 1772 122 ASCMR, Consigli, (1766-1 780), cc. l lv e 112r. che vengono regolarmente concessi. 123 ASCMR, Registro delle Lettere dei Sigg. Superiori…, c. 165v, 10 marzo c. 191v, 14 febbraio 1773; c. 191v, 5 aprile 1774; c. 195r, 15. luglio 1775.
Promotore della ricostruzione e dei lavori è il parroco don Carlo Antonio Rocchi che non trascura ogni occasione favorevole per reperire spazi più ampi attorno alla chiesa (aveva progettato “di fabbricare un oratorio, ossia stanza da formarci il Battistero, lo restante spazio per farci il Cemeterio”) e materiale edilizio da vecchie case in rovina. 124 ASCMR, Consigli, (1766-1780), c. 162r, 2 giugno 1774; c. 235v, 17 agosto 1777. ASCMR, Consigli, (1780-1793), c. 41r, 25 maggio 1783.
Nel 1780 i lavori non proseguono per mancanza di denaro, don Rocchi chiede un nuovo contributo al Comune: vengono concessi 150 scudi “in elemosina per la chiesa da compirsi a maggior Gloria di Dio e decoro del paese”, 125 ASCMR, Consigli, (1766-1780), c. 295r, 9 aprile 1780. il contributo comunque verrà autorizzato dalla Congregazione del Buon Governo solo anni dopo, nel 1795 “per l’ultimazione della fabbrica della chiesa”. 126 ASCMR, Registro delle lettere dei Sigg. Superiori, c. 263v, 30 maggio 1795.
Il pievano muore nel 1788, gli eredi si appropriano di tutto il legname anche di quello lavorato, necessario per proseguire la costruzione della chiesa, il Consiglio della Comunità decide così di adire le vie legali per la restituzione del materiale. 127 ASCMR, Consigli, (1780-1793), c. 90r, 27 aprile 1788.
Nel 1790 si richiedono altri contributi (400 scudi) al Comune, questa volta però non vengono dati, tutte le risorse sono finalizzate alla ricostruzione di una casa colonica di proprietà comunale. L’esterno della chiesa era completo, molto ancora restava da fare: “La nuova chiesa del Cappellone all’infuori, [è] tutta rustica nell’interne pareti con finestre alla posticcia e senza volta e piangito peggio di un fenile”. 128 Ivi, c. 123/v, 22 agosto 1790.
Lentamente tuttavia i lavori proseguono; la precedenza nella costruzione degli altari laterali era stata data a quello del Crocifisso già realizzato prima del 1791, in quell’anno infatti si decide di fare l’altare del Rosario uguale in tutto e per tutto a quello del Crocifisso che era di fronte. 129 Ivi, c. 135v, 25 agosto 1791. Vi lavorarono nel corso del 1792 e del 1793 Ermenegildo Pancalli di SenigaIlia (altare), Marco Monti (icona dell’altare, colonnine ecc.), Romualdo Bartolini (doratura della “Gloria”, basi e capitelli). 130 ASCMR, Trasatti (1788-1801), 22 aprile e 22 maggio 1792; 19 agosto e 22 ottobre 1792; 18 ottobre 1793.
A Serafino Salvati che si trovava a Roma si dà l’incarico di far dipingere quadri-pale d’altare “di buona mano” per l’altare maggiore e l’altare del Rosario; 131 ASCMR, Consigli (1780-1793), 10 marzo 1793. l’incombenza viene affidata al pittore Stefano Casabona di Genova, ma dimorante in Roma, che per il 1794 prepara la tela per l’altare maggiore 132 ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 26v, pagati 60 scudi. “San Silvestro con Madonna” e per il 1797 la tela per l’altare del Rosario 133 Ivi, c. 34r.- “Madonna e Santi” (S. Emidio e S. Andrea Avellino). Si abbellisce con una “cornice con cristalli l’immagine miracolosissima del SS. Crocifisso 134 ASCMR, Consigli (1794-1808), c. 4r, 7 aprile 1795.e si commissiona a Serafino Salvati, ancora a Roma, le lampade per l’altare del Rosario; 135 Ivi, c. 6v, 25 maggio 1795.in attesa di quelle nuove intanto Agostino Antonelli ripristina davanti all’altare l’antica lampada di bronzo. 136 ASCMR, Bollettini (1791-1808), 5 giugno 1796.
Agli inizi dell’Ottocento la chiesa è agibile da qualche anno, ma è ancora incompleta, “la fabbrica, scrive il sindaco del 1808 al Prefetto Casati, è portata avanti dal parroco”. 137 ASCMR, Registro delle lettere (1808-1809), p. 9, 16 giugno 1808.
Come in tutte le chiese sotto il pavimento viene ricavato il cimitero, non sempre utilizzato, come ad esempio in tempo di epidemie (1817 e 1855), questo è dismesso del tutto con la costruzione del nuovo cimitero pubblico poco oltre la metà dell’Ottocento. Nei primi anni Cinquanta del Novecento tutte le salme furono rimosse e bonificata l’intera area sottostante il pavimento stesso.
La presenza del Capponi a Monte Roberto, come abbiamo accennato, in concomitanza con i lavori della chiesa, ma soprattutto i caratteri stilistici della sua architettura sono a favore della sua paternità. Scrive l’arch. Mauro Amadio profondo conoscitore del Capponi: “La facciata attuale, frutto di sconsiderati rimaneggiamenti, non ha nulla in comune con quella originale, anzi dequalifica nettamente l’architettura nei suoi caratteri stilistici.
Da una vecchia fotografia si ricavano le linee originarie della facciata in pietra intervallata da una doppia fila di mattoni utilizzati per rettifilo, il timpano con le modanature in mattoni, una apertura ellittica in corrispondenza del sottotetto con bordatura in mattoni. La costruzione del prospetto sotto il timpano è composta da un grande arco a rilievo, con diametro di poco inferiore alla larghezza della facciata, dentro il quale sono inseriti il portale in pietra con timpano curvo e la nicchia che ospita la statua di S. Silvestro. Il campanile che si vede nello sfondo è-già modificato nella parte terminale del pinnacolo.
Negli anni Cinquanta in conseguenza di lavori effettuati per il consolidamento della facciata, il Genio Civile ha aumentato lo spessore della muratura portante sovrapponendovi un secondo strato di muratura ed inserendo tiranti con chiavi perpendicolari alla facciata, lungo le strutture portanti della navata. Attualmente il prospetto si presenta in intonaco e cemento per tutta la superficie, privo del portale che è stato tolto e mai inserito [ignorandone dove sia finito], con bordatura nella parte superiore del prospetto e una bordatura circolare al centro; tutti caratteri stilistici che per quanto semplici dequalificano il prospetto, non avendo alcun riferimento con l’originale progetto di Mattia Capponi.
L’inserimento del coro maggiore per l’organo e di due coretti minori, avvenuto nel 1828, ha causato alcune modifiche evidenti all’interno della chiesa, che non prevedeva il coro maggiore e nella quale il prospetto interno, contrapposto al presbiterio, era semplicemente ornato con rilievi delle bordature. La struttura del coro poggia su due colonne tuscaniche senza basamento, diverse dalle altre che ornano la navata. […]
[Nella facciata in corrispondenza dell’organo] è ipotizzabile, nella soluzione effettiva, una grande bucatura, in parte simile a quella prevista e non realizzata per la chiesa suburbana di S. Lucia a Jesi, della quale rimangono i disegni originali. Queste bucature, corrispondendo all’arco inserito nella facciata, avrebbero creato una grande sorgente di luce, proiettata nel presbiterio, che attualmente è posto in ombra, mancando aperture nell’abside e nel catino. Nel nuovo disegno della facciata sarebbe stata inserita successivamente la nicchia con la statua di S. Silvestro che è stata riposta nel sottotetto della chiesa. La pianta si sviluppa sul solo asse centrale con quattro altari laterali. […]
Il presbiterio è molto profondo e in ombra, elemento caratterizzante è la colonna con capitello jonico arricchito con decorazioni varie (festoni).
La pavimentazione è stata ricostruita nel 1956.
Il fonte battesimale originale che era posto all’angolo della navata verso l’ingresso, sulla destra, recentemente è stato ribaltato e ricostruito in loco del primo altare sulla sinistra.
La macchina posta sul catino, nel fondale del presbiterio e costruita con la simbologia dello “Spirito Santo”, attualmente è verniciata in bianco, Mentre era dorata; vi erano inseriti anche alcuni angeli che sono stati tolti e riposti nel sottotetto. […]
La volumetria realizzata sulla sinistra della facciata, compresa tra la navata e le mura [di sostegno] costruita per la Confraternita della Buona Morte [oltre la metà dell’Ottocento], dequalifica l’architettura della chiesa nel suo complesso.
Sarebbe auspicabile, conclude Amadio, la sua demolizione e il ripristino del vicolo fino al campanile, in modo da ottenere la riconferma della chiesa, slanciata al centro della piazza, proiettata dai due vicoli laterali, nel rispetto del progetto originario”. 138 Amadio Mauro, op. cit., pp. 37-38.
Le opere d’arte di maggior pregio che ornano la chiesa sono il coro grande o cantoria e i due coretti con grata in legno intagliato e dorato di Angelo Scoccianti (1674-1726), scultore di Massaccio, realizzati attorno al 1711.
Provengono dalla chiesa di S. Chiara annessa all’omonimo monastero, ubicato a Jesi, lungo l’attuale corso Matteotti nella struttura dell’ex Appannaggio; furono ceduti, dopo la soppressione napoleonica del 1810, alla chiesa parrocchiale di Monte Roberto nel 1828 per interessamento di Serafino Salvati, agente dei beni della Casa Ducale di Leuchtenberger erede del Viceré d’Italia Eugenio Beauharnais al quale chiesa e monastero furono dati in “appannaggio” al momento della soppressione.
Così li descrive Giovanni Annibaldi jun.: “Coro e corretti sono stati eseguiti dalla stessa mano, notandosi in tutti identità di stile, oltre che di motivi decorativi, anche se arricchiti nel coro di altri elementi. Nella parte inferiore dei coretti, configurata a ringhiera, su un fondo campito da pannelli verticale listati ed ornati di globetti si staccano a forte rilievo cespi di acanto con ricaduta di larghe foglie, alternativamente bassi e sviluppantisi per tutta l’altezza della ringhiera stessa. Alla base del cespo centrale sporge una testa di putto, con ali aperte, a tutto tondo rivolta in basso. Nella parte superiore dei coretti da cespi di acanto si innalzano steli girati in ampie volute con foglie che si allargano e si distendono in modo da coprire ogni spazio libero, lasciando solo piccoli spiragli, in aderenza alle esigenze di un convento di clausura.
Nella cantoria, in cui si ripete la stessa decorazione della parte inferiore dei coretti, graziosi putti alati si librano nell’aria in vario festoso atteggiamento al di sotto del coro, quasi a sostenerlo, mentre altri due, sulla fronte, si ergono diritti con le braccia sollevate, sporgendo in corrispondenza di ciascuno di essi, alla base, due teste di putti a tutto tondo alate. 139 Annibaldi Giovanni, Due opere d’intaglio in legno di Angelo Scoccianti dal Massaccio, Tip.Pucci, Ancona 1971, p. 6, (Estratto dal volume “Rendiconti” dell’Istituto Marchigiano di Scienze Lettere ed Arti Ancona 1971).
“È un’opera di vastissimo impegno scultoreo in quanto convivono, in armonia eccezionale, i motivi vegetali, quelli puramente geometrici e le ‘figure a tutto tondo degli angeli”. 140 Scoccianti Sandro, Gli scultori Scoccianti e i loro allievi, Recanati 1982, p. 85.
“Sono opere di elevato significato stilistico; mentre la tribuna in cui è assente la parte superiore, trae la sua animazione dalla presenza alla base degli angeli in volo che sembrano volerla trascinare in cielo, i coretti affidano il senso del movimento – che pure da essi traspare – al diverso sviluppo del fogliame che passando dal basso all’alto si riduce nelle dimensioni per svilupparsi minuto e ricchissimo”. 141 Scoccianti Sandro, La famiglia degli Scoccianti e l’intaglio in Scultura nelle Marche, a cura di Pietro Zampetti, Firenze 1993, P. 433.
I putti alati che quasi sorreggevano la cantoria, nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1993, sono stati rubati insieme ad altri oggetti in legno e non più trovati. 142 cfr. Il Resto del Carlino/Marche, 10 settembre 1993. Voce della Vallesina, n. 31 del 19 settembre 1993, p. 3.
La cantoria era stata acquistata in funzione dell’organo che si voleva installare nella chiesa. Costruito da Francesco Cioccolani da Cingoli e frutto “delle pie elargizioni”, l’organo fu collaudato il 17 luglio 1833; il Comune partecipò alla spesa con 10 scudi, Sante Tesei, relatore della proposta di spesa così si espresse: “Mi sembra sommamente onorevole lo stabilimento di un organo in questa nostra chiesa parrocchiale, unica, che non abbia in questi dintorni l’enunciato decoroso ornamento”, 15 furono i voti favorevoli, 6 quelli contrari. 144 ASCMR, Consigli (1829-1839), p. 136, 23 settembre 1832.
Un “capitolo” fu poi stipulato tra la Parrocchia ed il Comune il 25 luglio 1836 nel quale la pubblica amministrazione si impegnava a dare “una quota nello stipendio dell’organista”; andato in disuso con gli anni, il parroco don Paolo Clementi nel 1867 chiede che sia ripristinato, fondi nel bilancio comunale però non ci sono e la questione è rimandata al bilancio dell’anno successivo. 145 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1866-1876), pp. 57-58, 31 gennaio 1867. Nel 1868 il problema è affrontato indirettamente concedendo il contributo di lire 3 mensili ad Odoardo Gabbianelli per proseguire la scuola di musica con l’obbligo di suonare gratuitamente l’organo nei giorni festivi. 146 Ivi, p. 232, 30 novembre 1868.
La tela di Antonio Sarti (1580-1647), “Martirio di S. Lorenzo” del 1603, posta sulla parete di destra accanto all’altare maggiore, è stata restaurata nel corso del 1995.
La statua di S. Silvestro tolta dalla nicchia sulla facciata durante i lavori di consolidamento degli anni Cinquanta, rimasta per anni nel sottotetto, è stata restaurata da Massimo Ippoliti e collocata sul lato destro della chiesa subito dopo l’ingresso ed inaugurata il 20 agosto 2000.
Tutto l’interno della chiesa è stato ridipinto e restaurato riportando in luce le decorazioni pittoriche che erano state eseguite nella seconda metà dell’Ottocento e successivamente ricoperte. Anche la “gloria dello Spirito Santo” sul catino dell’abside, verniciata di bianco, ha riavuto la doratura originale. Dopo questi lavori la chiesa fu riaperta ufficialmente al culto in occasione della festa del patrono il 31dicembre 1996. -
170 6.5B Chiesa di S. Carlo
È stata ed è l’unica chiesa dentro il perimetro delle mura castellane.
Fu costruita tra il 1612 e il 1613 ad iniziativa della Confraternita della Buona Morte e dell’Opera Pia del Suffragio. La pubblica amministrazione partecipò alla spesa fornendo tutto il legname necessario alla costruzione 147 ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 90r, 13 novembre 1612. La dedicazione a S. Carlo Borromeo (1538-1584), vescovo di Milano, compatrono di Jesi, segui di soli tre anni la data della sua canonizzazione avvenuta il 1° novembre 1610. Il Consiglio della Comunità il 3 novembre 1613 prese la decisione di solennizzare il giorno di S. Carlo, 4 novembre, chiedendo al vescovo di dichiarare la ricorrenza annuale giorno festivo a Monte Roberto a tutti gli effetti. 148 Ivi, cc. 108r/v.
La chiesa era ubicata quasi alla sommità del paese, al centro tra le due file di case che costituivano la parte nord del castello, due porte laterali immettevano nei rispettivi vicoli. Su una parete, nel 1726, viene segnalato un affresco con la Madonna di Loreto e due immagini di Santi.
La posizione con il passare degli anni si rivelò non certo ottimale, inoltre pericolante qual era, nei primi decenni dell’Ottocento, su suggerimento anche del vescovo, la Confraternita del Sacramento prese la decisione di demolirla e di riedificarla nelle immediate vicinanze nell’area di una vecchia casa di proprietà dell’Opera Pia del Suffragio. La decisione definitiva per la demolizione e la riedificazione fu presa dal Consiglio della Comunità il 24 febbraio 1825. 149 ASCMR, Consigli (1809-1827), pp. 260-261.
Del progetto e ne parlava già da qualche anno, nel 1823 si era ottenuto il permesso di acquistare l’area risultante da una costruzione, proprio sugli spalti delle mura, resa pericolante ed inservibile a causa del terremoto; il “trasloco” della chiesa, oltre dalla sua pericolosità statica, era motivato dal desiderio “di ingrandire la piazza detta di San Carlo e di rendere migliore ornamento al paese”. 150 Ivi, p.257, 8 settembre 1824. Ben presto iniziarono i lavori realizzando la parete di fondo insistente a perpendicolo sulle mura cittadine di Fosso Lungo (viale Matteotti).
Nella chiesa è conservata attualmente solo la pala d’altare con l’effige di “S. Carlo Borromeo sorretto dagli angeli” eseguita nel 1614 da Antonino Sarti. Fino al 2002, appartenute alla vecchia chiesa di S. Silvestro, vi erano anche lo “Sposalizio della Vergine” e “Madonna del Carmelo col Bambino e santi Biagio, Giacomo, Francesco, Caterina e Simone Stock”, quest’ultima dello stesso Antonino Sarti dipinta nel 1616; ora ambedue le tele, restaurate, sono nella Sala Consigliare del Comune. Lo “Sposalizio della Vergine”, nella vecchia chiesa parrocchiale costituiva la pala d’altare dell’altare di San Giuseppe della famiglia Leoni. La medesima famiglia Leoni di Staffolo che è indicata nella visita pastorale del 1898, come avente giuspatronato nella chiesa di San Carlo, aveva provveduto ad un primo restauro delle tele nel 1807.
In precarie condizioni con qualche piccolo crollo della copertura, la chiesa fu restaurata nel 1989. -
170 6.5ca La chiesa di San Carlo
Dai quaderni storici esini Vol. V Anno 2014 pag. 93
La chiesa di San Carlo che oggi vediamo alla sommità del castello di Monte Roberto risale alla terza decade dell’Ottocento quando venne edificata a pochi metri da un’omonima altra chiesa che stava andando in rovina e che originariamente era stata edificata ai primi del Seicento.
Dentro il perimetro delle mura castellane non vi fu mai una chiesa: quella parrocchiale, dedicata a San Silvestro Papa, vicinissima alla porta di entrata al castello, era stata edificata nel sec. XV e ricostruita sullo stesso luogo nella seconda decade del Settecento.La chiesa di San Carlo è stata ed è l’unica chiesa ubicata all’interno del paese.
Fu costruita tra il 1612 e il 1613 ad iniziativa della Confraternita della Buona Morte dell’Opera Pia del Suffragio. La pubblica amministrazione partecipò alla spesa fornendo tutto il legname necessario alla costruzione. [1] Archivio Storico Comunale Monte Roberto (ASCMR), Consigli (1608-1616), c. 90r, 13 novembre 1612 La dedicazione a S. Carlo Borromeo (1538-1584), vescovo di Milano, compatrono di Jesi, seguì di soli tre anni la data della sua canonizzazione avvenuta il 1° novembre 1610.
Il Consiglio della Comunità il 3 novembre 1613 prese la decisione di solennizzare il giorno di S. Carlo, 4 novembre, chiedendo al vescovo di dichiarare la ricorrenza annuale giorno festivo a Monte Roberto a tutti gli effetti: “bandire questa festa et imponer pene a quelli che in tal giorno faranno o saranno trovati a far opere et esercitii manuali, d’applicarsi per la metà alla chiesa dedicata a detto glorioso S. Carlo et per l’altra metà all’essecutore et accusatore e secondo che parerà al detto ns. Vescovo”. [2] Ivi, cc. 108r/v. Sull’altare vi fu posta una tela con l’effige di “S. Carlo Borromeo sorretto dagli angeli” eseguita nel 1614 da Antonino Sarti, tela-pala d’altare che ancora è al suo posto, restaurata nel 1996. [3] MOZZONI LORETTA, a cura di, Antonino Sarti 1580-1647, Comune di Jesi 1997; pp. 60-61.La chiesa si trovava al centro tra le due file di case che costituivano la parte ovest del castello, due porte laterali immettevano nei rispettivi vicoli. Brulicante all’epoca di persone e di animali domestici, e anche di maiali lasciati liberi di pascolare, nonostante i reiterati divieti. [4] ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 68r/v, 23 Maggio 1610. E proprio alcuni maiali, entrati nella chiesa di San Carlo, la imbrattarono stracciando le tovaglie e i paramenti dell’altare: accadde ai primi del 1615, la chiesa era stata da poco costruita e del fatto se ne discusse nel Consiglio della Comunità. [5] Ivi c.145r., 15 febbraio 1615
La Confraternita o la Compagnia della Buona Morte teneva regolarmente nella chiesa le sue riunioni: chi relazionava prima di rivolgersi ai confratelli faceva “la debita riverenza all’immagine di S. Carlo” [6] Archivio Parrocchiale S.Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della Morte del Castel di Monte Roberto, c. 30r, 16 gennaio 1667. e “la solita genuflessione all’Altare Maggiore”. [7] Ivi, c. 105v.
Probabilmente la costruzione della chiesa non fu realizzata nelle modalità più eccellenti se già dopo qualche decennio fu necessario porre mano a riparare il tetto, nel 1641 [8] Ivi, c. 10r. e ancora nel 1666, [9] Ivi, c. 26v. mentre altri lavori di riparazione alla struttura della chiesa stessa vennero fatti nel 1669. [10] Ivi, c. 34r.Il piccolo campanile fu costruito nel 1651, [11] Ivi c.19v i mattoni necessari però erano stati preparati già da cinque anni, [12] Ivi, c. 16r. la campanella era pronta quasi da dieci per la quale erano stati spesi 5 testoni. [13] Ivi, c. 11r.Nel 1674 la confraternita si riunisce nella chiesa parrocchiale di S. Silvestro “stante che la chiesa di S. Carlo minaccia ruina”, per “risarcirla ci vogliono all’incirca 12 scudi” ma i denari non ci sono per cui è necessario tagliare legna nel campo della Cannuccia di proprietà della confraternita stessa. [14] Ivi, c. 44r, 25 febbraio 1674.
Questo fondo, situato nell’omonima contrada, “al di del Fossato”, o fosso di S. Giovanni, e il confine con Cupramontana, allora Massaccio, [15] CECCARELLI RICCARDO, Monte Roberto. La terra, gli uomini e i giorni, Comune di Monte Roberto 2012, p. 35. era stato donato alla confraternita per testamento del 15 aprile 1614 da Fiorano di Mariano di Monte Roberto con l’obbligo di far celebrare 6 messe all’anno presso l’altare di S. Carlo. [16] Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della Morte del Castel Monte Roberto, c. 85r. Altro terreno ubicato in contrada Porcini, nei pressi dell’attuale via San Settimio, [17] CECCARELLI RICCARDO, Monte Roberto. La terra, gli uomini e i giorni, cit., p. 39. nelle prime decadi del Settecento risulta di proprietà della confraternita: in ambedue insistevano “moltissime quercie”, si riteneva opportuno che esse venissero vendute e investirne il ricavato in beni stabili o in censi in denaro! [18] Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della Morte del Castel Monte Roberto, c. 114v, 30 luglio 1730. della festa di S. Carlo, 4 novembre, e nella festa di S. Rocco, Il 16 agosto. [19] Ivi, c. 5r (1636), c. 6r (1637) e c. 9r, 16 agosto 1640). Due erano gli altari della chiesa, quello maggiore dedicato a S. Carlo ed uno laterale dedicato alla SS. Concezione che aveva un legato, cioè un obbligo di sante messe, istituito da Giovanni Oliva di Monte Roberto. [20] Ivi, c. 54v, 26 marzo 1679.I vescovi di Jesi nelle loro periodiche visite pastorali alle parrocchie della diocesi ispezionavano tutti gli edifici di culto, visitando Monte Roberto, la chiesa di S. Carlo era oggetto di attenzione anche perché sede della confraternita della Morte. In queste relazioni, alcune delle quali sono particolarmente circostanziate, troviamo descritta la situazione statico-architettonica della chiesa stessa, gli altari, i quadri e tutto ciò che attiene alla funzionalità dell’esercizio del culto.
Nella visita pastorale fatta da Mons. Antonio Fonseca il 13 settembre 1726, la chiesa di S. Carlo viene trovata “sub nudo tecto”, senza volta cioè, tutta la struttura “aliquantum inforrmis”, alquanto rozza e squallida, particolarmente per il magazzino-granaio del Monte Frumentario della confraternita ubicato nelle vicinanze e in parte sopra la chiesa stessa e in concomitanza con una casetta della famiglia Guglielmi, magazzino raggiungibile attraverso una scala. Vi sono due altari, uno dedicato a S. Carlo con una tela dipinta (quella di Antonino Sarti) e l’altro dedicato alla Concezione, con una pittura su tavola (“cum pictura in tabulis”) rappresentate la Concezione (la Madonna), S. Sebastiano e S. Rocco “circumligata a quodam parvo ligno inciso et in rimis aurolito”, con una cornice cioè in legno scolpito e dorato. Nell’altare di S. Carlo c’è un’urna in legno scolpito e dorato dove sono contenute alcune reliquie di santi. In un armadio è conservata una statua della Madonna della Concezione con la veste di seta. Nella parete c’è dipinta la Madonna di Loreto con due immagini di santi; sul tetto o meglio sul piccolo campanile, la campanella. [21] URIELI COSTANTINO, Visite Pastorali. Regesto, d. s. Jesi 1989, p. 132.
Dopo quattro anni Mons. Fonseca ritornò a Monte Roberto per una nuova visita pastorale, 1’11 agosto 1730. Trova gli altari della chiesa di S. Carlo del tutto sguarniti anche del necessario per il culto, soprattutto per la povertà della confraternita. Per affrontare le spese necessarie il vescovo ordina di abbattere alcuni alberi infruttiferi nel piccolo terreno di proprietà della confraternita dove ci sono anche alcune querce che recano danno. Ordina altresì di demolire il granaio posto sopra la chiesa, prescrizione già peraltro dettata nella visita del 1726 e non eseguita per timore di danneggiare la vicina casetta dei Guglielmi. Questa volta prescrive di dividere i due stabili e demolire la casetta che apparteneva sì ai Guglielmi ma con tutta probabilità era disabitata e inservibile. [22] Ivi, p. 166. La confraternita intanto comincia a cercare alcuni vani da utilizzare a ripostiglio e come piccolo Oratorio. [23] Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della Morte del Castel Monte Roberto, cit., 116r/v, 15 aprile 1731. Riesce a trovarli, ad acquistarli, e a utilizzarli anche come magazzino-granaio, posti di fronte alla chiesa parrocchiale nel palazzo del capitano Mazzini, vani di proprietà di Susanna vedova di Sebastiano Bocchini, per il prezzo di 33 scudi. [24] Ivi, c. 117r, 16 settembre 1731.
Nella terza visita pastorale di Mons. Fonseca effettuata a Monte Roberto il 4 ottobre 1737, l’altare della Concezione nella chiesa di S. Carlo è detto altare del Suffragio perché presa a carico dall’Opera Pia del Suffragio, [25] URIELI COSTANTINO, Visite Pastorali. Regesto, d. s. cit., p. 179. emanazione della confraternita della Morte, che nel frattempo si era “domiciliata” presso la stessa chiesa.
L’altare di S. Carlo nella visita pastorale del 2 luglio 1740 viene trovato in ordine, mentre l’altare della Concezione viene detto “de jure animarum purganti” dedicato cioè alle anime del purgatorio al cui suffragio debbono andare tutte le offerte raccolte dalla confraternita della Morte. L’ordine di demolire la casetta attaccata alla chiesa, che il vescovo aveva precedentemente dato, è stata eseguito. La confraternita aveva chiesto di acquistare l’area della casa demolita; il vescovo si reca sul posto per rendersi conto di persona, il proprietario dell’area è il vicario foraneo don Costantino Guglielmi che si dice disposto a venderla. Il contratto viene stipulato e sottoscritto il giorno dopo per il prezzo di 3 scudi che vengono subito versati; contemporaneamente si prende l’impegno di erigere in futuro sullo stesso luogo e a spese della confraternita “aliqua fabrica in ornatum et comodum ipsisus ecclesiae”, una costruzione cioè che sia utile alla stessa chiesa. [26] Ivi, pp. 187-188.
Il proposito non si riesce a realizzare perché il violento terremoto del 24 aprile 1741 che causò diversi crolli nel castello, [27] CECCARELLI_RICCARDO, Monte Roberto. La terra, gli uomini e i giorni, cit., pp. 83-84. non risparmiò la chiesa di S. Carloche — è scritto nel registro dei verbali della confraternita — “da un grandissimo terremoto fu fracassata”, per cui un anno dopo si decide la sua “redificazione” facendo presente la risoluzione e il problema al vescovo. [28] Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della Morte del Castel di Monte Roberto, cit., c. 124r/v, 22 aprile 1742.
Il progetto-perizia per la ricostruzione fu affidato a due mastri muratori di Castelbellino, Francesco Lucarini e Marco Boria, approvato dalla confraternita il 15 novembre 1744: il costo era previsto in scudi 165 e 10 baiocchi da affrontare con la vendita delle querce presenti nei terreni di proprietà della confraternita, con la precauzione però di non farla globalmente ma di frammentarla in 50 scudi per volta senza così chiedere l’autorizzazione alla competente Congregazione romana, [29] Ivi, c. 127 r/v. Vedi testo completo in appendice. cui per somme superiori a questa somma spettava richiedere e ottenere il relativo permesso.
La burocrazia, allora — come sempre — non aveva la velocità dei desideri, così la chiesa di S. Carlo quattro anni dopo era ancora da ricostruire. 11 24 marzo 1749 una lettera del vicario generale della diocesi prescriveva le modalità dei lavori della ricostruzione (a giornate e non cottimo) e la nomina di due responsabili, facenti parte della confraternita, che avrebbero dovuto a suo tempo relazionare allo stesso vicario sui lavori e sulle spese. [30] Ivi, c. 137v, la lettera è riportata in copia. La lettera fu certamente recapitata in giornata, se il giorno dopo, 25 marzo, il vicario foraneo don Giuseppe Nicodemi, fa riunire la confraternita e deliberare in merito alle richieste del vicario generale che furono accettare, parimenti furono nominati i due responsabili (“deputati”) alla ricostruzione: Giovanni Procicchiani e Carlo Rotorsciano. [31] Ivi, c. 138r.
I lavori questa volta, vista anche l’urgenza della confraternita nel rispondere al vicario generale, dovettero iniziare subito e portati avanti con una certa sollecitudine se nel settembre del 1750, il vescovo Mons. Antonio Fonseca ancora in visita pastorale a Monte Roberto descrive la chiesa di S. Carlo “de novo nuper edificata, satis decens”, abbastanza decente cioè, in quanto da non molto riedificata. [32] URIELI COSTANTINO, Visite Pastorali. Regesto, d. s. cit., p. 214.
Il 9 maggio 1790 la confraternita del Sacramento e Rosario e quella della Buona Morte si uniscono[33] Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Congregazioni della Confraternita del SS. Sacramento e Rosario (17374826), cc. 99v e 100r. La chiesa di S. Carlo diventa proprietà della confraternita del Sacramento e Rosario, la confraternita della Morte mantiene il giuspatronato.
La posizione con il passare degli anni si rivelò non certo ottimale, inoltre pericolante qual era, nei primi decenni dell’Ottocento, su suggerimento anche del vescovo, la Confraternita del Sacramento prese la decisione di demolirla e di riedificarla nelle immediate vicinanze sull’area di una vecchia casa di proprietà della soppressa Opera Pia del Suffragio, tenuta in affitto da Paolo Bertini.
Il passaggio di proprietà della casa dall’Opera Pia del Suffragio alla Confraternita del Sacramento fu autorizzato da papa Pio VII il 2 luglio 1823. La confraternita però non aveva sufficienti risorse finanziarie per la ricostruzione della chiesa. Un buon numero di “devoti” aveva iniziato una sorta di sottoscrizione, non si arrivava però a coprire il totale delle spese che furono affrontate dalla Famiglia di Serafino Salvati che aveva la proprietà delle case a ovest del castello in prossimità della costruenda chiesa. Un capitolato di intenzioni e di obblighi, tra la famiglia Salvati e la confraternita, fu esaminato dall’assemblea di quest’ultima il 7 agosto 1825 e successivamente in una nuova assemblea del 11 dicembre 1825, subordinato all’avallo delle autorità superiori. [34] Ivi, CC. non numerate. Trascrizione dell’atto dell’Il dicembre 1825 in appendice.
Il progetto della ricostruzione era tuttavia seguito anche dalle autorità civili che vedevano nella demolizione della vecchia chiesa un’occasione “di ingrandire la piazza detta di San Carlo e di rendere migliore ornamento al paese”. La proposta però di concedere un contributo di 18 scudi per la ricostruzione viene respinta di misura, 7 voti favorevoli e 9 contrari, nella seduta del Consiglio della Comunità dell’8 settembre 1824. [35] ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 257. Lo stesso Consiglio comunque di lì a qualche mese, il 24 febbraio 1825, riuscì a trovare e ad approvare il contributo dei 18 scudi prelevati da una somma di scudi 37:50 derivante dalla vendita di uno “spalmento di terra” appartenente alla Comunità. [36] Ivi, pp. 260-261.
Intanto le competenti autorità pontificie, la Congregazione dei Vescovi e Regolari, approvarono nei primi mesi del 1826 il capitolato concordato con Serafino Salvati, i lavori così ben presto poterono iniziare e concludersi tenendo presente ogni articolo convenuto con la famiglia Salvati. La chiesa con la parete di fondo insistente a perpendicolo sulle mura castellane era pressoché grande come l’antica chiesa (6 canne quadrate) [37] Ivi, p. 261: “La comunità va ad acquistare un’area di canne sei Romane di terreno che occupa l’antica Chiesa e che la confraternita accennata cederà a vantaggio e comodo del Publico sentitoché serviranno per dilatare la Piazza S. Carlo”., ebbe il piccolo campanile con l’antica campana, l’altare con la tela di S. Carlo, non fu costruito allora né in seguito un secondo altare come era nei propositi dei Salvati. Era gestita come proprietà della confraternita del SS.mo Sacramento e Rosario, chiesa succursale della parrocchia di S. Silvestro, utilizzata in occasione di processioni dai confratelli della confraternita di Monte Roberto e da altre dei paesi vicini che partecipavano alle medesime processioni.
Nella chiesa venne posta non solo la citata pala d’altare con l’effige di “S.Carlo Borromeo sorretto dagli angeli” di Antonino Sarti del 1614, ma nelle ultime decadi del Settecento vi furono collocate, sulle pareti laterali, due altre tele appartenute alla vecchia chiesa di S. Silvestro: lo “Sposalizio della Vergine con S. Giuseppe” e “Madonna del Carmelo col Bambino e santi Biagio, Giacomo, Francesco, Caterina e Simone Stock”, quest’ultima dello stesso Antonino Sarti dipinta nel 1616.
Lo “Sposalizio della Vergine con S. Giuseppe” era segnalato nella visita pastorale del 1726 presente nell’altare di S. Giuseppe, giuspatronato alla famiglia Leoni di Staffolo, con ramificazioni a Monte Roberto; la famiglia Leoni cioè si faceva carico di dotare l’altare stesso, o meglio donargli denaro e beni immobili dai quali l’altare (e soprattutto chi lo gestiva) traeva rendite, mentre l’altra tela era nell’altare di S. Giacomo, giuspatronato della famiglia Magnoni, ambedue altari erano dell’antica chiesa parrocchiale di S. Silvestro, [38] URIELI COSTANTINO, Visite Pastorali. Regesto, d. s., cit., p. 131, p. 179 e p. 187. ricostruita tra il 1769 e il 1797; [39] CECCARELLI RICCARDO, Monte Roberto. La terra, gli uomini e i giorni, cit., pp. 160-170 tele-pale d’altare che nella nuova chiesa non furono più collocate.
I due quadri nella visita pastorale del 15 maggio 1898 fatta dal vescovo Mons. Aurelio Bonghi sono attribuiti ad Antonio Sarti dipinti nel 1616, mentre la chiesa di S. Carlo viene detta “giuspatronato della famiglia Leoni di Staffolo”. [40] URIELI COSTANTINO, Visite Pastorali. Regesto, d. s., cit., p. 300. In realtà solo la “Madonna del Carmelo col Bambino e santi Biagio, Giacomo, Francesco, Caterina e Simone Stock” è firmata da Antonino Sarti e datata 1616, “Antoninus de Sartis F[ecit] 1616”, commissionata probabilmente dagli eredi di Lucangelo Barchiesi che nel 1603 aveva commissionato al Sarti il “Martirio di S. Lorenzo” per l’omonimo altare nella chiesa di S. Silvestro. La tela nella visita pastorale del 1700 del vescovo Fedeli risulta essere nell’altare di S. Giacomo, giuspatronato della famiglia Barchiesi [41] MOZZONI LORETTA, a cura di, Antonino Sarti 1580-1647, Comune di Jesi 1997, pp. 70-72. che poco più di venticinque anni dopo, come abbiamo visto, era passato alla famiglia Magnoni.
La tela raffigurante “Lo sposalizio della Vergine con S. Giuseppe”, non è firmata e reca lo stemma della famiglia Leoni che aveva il giuspatronato dell’altare di S. Giuseppe, già ricordato, nella chiesa parrocchiale.
Ambedue le tele, con l’ultimo restauro, hanno conservato un cartiglio dipinto che indica il commissionario, l’artefice e la data di un primo intervento di restauro nella prima decade dell’Ottocento; ne “Lo sposalizio della Vergine”: “Tabula hanc temporum vetustate labefactam Anto[n]ius et Carolus Leoni Staphylani per Joa. [nnem] Ant. [onium] Bastucci concivem Staphyli reficere curav. [erunt]. Anno rep.[aratae] Salutis MDCCCVI”, (Antonio e Carlo Leoni staffolani, provvidero a far restaurare questa tavola danneggiata dalle ingiurie del tempo, da Giovanni Antonio Bastucci concittadino di Staffolo, nell’anno della salvezza 1806).
Nell’altra tela, poco sotto alla firma del Sarti: “Tabulam hanc, quae Sacro de jure Gentill. [im]ae Fam. [ili]ae Leoniae Staphilanae addita est. J.[oannes] Ant. [onius] Bastucci restauravit. Nic. [olao] Leonio. 1807” (Giovanni Antonio Bastucci restaurò questa tavola, affidata per sacro diritto alla gentilissima Famiglia Leoni di Staffolo nell’anno 1807, [a cura di] Nicola Leoni).
Ambedue le tele, dopo i lavori di ripristino del vicino Palazzo Comunale, [42] CECCARELLI RICCARDO, Monte Roberto. La terra, gli uomini e i giorni, cit., pp. 88-92 e Inaugurazione della restaurata sede municipale, Monte Roberto, 19 ottobre 2002, cartella con 4 tavole, presentazione del sindaco Olivio Togni e testo di Riccardo Ceccarelli. dal 2002 sono conservate nella Sala Consigliare. Con la legge 3 agosto 1862, i relativi regolamenti e modificazioni, venivano istituite le Congregazioni di Carità con l’espropriazione di alcuni beni alle confraternite religiose e ad altri enti, la Chiesa di S. Carlo venne tolta così alla Confraternita del SS. Sacramento — anche se in alcuni documenti è detta ancora della Confraternita della Morte [43] URIELI COSTANTINO, Visite Pastorali. Regesto, d. s., cit., p. 300. – insieme ad altri beni, confluendo nelle proprietà della Congregazione di Carità fino al 1937 quando fu istituito l’Ente Comunale di Assistenza (E.C.A.) e successivamente, dal 1978 dopo la soppressione di questo, la chiesa è diventata di proprietà comunale. La chiesa tuttavia, in accordo tra la parrocchia e la pubblica amministrazione, ha continuato e continua ad essere utilizzata per qualche circostanza religiosa come l’inizio della processione del Venerdì Santo e della domenica delle Palme o in caso di non agibilità della chiesa parrocchiale per la liturgia domenicale, come in occasione dei lavori di restauro e nuova pittura di tutto l’interno conclusisi nel 1996, e del terremoto del 1997, quando la chiesa rimase chiusa per qualche tempo.
Nel 1988-89 nella chiesa furono fatti lavori di consolidamento su progetto dell’ing. Guido Monaldi di Ancona ed eseguiti dalla Ditta Ragni Sandro di Pianello Vallesina.
Sul “campaniletto” della chiesa, ricostruito con essa, vi fu collocata, per volontà di Serafino Salvati, l’antica campana che però risulta non esserci più tra la seconda e la terza decade del Novecento. 11 30 dicembre 1926 infatti “la Giunta Municipale considerato: che fra gli oggetti di proprietà comunale si trovano alcuni mortai in bronzo fuori uso e inutilizzabili per qualsiasi servizio; che la locale Congregazione di Carità ne ha fatto richiesta quale contributo del Comune per dotare la Chiesa di S. Carlo, ad essa appartenente di un doppio di campane delle quali è completamente sprovvista”. E sono “n° 22 i vecchi mortai di bronzo esistenti nel magazzeno comunale ceduti gratuitamente”. [44] ASCMR, Delibere- della Giunta (1925-1926), 30 dicembre 1926, pp. 27-28.
I mortai erano stati inizialmente acquistati, verso la metà del Settecento, per fare spari in particolari occasioni di festa, come per la visita del vescovo o per la festa della Madonna di Loreto, [45] CECCARELLI RICCARDO, Monte Roberto. La terra, gli uomini e i giorni, cit., pp. 156-157. inutilizzati da decenni se ne decise la cessione per fare “un doppio di campane”.
La realizzazione delle campane, che furono effettivamente due, anche se una soltanto è sul piccolo campanile e il posto per un’altra non c’era, fu fatta qualche anno più tardi, nel 1931. Lo testimoniano le poche righe presenti sulla campana stessa:
DAL TITOLO
DI QUESTA CHIESA
FUI CHIAMATA
SAN CARLO
e
A CURA DEL PARROCO
DON VINCENZO CIARMATORI
E DEL POPOLO
A.D. MCMXXXI
Fonderia PASQUALINI
FERMO
Sulla campana vi è una piccola immagine di S. Carlo; serti di quercia, con figure di angeli, circondano la campana.
L’altra campana è sul campanile della chiesa parrocchiale di S. Silvestro; eloquenti a proposito sono le scritte che vi sono state fuse:
A CURA DEL PARROCO
DON VINCENZO CIARMATORI
E DEL POPOLO
A.D. MCMXXXI
Fonderia PASQUALINI
FERMO
e
NACQUI DAL BRONZO
CHE IL MUNICIPIO
DONÒ ALLA PARROCCHIA
E DAL NOME DEL SUO PROTETTORE
FUI CHIAMATA
SANT’ATANASIO
Sulla campana, come nella precedente, vi è la figura del santo di cui porta il nome, S. Atanasio; identici sono i serti di quercia con figura di angeli.
La Congregazione di Carità aveva ceduto al parroco don Vincenzo Ciarmatori i 22 vecchi mortai di bronzo: due infatti le campane realizzate dalla Fonderia Pasqualini di Fermo, quella per la chiesa di S. Carlo e l’altra per la chiesa parrocchiale, che comunque non nasconde la sua origine, “da bronzo che il Municipio donò alla parrocchia”.
La chiesa di S. Carlo per due secoli, il Seicento e il Settecento, fu sede e centro propulsore della Compagnia della Morte o Confraternita della Buona Morte, che aveva come scopo principale quello di essere vicino alle famiglie in occasione della morte di qualche congiunto, di fare suffragi, di offrire un segno di partecipazione al lutto. Il Libro della Compagnia della Morte ci offre qualche indizio di queste finalità oltre a dirci delle consuetudini e precisi rapporti che c’erano tra i membri della stessa confraternita.
Quando moriva qualcuno, la famiglia dalla confraternita riceveva una velettella in cambio di un’offerta, che rappresentava una delle poche entrate della confraternita stessa. La velettella era un pezzo di panno nero che veniva indossato dai famigliari per indicare lo stato di lutto. Fino a diversi decenni fa questo segno di lutto si portava per diverso tempo da parte dei congiunti del defunto, cucito sui vestiti. Una velettella nera, in segno di lutto, tuttora è presente sulla croce che precede la processione del Cristo Morto la sera del venerdì santo. La velettella poteva essere sostituita o chiamata anche fazzoletto o salvietta. [46] Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della Morte del Castel di Monte Roberto, cit., c. 4v
Ecco alcune annotazioni desunte dal Libro della Compagnia della Morte: “Il 13 febraro 1636 per la morte de Francesco Reforza una velettella baiocchi quindeci”. [47] Ibidem, “item per la morte del detto una falcola de cera rossa”. “Una torcia e una velettella” nel 1644. [48] Ivi, c. 14v. Per la morte di Maria di Vendolino fu data il 13 agosto 1673 “una torcietta con alcune candelette et un pezzo di panno” [49] Ivi, c. 40v. Ancora una velettella e una salvietta il 4 ottobre 1677. [50] Ivi, c. 53v.
Nelle feste di Pasqua la Compagnia in processione si recava all’eremita, cioè al convento e alla Chiesa di S. Giacomo di Massaccio, ora Cupramontana, portando cera. [51]Ivi, c. 7r
Era consuetudine poi per i membri della confraternita recarsi il giorno di Pentecoste (Pasqua Rosa) presso la chiesa della Madonna del Trivio di Castelbellino, ora Pianello Vallesina, per prendere parte alla festa e alla processione. Nel 1647 furono “dati per carità alla Madonna del Trivio di Castel Bellino baiocchi quattro e quattrini due il sedici [giugno] Giorno di Pasqua Rosa essendoci andata la processione” [52]Ivi, c. 16r (1647); c. 48v (1682);c. 60r (12 giugno 1685); c. 74r (1692). Il 7 giugno 1688 si ha questa annotazione: “E più si è cavato dalla scattola vintotto baiocchi per andare alla Madonna del Trivio dati un quattrino per elemosina alla Fratelli per ciascheduno e al ritorno data una pagnotta e bere”. [53] Ivi, c. 154r. “Ventieuno baiocchi” si spendono per la processione del 1689, [54] Ivi, c. 161r. 6 baiocchi e due quattrini per quella del 1691. [55]
In occasione della periodica nomina dei Priori della confraternita si era soliti distribuire grano ai poveri prendendolo dal magazzino del Monte Frumentario della stessa confraternita, previo l’autorizzazione definitiva del Vicario Generale del Vescovo che nel 1721 prescrive che “quelli che prenderanno detto grano siano ben instruiti nella Dottrina Cristiana e Misteri della fede e quando non siano instruiti debbono intervenire nella Dottrina siano qualsivoglia età e sesso, altrimenti non li si dia il detto grano”. {tooltip}[56] {end-texte} Ivi, c. 107v (27 aprile 1721).
APPENDICE
1. Risoluzione della Confraternita della Buona Morte per la ricostruzione
della chiesa di S. Carlo (1744)
In Dei Nomine. Amen Die 15 novembris 1744
Congregata etc. serv[ata] serv. [andis] in qua ect. Rev. D. Joseph Nicodemi
Vicarius Foraneus, ac infrascripti Petrus Piccioni, et Joannes Baptista Cucco
Priores exercentes, necnon infrascripti Confrates Antonius Tesei, Dominicus
Farotto, Dominicus Antonius Amatori, Franciscus Piccioni, Joannes Procicchiani,
Sebastianus Bimbo, Sebastianus Tesei, et Victorius Tesei, in qua per me alta, et
intelligibili voce lecta fuit sequens ect.
Per rifare la nostra Chiesa di S. Carlo diruta sino dalli 24 Aprile 1741 dal
terremoto si richiede la spesa di scudi 165.10 secondo la Perizia di Mastro
Francesco Lucarini, e Mastro Marco Boria Muratori da Castel Bellino. Però etc.
Tenore della Perizia
Al Nome di Dio. Amen. In Castel Bellino
Noi Francesco Lucarini, e Marco Boria da Castel Bellino suddetto di
professione Muratori, attestiamo, come per ordine de Priori della Venerabile
Compagnia della Morte di Monte Roberto Diocesi di Jesi nella Marca abbiamo
visitato la Chiesa di S. Carlo di detto castello di Monte Roberto, e l’abbiamo
riconosciuta, e ritrovata affatto diruta; onde secondo il nostro giudizio, e perizia
diciamo, che il tutto e per tutta la spesa in rifar la detta Chiesa di S. Carlo vi
possa andare come in appresso
Calce some ottanta, che con la conduttura, e altra porta la somma di scudi
ventiquattro ……24:00
Pietra cotta, o siano mattoni, coppi, e pianelle e trasporto scudi quarantotto, e baj.
Novantacinque, cioè
Mattoni 3000 scudi 12:00
Pianelle 2500 scudi 10:00
Coppi 3000 scudi 21:00
Trasporto, o sua careggio scudi 0:95
Legnami per il tetto scudi quattordici, e baj quindeci, cioè per
Torzotti n.° 3 a dieci paoli, e mezzo l’uno scudi 03:15
Sestacchine n° X a sette paoli, e mezzo l’uno scudi • 07:50
Mezzi murali n° 70 a paolo mezzo l’uno scudi 03:50
Per coppe 200 di cesso, compresaci la volta del Coretto scudi 10:00
Ferro per chiavi, caviglie per li cavalli, e chiodi scudi 03:00
Per opere di Muratori, e Facchini scudi 50.00
Che tutta la spesa potrà ascendere a scudi 165:10
Tanto attestiamo secondo la nostra Perizia, e tanto diciamo andarà la spesa
nella riedificazione, e dilazione che si pretende di fare della Chiesa -di S. Carlo
spettante come avemo detto alla Venerabile Compagnia della Morte di Monte
Roberto Diocesi di Jesi ed avemo detto, in segno di tal verità per non sapere
scrivere, non solamente avemo pregato il Sacerdote D. Sante Cavalieri a scriverci
la presente nostra perizia; ma ancora segnamo rispettivamente col segno di croce
fatta di nostra mano
Croce + di Mastro Francesco suddetto
Croce + di Mastro Marco suddetti
Io Santi Cavalieri di commissione mano propria.
Super qua Propositione Victorius Thesei unus ect. Surgens dixit: “In onore di
Dio, e di S Carlo stimo bene la riedificazione della Chiesa nel miglior modo
possibile, e perché la nostra Compagnia non à altro assegnamento per la spesa
necessaria che di esitare le quercie esistenti nei suoi Terreni, dirrei di dare
l’incumbenza alli Priori esercenti di considerarle, o farle considerare da altre
persone capaci, e giudicandosi la valuta di esse sufficiente per la spesa descritta
dalli suddetti Muratori, li predetti Priori doveranno supplicare Monsignore
Illustrissimo Vescovo per la licenza d’incominciare la fabrica con la vendita di
una porzione di dette quercie non eccedente il prezzo di scudi 50, et in altro tempo
risupplicare Sua Signoria Illustrissima per la permissione di proseguire la fabrica
con altra simile vendita non eccedente come sopra sintanto che etc. altrimenti
superando la speda e l’alienazione la somma di scudi 50, si richiede a mio parere
la licenza di Roma.
Posto a partito il detto di Vittorio fu approvato a pieni voti, come al margine etc.
Et post gratiarum actiones dimissa fuit etc.
Ita. est Ego Joseph de’ Nicodemis Vicarius Foraneus
Philippus Mazzini Cancellarius Foraneus
(Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della
Morte del Castel di Monte Roberto, c. 127 r/v).
2. Lettera del Vicario Generale sulle modalità della ricostruzione (1749)
Al Molto Reverendo signore mio osservantissimo
Il Signor Don Giuseppe Nicodemi Vicario Foraneo di Monte Ruberto
Molto Reverendo Signor mio osservantissimo
Attese le premure mi si fanno per la riedificazione della Chiesa di S. Carlo di
codesto luogo, sarà Vostra Signoria contenta d’intimare la Congregazione dei’
Fratelli della Compagnia della Morte, e nella medesima proporre la detta
riedificazione da eseguirsi a giornate, e non a cottimo, e qual ora per voti segreti
venga da Congregati abbracciato tal partito, dovrà essa inoltre far eleggere dalla
medesima Congregazione due o più deputati del ceto della medesima, che restino
caricati della soprintendenza della detta fabbrica, e di tutto ne avvanzerà poi a me
esatto riscontro, acciocché in seguito possa inviarle gli ulteriori nostri ordini ad
effetto che venga della Chiesa redificata com’è dovere, e con quei maggiori
vantaggi, che potranno procurarsi al Luogo pio, e le prego dal Signore ogni più
perfetta felicità.
Jesi 24 Marzo 1749
Affezionatissimo per servirla sempre di cuore
S. Lauzi Vicario Generale
(Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Libro della Compagnia della
Morte del Castel di Monte Roberto, c. 137v).
3. Risoluzione definitiva della Confraternita del SS. Sacramento e Rosario e
capitolato con la Famiglia Salvati per la ricostruzione della chiesa di S. Carlo
(1825)
Al Nome di Dio. Amen
Governo Ponteficio. Delegazione Apostolica di Ancona
Monteroberto 11 Decembre 1825
Convocata, ed adunata la presente Congregazione della Venerabile
Confraternita del SS.mo Sagramento, e Rosario di Monteroberto per ordine
dell’Eminentissimo Signor Card. Pacca Prefetto della Sacra Congregazione de’
Vescovi, e Regolari dei 23 Settembre passato diretto all’Eminentissimo Signor
Card. Cesarei Leoni Vescovo di Jesi, e quindi comunicato a questa medesima
Confraternita, presieduta dal Molto Reverendo Signor D. Paolo Breccia, Vicario
Foraneo, dai Priori odierni, Arcangelo Scarabotti, Pacifico David, Silvestro
Agostinelli e Giuseppe Carbonaro, non meno, che dagli infrascritti Fratelli, Signori
Priore Domenico, Cialone Antonio, Archetti Domenico, Barcaglioni Pasquale,
Cerineo Arcangelo, Lucarino Agostino, Brusco Giuseppe, Cesarone Antonio,
Ruggieri Lorenzo, Amatori Gioacchino, Moretti Giuseppe e da me Cancellier
Foraneo, in cui fu fatta la seguente
Proposta.
Sotto il di 7 Agosto passato si convocò, ed unì questa Congregazione per
risolvere ciò, che doveva farsi in merito alla ricostruzione della cadente Chiesa di
S. Carlo Succursale di questa Parrocchia. La stessa Congregazione trovandosi
sfornita de’ mezzi per eseguire l’impresa, co discese a maggioranza di voti
favorevoli, che questa venisse rifabbricata dalla Famiglia dei Signori Salvati, per
quale si era offerto il Signor Serafino di ricostruirla a proprie spese con diverse
condizioni espresse in essa Congregazione sotto quindici Articoli, che nella
medesima Congregazione si leggono riportati.
Sotto il giorno 28 di detto mese di agosto con Decreto del’Eminentissimo
signor Cardinale Cesarei Leoni Vescovo di Jesi fu approvata la riferita
congregazione in tutte le sue parti, con la riserva, che per i diritti richiesti agli
articoli 5, 6, 7 e 8 si dovesse ottenere il Beneplacito Apostolico come apparisce
dal Decreto medesimo.
Fatto perciò ricorso alla S. Congregazione de’ Vescovi, e Regolari, mediante
istanza del Sig. Serafino Salvati di questo luogo, detto S. Consesso con il suddetto
venerato dispaccio 23 Settembre perduto ha prescritto, che si sentano i Confratelli
canonicamente adunati, ed il Parroco per aversene le relative deduzioni soprattutto
ciò, che qui appresso si ripete.
La Santa Memoria di Papa Pio Settimo nell’udienza dei due luglio 1823,
concedeva a questa Venerabile Confraternita del SS.mo Sagramento, di
Monteroberto in perpetuo la proprietà della piccola casa esistente all’interno di
questo Comune in Contrada Piazzola, la quale una volta apparteneva alla soppressa
Opera Pia delle Anime Purganti di Monteroberto, alla presente tenuta a nolo a
Paolo Bertni ad oggetto di demolirla, e ricostruire nel sito della medesima la
Chiesa cadente di S. Carlo, che è succursale della Parrocchia di quesito Luogo,
ed un nell’interno del Paese.
Monsignor Tesoriere Generale con ordinanza diretta alla Generale
Amministrazione de’ Beni Ecclesiastici, e Comunitativi di Macerata dei 5 Luglio
823, n°4177 Computisteria Generale Divisione 5, mandò ad effetto tale Sovrana
beneficenza, prescrivendo a detta Amministrazione, che fosse tenuta all’atto
formale della Cessione suindicata, conforme esegui con verbale autentico del 4
aprile 1824; onde si disponeva per parte della Confraternita la rifabrica
dell’enunciata Chiesa Succursale di S. Carlo. La nominata Confraternita però,
come ognuno de’ Fratelli conosce, non ha mezzi, né può sperare risorse per
sostenere la spesa di un’opera, per la quale non può calcolarsi una spesa minore
della riflessiva somma di scudi 120. Molto meno può contare la Confraternita
suddetta sull’entrate certe dell’anno, le quali non superano gli scudi 18 circa, non
sono perciò bastanti neppure a sostenere le spese annuali, e molto meno può
lusingarsi sui prodotti eventuali, perché o non si verificano nel decorso di ciascun
anno, o sono di leggerissima entità, e di quasi impercettibile considerazione.
Vista pertanto l’enunciata Confraternita l’impossibilità di poter mandare ad
effetto una tale impresa, oggi si è offerto il Sig. Serafino Salvati di Monteroberto,
e sua famiglia, proponendo di rifabricare la detta Chiesa di S. Carlo a sue spese,
con i seguenti patti, capitoli, e condizioni.
1. La Famiglia Salvati rifabbricherà la detta Chiesa di S. Carlo, o nel sito della
Casetta ceduta dal Governo, o poco sopra, o poco sotto la medesima, giacché
l’accennato Sig. Serafino Salvati è proprietario delle case, ed orti tanto al di
sopra, quanto al di sotto della indicata Casetta.
2. Detta Chiesa sarà all’incirca simile nella grandezza alla Chiesa attuale, rifinita
internamente a stucco bianco, con un Altare isolato, collocandovi il quadro
attuale di S. Carlo, dipinto dal Sarti, giacché la nuova Chiesa dovrà mantenere
lo stesso titolo di S. Carlo.
All’esterno la Chiesa dovrà essere rabboccata a pietra scoperta con calce,
secondo l’arte. Dovrà nella nuova Chiesa esservi il Campaniletto nel modo,
come ci sta al presente, e dovrà ricollocarvisi l’attuale campana.
La ridetta nuova Chiesa dovrà rimanere in perpetuo al publico culto, come lo
è al presente, ed è stata in passato.
3. La Confraternita del SS.mo Sagramento suindicata di Monteroberto riterrà in
diritto perpetuo di proprietà di essa Chiesa di S. Carlo di modo, che ultimata
che sia a null’altro sarà tenuta la detta Famiglia Salvati.
4. La indicata Chiesa continuerà ad essere Succursale della Parrocchia, come lo
è stata fino al presente anche quella da demolire, tale essendo stata anche
dichiarata dalla S. Memoria di Papa Pio Settimo nel Rescritto sunnominato
due luglio 1823.
5. In corrispettiva, ed in benemerenza di tale spesa, il Sig. Serafino, e Famiglia
Salvati richiede il permesso, e vuole il diritto di costruire in detta nuova Chiesa
un Coretto in quella parte, che più le piacerà, e che possa entrarvi dalle Case
di pertinenza del riferito Sig. Serafino Salvati tanto fabbricate, e che potessero
fabbricarsi in appresso, giacché come si è detto, la nuova Chiesa rimarrà tra i
propri beni con facoltà e però di attaccare le stesse Case a detta Chiesa, senza
che la Confraternita possa giammai pretendere alcun diritto per causa di
appoggio, o compenso, di modo che la detta Famiglia debba sempre, ed in
ogni tempo, godere del mezzo muro da ambedue i lati, giacché la Chiesa
stessa trovarassi in contatto con le dette fabriche, e Beni Salvati. Al Sig. Serafino
Salvati, e sua Famiglia, sarà vietato, e giammai potrà fabricare sopra il tetto
della nuova Chiesa; avrà però il diritto di sorpassare la Chiesa stessa con uno,
o con ambi gli accennati muri laterali, ma in questo caso la Famiglia Salvati
dovrà subito incominciare ad avere il peso del mantenimento di uno, o dei
due muri, che avranno superato il tetto della Chiesa medesima.
6. Che i sotterranei di detta Chiesa debbano essere perpetuamente di privata
proprietà di detta Famiglia, da convertirsi in usi decenti, e convenevoli, con le
necessarie comunicazioni laterali al di sotto del pavimento della Chiesa, pei
quali sotterranei avrà l’obbligo del mantenimento della Fabrica in proporzione,
a tenore di stile, e di legge.
7. Che in detta Chiesa di S. Carlo possa la divisata Famiglia Salvati tenere una
credenza, anche infissa al muro, per conservarsi i supellettili di loro proprietà
per uso della S. Messa.
8. Che debba avere, e ritenere la detta Famiglia Salvati perpetuamente una chiave
della porta d’ingresso di detta Chiesa, simile a quella, che dovrà ritenersi
della Confraternita del SS.mo Sagramento, e Rosario, abile ad aprirla, e
chiuderla, onde possa andarvi ad orare, e celebrarvi, o farvi celebrare la S.
messa, a comodo proprio, ed anche del popolo.
9. Restano ceduti, come si è detto, i diritti di Padronanza, e la perpetua proprietà di
tal Chiesa alla nominata Compagnia del SS.mo Sagramento, ed in conseguenza
di valersi della medesima, anche nelle Processioni generali del Paese, onde farvi
vestire, e spogliare tutti i Fratelli non solo di essa Compagnia, ma di qualunque
altra, che potesse porsi in piedi in avvenire, e di quelle dei vicini Paesi nelle
circostanze, che venissero invitati per qualunque festa tra l’anno.
10. La stessa Chiesa di S. Carlo dovrà sempre, ed in perpetuo conservare i diritti
di Chiesa Succursale della Parrocchia, senza lesione dei diritti della Parrocchia
medesima.
11. La Confraternita del SS. Sagramento, e Rosario, in conseguenza dovrà cedere
in perpetuo alla Famiglia Salvati la Casetta enunciata col di lei Fondo, ed
annessi, e così tutte le macerie della Chiesa attuale di S. Carlo, i legnami in
essa esistenti, e tutt’altro alla medesima aderente.
12. Il fondo, su cui al presente è fabricata la detta Chiesa di S. Carlo sarà ceduto
dalla Compagnia in beneficio della Comunità, onde ingrandire con esso la
Piazzetta, su cui esiste, senza poterci mai più fabricare.
13. Saranno ceduti dalla indicata Compagnia alla Famiglia Salvati gli scudi 18
che sono stati promessi dalla stessa Comunità con approvazione del Buon
Governo, ad oggetto di rifabricare la detta Chiesa a norma dell’ordinanza
della Delegazione d’Ancona dell’8 Giugno 1825 n° 5150, dovendo tal somma
andare in diminuzione della spesa, di cui si carica la detta Famiglia Salvati.
14. Ad oggetto di riparare la vicina caduta di essa Chiesa, sia lecito alla Famiglia
Salvati di demolirla appena ottenuta la superiore approvazione, perché
cadendo andarebbero in rovina, non solo l’armato dei legnami, ma ancora
tutti i materiali del tetto. In questo caso la Famiglia Salvati si obliga di
rifabbricarla entro un anno, in modo di potersi officiare, e rifinirla del tutto,
entro due anni.
15. La detta Famiglia Salvati avrà il diritto di poter costruire in detta Chiesa un
altare laterale a sue spese, e sotto qualsivoglia titolo; e ciò possa farlo o
nell’atto, che si fabrica detta Chiesa, o in avvenire a suo piacimento; ed in tal
caso l’altare, sarà in perpetuo della stessa Famiglia, e così il peso del di lui
mantenimento.
Sopra le quali proposizioni, ed articoli levatosi in piedi il Sig. Gioacchino Amatori,
eletto consultore, così. disse:
«Dalla proposizione, e suoi articoli ognun conosce quali vantaggi produce l’opera
e per questa Compagnia, e per il popolo, e pel sussidio della Parrocchia. Non
sembrano gravose le condizioni, con le quali la Famiglia dei Sig.ri Salvati si va a
caricare di una spesa, che giammai può sostenere questa Confraternita, non ostante,
che esigga la necessità, ed il diritto di soccorso parrocchiale di averla
continuamente officiabile. Sono quindi di fermo parere, che questa Confraternita
approvi in tutta la estensione il progetto, e le condizioni sud descritte, come utili
per ogni, e qualsivoglia rapporto; e però si mandi il tutto complessivamente a
partito con il Capitolato, e tutt’altro, che può meritare particolare menzione su
quest’oggetto, e riportando la maggioranza de’ voti favorevoli s’intenda per parte
di questa Congregazione approvato, salva la sanzione dell’Eminentissimo Cesarei
Leoni Cardinal Vescovo di Jesi, e della Congregazione de’ Vescovi e Regolari,
dopo la quale l’atto presente sarà autenticato mediante pubblico Istromento da
stipularsi a tutte spese della nominata Famiglia Salvati».
Tutti gli altri Sig.ri Fratelli, e Priori congregati si sono uniformati al parere del
nominato consultore conservandosi nel loro silenzio.
Quindi raccolti i voti si è deciso a maggioranza de’ medesimi, che il Sig.
Serafino Salvati, e sua Famiglia rifabrichino la riferita Chiesa Succursale di S.
Carlo, mantenute sempre vicendevolmente le enunciate condizioni, dopo le
opportune sanzioni superiori, avendo l’oggetto riportato voti favorevoli diciassette,
contrari uno come in margine.
E rese le dovute grazie al Cielo, fu dimessa la Congregazione.
Seguono le firme
Paolo Pievano Breccia Vicario Foraneo mano propria
Filippo Salvati Cancelliere Foraneo mano propria
(Archivio Parrocchiale S. Silvestro Monte Roberto, Congregazioni della
Confraternita del SS. Sacramento e Rosario (1737-1826), cc. non numerate).
Riccardo Ceccarelli
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172 6.5C Chiesa di S. Maria del Buon Gesù
Era ubicata nelle immediate vicinanze dell’incrocio tra le attuali via Pace e viale Matteotti. La sua costruzione, conclusasi nel 1567, si deve all’iniziativa della Compagnia del Corpus Domini 151 Zenobi Ciro, op. cit., p. 17. mentre il sacerdote che l’officiava, che era anche maestro nella scuola, riceveva l’onorario dalla pubblica amministrazione come maestro e come cappellano, equiparato per quest’ultima mansione, nel 1606 a quello che prima gli passava la compagnia. 152 ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 37r, 5 agosto 1608. La nomina di cappellano era soggetta a riconferma annuale o al massimo per due/tre anni; il salario era previsto in bilancio, inoltre riceveva una soma di grano ed aveva la possibilità di “poter fare la cerca delle vendemmie e del mosto”. 153 Ivi, c.67r, v. Il Comune pagava il cappellano anche perché aveva partecipato almeno per la metà, alle spese della costruzione della chiesa così come partecipava in parte o si assumeva completamente a carico le spese per la sua manutenzione ordinaria e straordinaria. 154 Ivi, c.109r, 26 ottobre 1613; cc. 144v e 145r, 11 febbraio 1615, tetto caduto, da rifare. La Compagnia o Confraternita del Corpus Domini o del SS.mo Sacramento, unita amministrativamente alla Confraternita del Rosario, non riusciva a far fronte alle spese. 155 Possedeva solo la chiesa, cfr. Zenobi C., op. cit., p. 116, nota 46. per la chiesa, così che il Comune progressivamente se ne dovette assumere completamente l’onere, a volte però anch’esso non aveva i fondi necessari interventi tempestivi: nel 1674 l’ufficiatura nella chiesa fu sospesa per qualche tempo per ordine del vescovo in attesa di lavori ben eseguiti, infatti porte e finestre non erano state accomodate secondo le direttive date durante la visita pastorale dell’anno prima. 156 ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 119v, 4 marzo 1674. La chiesa era chiamata anche Chiesa nuova in relazione, per l’epoca della costruzione, a quella di S. Silvestro più vecchia e unica del paese, e anche Chiesa della Madonna della Pietà per un quadro su tavola che risaliva al Seicento raffigurante la SS.ma Vergine della Pietà posto nell’altare maggiore e restaurato nel 1758. 157 ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 69r, 9 aprile 1758, lo aveva ordinato il Vescovo Fonseca nella visita pastorale del 12 giugno 1755. Nel marzo 1687 cadde dal campanile l’unica campana: era talmente piccola che il suo suono “non si sentiva nemmeno da piedi del Castello”, nel rifarla si pensò di arrivare almeno a 50 libbre, 158 ASCMR, Consigli (1676-1698), e. 138 v. Ivi, c. 208v, 14:giugno 1693. quando poi in concreto si riuscì a farla nel 1695, si arrivò invece ad un peso di 60 libbre (poco meno di 20 kg.). 159 Ivi c. 230r, 19 giugno 1695. Il cappellano, verso la metà del Settecento, è obbligato a celebrare nella chiesa una messa ogni domenica per ciascun mese dell’anno e in tutte le feste della Madonna, sia di precetto che di devozione; negli altri giorni doveva celebrare nell’altare del Rosario della chiesa parrocchiale di S. Silvestro o dove gli sarebbe stato comodo, comunque se fosse stato inadempiente il Comune lo avrebbe privato della cappellania. 160 ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 104r, 4 marzo 1742. Il vano della chiesa era coperto da un tetto senza volta, un arco delimitava il presbiterio e l’altare ricoperti da un’abside; sui gradini dell’altare c’era una piccola urna di legno con il corpo di S. Bonaventura martire. 161 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, ds., p. 132. Nel 1755 la chiesa è in pessimo stato e il vescovo mons. Antonio Fonseca invita a trovare una soluzione per un radicale restauro. 162 Ivi, c. 197r. Sei anni più tardi si decise di rifabbricarla; i lavori vennero appaltati nel 1762, 163 ASCMR, Trasatti della Comunità di Monte Roberto (1758-1777) cc. 25-27, 25 aprile 1762; cfr. testo in Appendice n. 5, pp. 292-294. il progetto, pianta e disegno erano dell’architetto Ludovico Alessandri di Staffolo; 164 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 181 V. fu benedetta da don Girolamo Noni, già parroco di Monte Roberto, delegato del vescovo, vicario generale e rettore del seminario di Jesi, il giorno 8 settembre 1763. 165 Ivi, c. 197r. ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 22/v. Nel 1817 nella chiesa si tumulava provvisoriamente e si pensava di fare nelle sue vicinanze il cimitero, si soprassiede però al progetto non avendo parere favorevole del medico; 166 ASCMR, Consigli (1809-1827), pp. 93-94, 8 marzo 1817; p. 105, 29 maggio 1817. vent’anni dopo si ritorna sull’argomento e si approva il progetto che tuttavia non verrà realizzato. Durante il colera dell’estate 1855 l’area limitrofa alla chiesa fu trasformata in cimitero provvisorio sia per Monte Roberto che per Castelbellino: le salme furono esumate nel 1871 per mettere di nuovo il campo a coltura. 167 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1866-1876), p. 95, 25 maggio 1871. La chiesa di S. Maria della Pietà divenuta Chiesa Tumulante del Cimitero ancora in piedi nel 1866, risulta “diruta” nella visita pastorale del 1869. 168 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, cit., pp. 272 e 277.
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173 6.5D CHIESA DI S.MARIA DELLA NEVE
Di questa chiesa rimane solo il nome, via Madonna della Neve, dove sorgeva; la contrada era chiamata anche le Villate o Poggetto. La prima notizia è del 1697 quando la chiesa viene benedetta dal vescovo mons. Alessandro Fedeli e dedicata a S. Maria Neve e a S. Guglielmo abate in occasione della sua visita pastorale il 2 settembre a Monte Roberto. Ricostruita di nuovo (“noviter extructa”), e per questo benedetta, la chiesa doveva essere più antica, era oratorio privato della famiglia Guglielmi che il vescovo prima di questa occasione nelle sue visite pastorali non aveva mai visitato. 169 Ivi, pp. 72 e 77. Di piccole dimensioni, coperta dal tetto senza volta, eccetto la parte superiore separata da un arco con una piccola abside sull’altare; nel 1726 c’erano nella chiesa le statue della Madonna con il Bambino e di S. Albertino e, più piccole, di Gesù Bambino, di S. Pietro e di S. Paolo. 170 Ivi, p. 132. A metà del Settecento alla famiglia Guglielmi subentra la famiglia Palmucci, così è scritto nella relazione della visita pastorale del 1758. 171 Ivi, p. 220. Alla fine dell’Ottocento, il 15 maggio 1898, la chiesa è visitata da mons. Aurelio Zonghi, vescovo di Jesi, in visita pastorale a Monte Roberto, e viene trovata ridotta ad una rimessa e ad un magazzino e non più officiata. 172 Ivi, pp. 300.
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174 6.5E CHIESA DI MARIA ASSUNTA
È la chiesa del cimitero costruita nel 1867-68 su disegno dell’Arch. Ciriaco Santini (1797-1889) di Jesi, cui si deve anche il cimitero stesso: 173 Ibidetn.
Si tratta probabilmente della medesima chiesa chiamata della Concezione di Maria, ricordata nella visita pastorale del 22 febbraio 1875 ed ubicata in contrada Belvedere: 174 Urieli C., iop. cit:, p. 285. -
174 6.6A ABBAZIA DI S. APOLLINARE
Sorge sul luogo di quella che fino a non molto tempo fa era ritenuta l’area dell’antica città romana di Planina scomparsa nel V sec. e della quale l’abbazia potrebbe rappresentare un elemento di continuità, come nella vicina Cupramontana la chiesa plebale di S. Eleuterio che sorgeva entro il perimetro di Cupra Montana, la città romana nei pressi dell’attuale cimitero. 175 Cherubini A., Le antiche pievi della diocesi di Jesi, p. 78. Ceccarelli R., Le strade raccontano, cit., p. 169.
Viene ricordata per la prima volta 1180 quando l’abate di S. Apollinare, Uffredo, firma per primo tra non pochi testimoni, l’atto di aggregazione dell’abbazia di S. Elena sull’Esino a Camaldoli. Secondo testimone fu l’abate Martino del vicino monastero di S. Giovanni d’Antignano in stretto rapporto con l’abbazia di S. Apollinare nella quale forse si trasferirono dopo l’assalto subito dal monastero nel 1284 e alla quale poi passarono tutti i beni. 176 Cherubini A., Arte medioevale nella Vallesina, p. 168, nota 6. Urieli C., La Chiesa difesi, Jesi 1993, P. 194,
La sua origine può essere addirittura anteriore al Mille e collegata alla prima immigrazione di monaci nella valle dell’Esino. La dedicazione a S. Apollinare richiama senza dubbio il dominio esarcale di Ravenna “che si estendeva tra il VI e l’VIII secolo sulla Pentapoli e al qual Santo, patrono di Ravenna, erano dedicate in questo territorio almeno una quindicina di chiese. Peraltro, più che alla fondazione da parte della chiesa di Ravenna, o di monasteri ravennati, viene ipotizzato che il titolo possa richiamarsi alla sola dedicazione della chiesa suggerita forse dal fatto che la zona di S. Apollinare, posta al confine tra la zona bizantina e quella longobarda, segna il punto di incontro tra le correnti benedettine provenienti dal sud (Norcia) e la tradizione ravennate proveniente dal nord”. 177 Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. I, torno I, pp. 274-275.
Tra il Duecento e il Trecento l’abbazia conobbe il periodo di maggiore importanza, i suoi abati ebbero incarichi amministrativi per l’intera diocesi di Jesi e ne assistevano il vescovo negli stessi problemi, mentre le terre possedute arrivarono a circa 160 ettari. Con il Quattrocento, come per molti altri centri monastici, inizia il decadimento che si concluderà nel secolo successivo quando i beni dell’abbazia, ormai vuota di monaci, saranno attribuiti al Priore del Capitolo della Cattedrale di Jesi nel 1539 con bolla di Paolo III.
Qualche decennio più tardi la chiesa è descritta come “rurale e non molto curata”, il Priore della Cattedrale vi fa celebrare la messa solo saltuariamente. 178 Zenobi C., L’episcopato jesino di Mons. Gabriele del Monte, cit., p. 202, visita pastorale del 1573. Alla fine del Seicento va in rovina il tetto e l’intera struttura è totalmente in cattivo stato; 179 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite pastorali, p. 77 (1697). ristrutturato il tetto “si susseguirono deterioramenti ed alterazioni della originaria fisionomia del tempio, il quale venne intonacato e successivamente sfigurato con il rinnovamento del presbiterio, con incongrui altari laterali [fatti dopo il 1726], nuove e altrettanto incongrue finestre in luogo delle originarie, che vennero chiuse, basso soffitto di cannucciaia, nicchie scavate nelle sue pareti per statue di santi, dotazione di suppellettile intonata con l’aspetto ormai irriconoscibile acquistato dall’antica chiesa.
Nuove alterazioni questa subì nel 1928, quando un discutibile restauro (che ebbe per altro il merito di ricostruire il cadente tetto, sia pure ad un livello un poco superiore all’originario) distese una cornice di archetti pensili prima inesistente alla sommità delle pareti e della facciata, eliminò l’antico campanile a vela sopra il lato sinistro della facciata stessa per erigerne uno di sana pianta a fianco della chiesa (di cui turba la visione) e chiuse del tutto la pur non originaria e ampia finestra già aperta sopra il portale.
Un più positivo restauro ha avuto inizio nel 1968 con la stonacatura delle pareti, abbattimento del soffitto a cannucciaia, la rimozione della cantoria sovrastante il portale, ed è proseguito con ritmo più intenso nel 1973 con la eliminazione degli altari, nicchie, porte e finestre degli ultimi secoli, la riscoperta e riapertura delle originali monofore feritoie e porticine laterali, la ripulitura della parete absidale, in cui è stato scoperto e rimesso in luce un affresco del secolo XVI (su cui era stata successivamente stesa una modesta pittura a olio), restituendo così il tempio alla sua schietta semplicità originaria.
Nell’anno successivo la Soprintendenza ai Monumenti sottolineava il “rilevante interesse storico ed artistico” dell’edificio sacro che giudicava “di grande importanza per la storia degli insediamenti monastici lungo la valle dell’Esino, per la storia della Pentapoli adriatica e le sue relazioni con la chiesa ravennate, per la storia dell’arte locale” […].
Dal punto di vista architettonico S. Apollinare è una chiesa in laterizio di aspetto romanico-gotico a pianta rettangolare navata unica, abside piatta, facciata a due pioventi. […] L’interno si presenta come semplice aula rettangolare coperta a capriate, nella quale predominano le dimensioni della lunghezza e dell’altezza da cui un certo verticalismo dell’ambiente, non privo di una nota di misticismo per la nudità delle pareti e la scarsa luce filtrante dalle poche monofore e feritoie […].
Per la datazione della chiesa attuale non soccorrono documenti scritti. […] I caratteri stilistici e il raffronto con le altre abbazie della Vallesina sembrano riportarla al sec. XIII.Di gotico infatti c’è soltanto il portale e, se si vuole, un certo verticalismo dello- spazio interno e dell’abside piatta mentre le aperture sono tutte decisamente romaniche e le feritoie costituiscono un indubbio segno di vetustà. D’altra parte non sembra verosimile una ricostruzione della chiesa nel sec. XIV, quando la stagione migliore dell’abbazia era già tramontata. Anche i pochi resti del monastero inglobati nella casa colonica adiacente, hanno carattere romanico, con volte a botte e le aperture a feritoia”. 180 Cherubini A., Arte medievale nella Vallesina, cit., pp. 167-168. Cherubini A., Arte medievale nella Vallesina. Una nuova lettura, cit., pp. 191-195. Albino Savini Maria Rosa, L’abbazia cistercense di S. Maria in Castagnola, Chiaravalle 1984, pp. 93-94. Cherubini A., Restauri a S. Apollinare, in Voce della Vallesina, n. 33, 30 settembre 1973
Con i restauri e eseguiti nel 1973 si auspicava che anche la parete esterna dell’abside potesse essere liberata dalla costruzione su di essa insistente e addossata, 181 Cfr. Voce della Vallesina, n. 7, 9 luglio. 1972, p. 5. irrealizzata allora venne portata a termine con i restauri eseguiti nei locali adiacenti verso la fine del Novecento.
L’affresco sulla parete absidale, già descritto nella visita pastorale del 1726, 182 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, ds., p. 138. successivamente ricoperto da intonaco poi di nuovo messo in luce nel corso dei restauri della chiesa, rappresenta la Madonna in trono.
È stato restaurato nel 1973-74 dal prof. Arnolfo Crucianelli. 183 Urieli C., Un affresco del 500 in luce a S. Apollinare, in Voce della Vallesina, n. 24 del 16 giugno 1974. Datato 1508 è stato attribuito di recente ad Arcangelo di Andrea di Bartolo (1518). 184 Pastori Attilio, Gli Aquilini, Jesi 1898, pp. 36, 43-44. La chiesa è stata dichiarata parrocchia nel 1961 dal mons. Giovanni Battista Pardini vescovo di Jesi ed il territorio di sua giurisdizione ricavato da quello delle parrocchie di Monte Roberto, Pianello Vallesina e di S. Leonardo di Cupramontana, comunque già alla metà dell’Ottocento il card. Cosimo Corsi ne aveva ravvisato la necessità. 185 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, cit., p. 348.
Presso la chiesa fu costituita da don Vincenzo Ciarmatori, parroco di Monte Roberto, nella prima decade del Novecento una “Unione Agricola Cattolica”, formata dai tanti agricoltori della zona, che partecipò attivamente alle rivendicazioni e alle manifestazioni che i cattolici in quegli anni misero in atto in tutta la Vallesina. 185bis Urieli C., Cattolici a Jesi dal 1860 al 1930, Nicolini, Jesi 1976, pp. 306-331. Il recupero di tutti gli edifici adiacenti e annessi alla chiesa, quelli che sostanzialmente costituivano l’antico monastero successivamente adibito ad abitazioni coloniche, è stato realizzato tra il 1996 e il 2009. -
179 6.6B CHIESA DI S. BENEDETTO
È in territorio di Castelbellino, ma è di tutta la comunità di Pianello Vallesina amministrativamente divisa tra Monte Roberto e Castelbellino.
Fu inaugurata il 5 ottobre 1924, mentre la prima pietra era stata posta il 25 aprile 1921: il disegno ed il progetto si debbono all’architetto Alfonso Coppetti.
Promotore della costruzione fu don Romeo Michelangeli (1885-1962) che su consiglio di don Cesare Annibaldi la volle dedicata a S. Benedetto, come omaggio al papa di allora Benedetto XV e ricordo dei monaci che civilizzarono l’intera vallata dell’Esino. Fu eretta a parrocchia il 1 novembre 1955. 186 Michelangeli don Romeo, Cenni storici sulla chiesa di S. Benedetto Abate in Pianello Vallesina, Roma 1956.
Sostituiva la vecchia chiesa di S. Maria del Trivio, costruita attorno alla metà del Seicento, ubicata sull’attuale casa in piazza della Vittoria n. 1 e 2 e ricordata per la prima volta nella visita pastorale del 1673. 187 Urieli C., op. cit., p. 63. Ceccarelli R., L’antica chiesa della Madonna del Trivio, in Voce della Vallesina, n. 22/23 del 15 giugno 1986.
Una chiesa sempre molto povera, senza alcun pregio artistico, con un quadro della “Madonna della Misericordia” cui venivano attribuiti nel 1726 molti miracoli
(“miraculis clara”) attestati da altrettanti ex-voto. 188 Urieli C., op cit., p. 134. La tela, attribuita ad Antonino Sarti (1580-1647), è stata restaurata nel 2001 e, dalla sacrestia dove era collocata, è stata sistemata in chiesa il 5 maggio 2001. 188bis Ceccarelli R., Restaurata l’antica immagine della Madonna della Misericordia, in Voce della Vallesina, 4 giugno 2001.
Una curiosità: la cappella realizzata nell’attuale chiesa di S. Benedetto negli anni Settanta da don Ermanno Pentericci e dedicata alla Madonna di Lourdes, fu preceduta da un’immagine della stessa Vergine di Lourdes posta nella vecchia chiesa nel 1898. 189 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, ds., p. 299. . -
179 6.6C CHIESA DI S. SETTIMIO
È ridotta ad una capanna, fu sospesa dall’ufficiatura liturgica dagli ultimi anni dell’Ottocento,190 Ivi, p. 300, visita pastorale del 15 maggio 1898. mentre apparteneva a Serafino Salvati; in precedenza faceva parte dei beni della sede vescovile di Jesi.
La sua costruzione risale ai primi decenni dei Settecento, dedicata a S. Settimio primo vescovo di Jesi, proprio perché faceva parte della mensa vescovile, e fu contemporanea o di poco successiva alla costruzione dell’omonima piccola chiesa eretta nei pressi del fiume Esino (vicino all’attuale ponte S. Carlo, area dell’attuale chiesa di S. Antonio di Borgo Minonna), tra il 1719-1720, dove si ipotizza fosse avvenuto il martirio dello stesso S. Settimio.191 Annibaldi G., Monografia sul luogo preciso del martirio di S. Settimio, Jesi 1874, p. 74. Erroneamente e senza fondamento il Badiali (cfr. Badiali Ezio, Urbs Vetus Regia Aexium, Jesi 1958, pp. 21-32), confonde identificando le due piccole antiche chiese, lontane tra loro diversi km., andata distrutta la prima il 26 luglio 1779 (cfr. Annibaldi G, op. cit., p. 107), mentre quella, in territorio di Monte Roberto è ancora in piedi seppure ridotta a magazzino di casa colonica anch’essa ormai da anni disabitata.
La chiesa fu visitata per la prima volta il 21 settembre 1726 dal vescovo di Jesi, aveva un altare con pittura su tavola raffigurante la Madonna, S. Settimio e
Vincenzo.192 Urieli C., op. cit., p. 139. -
180 6.6D CHIESA DI S.ANTONIO DI PADOVA
Risale alla metà dell’Ottocento, ed é stata sempre di proprietà della famiglia Tesei, ubicata nei pressi della loro villa. La ricordano le visite pastorali del 1859, 1875, 1898.193 Ivi, pp. 26, 285, 300.
Rievoca l’antica chiesa di S. Antonio di Antignano che sorgeva nelle vicinanze, solo però nel nome e non nella persona, la prima era dedicata al santo abate
considerato il fondatore dell’ascetismo eremitico (sec. III-IV), questa al celebre santo francescano (1195-1231). -
180 6.6E Chiesa di S. Pio V
Viene ricordata nelle risposte ai questionari delle visite pastorali del 17 maggio 1869 e del 22 febbraio 1875 quale proprietà dei conti Scalamonti. Nella visita pastorale del 15 maggio 1898 viene detta dalla famiglia Honorati, di piccole dimensioni, ben fornita.194 Ivi, pp. 277, 285, 300.
Con tutta probabilità inizialmente apparteneva alla famiglia Ghislieri proprietaria anche dei teriéni limitrofi e passati poi ad altri. S. Pio V (1504-1572), papa per soli sei anni, canonizzato il 22 maggio 1712, era un Ghislieri, lontano ascendente di un ramo famigliare della nobile casata jesina. Il 5 maggio, giorno della festa del santo, fino a qualche decennio fa, padroni e coloni erano soliti riunirsi accanto alla chiesa dove venivano fatte celebrare alcune messe e si procedeva poi alla benedizione dei campi. Nel 1866 è indicata come chiesa rurale S. Giovanni, proprietaria la famiglia Scalamonti.195 Ivi, pp. 272. -
181 6.6F CHIESA DI S. SERAFINO
Attigua a Villa Salvati, costruita dopo la villa stessa (la concessione dal vescovo fu ottenuta nel 1819), realizzata da Serafino Salvati (1755-1835) agli inizi dell’Ottocento.
La dedicazione al santo cappuccino dallo stesso nome, Serafino da Monteprandone (1540-1604), intendeva ricordare appunto l’artefice primo della fortuna della famiglia Salvati ed un santo cui la famiglia era particolarmente devota e che ricordava la zona di provenienza (Rosara, nei pressi di Ascoli Piceno).
Nella visita pastorale del 21 maggio 1866, viene indicata come chiesa dello Sposalizio della Vergine196 Ivi, pp. 252, 272. dalla pala dell’altare, copia dall’originale di Carlo Maratti (1625-1713), restaurata nel 2010.
Nella chiesa nel 1835 fu sepolto, per volontà testamentaria, Serafino Salvati: il monumento funebre con effigie dei defunto e statua in marmo allegorica dell’architettura, è di Fedele Bianchini (1891-1867). -
181 6.7 IL CIMITERO
La sepoltura dei defunti ed il loro ricordo, a motivo della fede nella vita dopo la morte e nella risurrezione, furono sempre tenuti dai cristiani in speciale: onore. Così dai primi tempi del cristianesimo dopo che nelle chiese ‘venivano inumati vescovi, sacerdoti ed anche laici di particolare virtù., invalse la consuetudine di’ seppellire indistintamente nel sottosuolo delle stesse chiese tutti i fedeli. 197 Decretum Gratiani, par. II, causa XIII, quaestio II, capitulum XVIII (ed. Romae, In aedibus Populi Romani 1582, coll. 1383-1384). L’usanza durò fino al Sette-Ottocento; e non soltanto il sottosuolo delle chiese ma anche le immediate loro vicinanze accoglievano le salme. A Monte Roberto nel Seicento si seppelliva nella chiesa parrocchiale di S. Silvestro e “sotto la muraglia della chiesa”, dove un’apertura permetteva di entrare in vani sotterranei e non era raro il caso che detta apertura rimanesse senza protezione e facilitasse l’entrata di animali di qualsiasi genere, compresi i maiali che giravano liberi per il paese. Nel 1681 si cerca di ovviare proteggendo l’apertura con paletti di legno 198 ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 72r, 14 dicembre 1681. che reggono ben poco se il vescovo mons. Alessandro Fedeli nel 1697 in visita pastorale trova il cimitero di nuovo aperto e senza riparo. 199 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, ds., p. 77. Il vescovo vista l’indecenza della situazione ordina di riparare il cimitero e di farlo dove ‘è tradizione che sempre sia stato. 200 ASCMR, Consigli (1698-1711), c. 27r, 8 agosto 1700.Il nuovo pievano don Pier Francesco Sebastianelli, titolare della parrocchia dal 1701, pur tra qualche difficoltà iniziale 201 Ivi, c. 65v, 20 luglio 1704, cimitero ancora da terminare. riesce a portare avanti il progetto e a completarlo con l’aiuto determinante del Comune, attorno al 1710. 202 Ivi, cc.114 e 115v e seguenti non numerate, 31 agosto 1710. Nel 1744, al vescovo mons. Antonio Fonseca il cimitero appare “costruito con scrupolo e devozione” (“religiose constructum”). 203 Urieli C., op. cit., p. 206. Nella seconda metà del secolo severi provvedimenti legislativi cominciano a colpire questa consuetudine per gli ovvi motivi di ordine igienico: non poche sono le resistenze ed il tutto non si concretizza facilmente. La prima disposizione per costruire “cimiteri fuori dell’abitato” risale per le Marche e quindi per le nostre zone, al decreto del 1° marzo 1810 che recepiva il decreto reale del 5 settembre 1806 che a sua volta aveva esteso al Regno Cisalpino quanto Napoleone aveva deciso a Saint Cloud il 12 giugno 1804. Ancor prima del decreto del 1810, comunque, il Consiglio Comunale aveva previsto la spesa relativa per un progetto di un nuovo cimitero. 204 ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 2, 8 novembre 1809. L’ordine del Prefetto qualche tempo dopo, in merito al cimitero, diventa tassativo e, secondo, le disposizioni superiori, si progetta un cimitero comune per Monte Roberto e Castelbellino in una zona equidistante tra i due paesi, in contrada Villa, ma il Consiglio Comunale nella seduta del 18 novembre 1811 la respingeva, sette voti contrari e cinque favorevoli, senza proporre un luogo alternativo 205 Ivi, p. 26. Norme alternative severe vengono emanate al ritorno del governo pontificio 206 cfr. circolare n. 9809 del 7 giugno 1817 della Delegazione di Ancona in ASCC, Editti Bandi Avvisi Circolari (1814-1817). ma al di là di progetti 207 ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 105, 29 maggio 1817. e di lavori appena iniziati 208 ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 131v. o di luoghi trovati inidonei, 209 ASCMR, Consigli (1809-1827), pp. 121-122, 8 settembre 1817. si continua a tumulare nella chiesa parrocchiale, dove si sono ripulite le fosse per il gran fetore; si tumula nella Chiesa Nuova fuori paese 210 Ivi, pp. 92-94, 8 marzo 1817. e in un piccolo “cimitero” di proprietà comunale ubicato nel “borgo” di fronte all’imbocco dell’attuale via XXIV Maggio. Respinto il progetto per ben due volte, 1’11 giugno e il 13 agosto 1820, di fare il cimitero in contrada Olivella, non lontano dalla Fonte del Crocifisso e dell’omonima edicola 211 Ivi, p. 177., si ripiega su un luogo più in alto lungo la strada che conduce a Maiolati; la nuova ubicazione ha l’approvazione il 19 settembre: il cimitero sarà finanziato con il denaro che lo Stato deve restituire al comune per le somministrazioni date agli Austriaci durante il blocco di Ancona nel 1815. 212 Ivi p. 189. Per vedere realizzato comunque il cimitero in questo luogo bisogna attendere però quasi cinquant’anni, i soldi promessi infatti non dovrebbero essere arrivati ed il cimitero non venne fatto, anzi nel 1838 si approva il progetto di un cimitero nei pressi della Chiesa Nuova o di S. Maria della Pietà 213 ASCMR, Consigli (1829-1839), 29 luglio 1838. dove effettivamente già si tumula e più si tumulerà nel 1855, quale cimitero provvisorio, in occasione dell’epidemia di colera. L’attuale cimitero quello definitivo dopo decenni di discussioni e progetti, fu deliberato il 27 giugno 1865 e la progettazione affidata all’architetto jesino Ciriaco Santini che la presentò nel novembre dell’anno dopo. Il luogo previsto era quello individuato nel 1820; la spesa prevista dal Santini ammontava a 9.684,02 impossibile però da sostenersi da parte del Comune che la volle ridotta a £. 5.000 circa, “compresa l’occupazione del suolo e compreso il materiale disponibile dal vecchio cimitero” 214 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1866-1876), pp. 25-26, 7 novembre 1866. L’architetto Santini ridusse il progetto e necessariamente la spesa e subito iniziarono i lavori di costruzione; nel maggio del 1867 erano già completate le mura di cinta, mancavano solo alcune rifiniture e la piccola chiesa che si vuole però costruita sul primitivo di disegno del Santini ritenuto “più decoroso”, la cappella fu comunque completata nel 1868. 215 Ivi,pp.80-82, 28 maggio 1867. Il nuovo cimitero pubblico viene visitato dal vescovo di Jesi card. Carlo Morichini il 17 maggio 1869 che impartisce “le solite disposizioni di sparare le sepolture degli uomini dalle donne e dai bambini”. 216 Urieli C., op. cit., p. 277. Se nel 1871 furono esumate le salme dal cimitero provvisorio accanto la Chiesa Nuova e nella chiesa stessa ormai in rovina, 217 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1866-1876), p. 495, 25 maggio 1871. le salme sotto il pavimento della chiesa di S. Silvestro furono tolte agli inizi degli anni Cinquanta del Novecento rifacendo poi il pavimento stesso. Una curiosità: ai lati della porta d’ingresso del cimitero e ai lati della porta della chiesa vi sono in rilievo (in ferro sull’ingresso e in cemento sulla chiesa) piccoli obelischi che rassomigliano all’obelisco (“gugliola” come la chiamano) in mattoni, ora accanto al cimitero di Pianello Vallesina, che concludeva un tempo il viale alberato che diramava dal lato sinistro di Villa Salvati. Sono con tutta probabilità i “segni” del sindaco Agabito Salvati, e della sua famiglia, sotto il cui mandato fu realizzato il cimitero. Lesionato dal terremoto del 1997, i lavori di consolidamento sismico e di ampliamento furono portati a termine nei primi mesi del 2004.
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183 6.8 LE EDICOLE
La pietà popolare e la devozione della gente si sono espresse lungo i secoli anche nella costruzione di edicole religiose o “figurette”. Un fenomeno diffuso derivato dal paganesimo, un patrimonio della cultura e della tradizione popolare spesso trascurato, certamente da non perdere.218Ceccarelli R., Le figurette della pietà popolare, in il Massaccio n. 5, dicembre 1990, p. 15. Sorgono ai lati delle strade, in luoghi che dovevano ricordare devozioni, episodi o fatti “miracolosi” o circostanze particolari, oppure come piccole nicchie con relative immagini erano sulle pareti delle case.
Monte Roberto e il suo territorio non hanno fatto eccezione nel contesto di una situazione singolarmente ricca della intera Vallesina, ora non sono molte le edicole che rimangono in piedi, di altre invece ci rimane il ricordo in toponirni ancora in uso.
Contrada la Figura ricorda una edicola dedicata a S. Giuseppe nella seconda metà del Seicento;219ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 49r. l’attuale via S. Maria, le antiche denominazioni S. Anna o Lenze, Pian S. Luca (vicino all’attuale via S. Pietro), S. Brigida (via Sabbioni) sono l’indizio o la prova di edicole dedicate ai rispettivi santi per speciale devozione e andate definitivamente perdute. Si trattava infatti di piccole costruzioni, non molto robuste che, se non curate nella manutenzione statica e abbandonate, dopo pochi anni potevano facilmente crollare.
Altre, e di dimensioni discrete si possono ancora ammirare.Sorge all’angolo tra via Fonte del Crocifisso e via Pace. Risale alla metà del Settecento quando viene ricordata per la prima volta;220ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 27r. nel 1781 fu rifatta dalle fondamenta dall’erede di don Taddeo Guglielmi che ce ne ha lasciato memoria in una piccola iscrizione non più grande di un mattone.221Questa l’iscrizione: 1781 R.[everendi] D.[omini] THAD.[dei] GUGLIELMI HAERES A FU.[ndame] NTIS RESTIT [uit] EX DE,VOTIONE.
Un sostanziale intervento restaurativo fu portato a termine nel 1932, l’ultimo fu eseguito nel 1983 con la risistemazione muraria, in quell’occasione furono fatte feste solenni e venne anche restaurato il Crocifisso ligneo dell’edicola ad opera di Danilo Del Priori di Maiolati, lo stesso Crocifisso fu rubato poi nella notte tra il 13 e i114 novembre 1988.222cfr. Voce della Vallesina n. 44-45 dell’Il dicembre 1988.
EDICOLA DELLA MADONNA DI LOURDES (IN VIALE MATTEOTTI)
Ubicata in viale Matteotti; è stata restaurata a cura del Dott. Pietro Mancini nell’aprile del 1966. È un tempietto dedicato alla Madonna di Lourdes; agli inizi del secolo l’edicola era stata fatta erigere da Anna Radini moglie di Francesco Amatori e parente di mons. Giacomo Maria Radini Tedeschi vescovo di Bergamo, il cui segretario don Angelo Giuseppe Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, soggiornò a Monte Roberto nel 1906. In quell’occasione don Angelo G Roncalli benedisse l’edicola; la circostanza fu ricordata il 6 aprile 1966 con una lapide, un medaglione in bronzo con l’immagine di Giovanni XXIII ed una preghiera incisa sul marmo e dettata nella benedizione del 1906.223cfr. Soggiornò a Monte Roberto Don Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni, in Voce della Vallesina, n. 30 del 24 luglio 1966, P. 4.
Sul retro vi è un dipinto su muro, “Cristo crocifisso con santi, Antonio da Padova e Caterina da Siena”, di Oscar Di Prata (1910-2006) realizzato nella seconda metà degli anni Sessanta.EDICOLA DELLA MADONNA DI LOURDES
Sorge all’angolo tra via Villa e la strada provinciale dei Castelli.Anch’essa a forma di piccolo tempio; fu fatta erigere dai coniugi Pietro e Silvia Tesei nel 1908; piccola statua in gesso.
Altre sono di dimensioni più ridotte: Edicola della Madonna delle Grazie, all’angolo tra l’inizio di via Leopardi e la strada provinciale dei Castelli; costruita agli inizi del secolo è stata sempre in legno con l’immagine della Madonna delle Grazie di Jesi, ricostruita con disegno diverso e in muratura, con l’immagine in ceramica, fu inaugurata il 31 maggio 1992;224cfr. La Gazzetta di Ancona, 28 maggio 1992. la sua origine fu probabilmente un ex-voto per grazia ricevuta.All’angolo tra via Garibaldi e via Cavour a Pianello.Fu costruita dalle famiglie Barocci Sisto e Santoni Enrico ed inaugurata il 2 settembre 1958 in ricordo della missione catechistica tenuta da missionari francescani; immagine del Crocifisso in bronzo.
EDICOLA DELLA MADONNA IMMACOLATAAi lati della strada provinciale dei Castelli, di fronte all’imbocco di via S. Apollinare;
fu costruita nel 1951 in ricordo delle missioni tenute dai padri minori francescani dall’8 al 18 novembre 1951; quadro con l’immagine della Madonna Addolorata. Molte le piccole nicchie in case di campagna, alcune sono vuote, le statue o leimmagini sono state trafugate o scomparse dopo che non pochi hanno lasciato la campagna, altre volte invece per la poca sensibilità delle generazioni succedutesi a quante le vollero. Altre nicchie pur avendo le statue denotano uno stato di abbandono e di degrado: in via S. Giorgio e in via Calapina (due nicchie uguali e vicine in un unica parete di pietra, una vuota e l’altra con la Madonna Immacolata.
In via Figura in due case restaurate, nicchie con piccole statue di S. Antonio di Padova e della Madonna di Lourdes.
A Pianello, angolo tra via Fratelli Cervi e via Don Minzoni, nuova recente nicchia con S. Cuore di Gesù su recinzione in muratura.
Non mancano esempi di piccole edicole votive in legno issate sugli alberi, come quella, scomparsa da anni, con la statua della Madonna di Loreto su una quercia ai lati di via Calapina o l’altra su un ulivo di fronte all’imbocco di via Mattonato dalla strada provinciale dei Castelli in territorio di Castelbellino, su supporto autonomo e in ferro dal maggio 1992.
A Monte Roberto nel 2000 in via XXIV Maggio fu costruita da Antonio David un’edicola dedicata alla Madonna ed inaugurata il 6 settembre 2001.