In territorio di Castelbellino, a Pianello, in contrada Molino, a poco più di un Km a nord-ovest di Planina, non lontano dalla sponda destra del fiume Esino, nei primi decenni di questa secolo, è stata scoperta una necropoli picena.
Inizialmente i rinvenimenti furono fortuiti con la conseguente dispersione dei materiali, poi in campagne di scavi del 1912, 1913 e 1918-1919 furono scoperte numerose tombe databili tra il 700 e il 500 a.C. ed i reperti attentamente studiati.
“Tra i materiali recuperati, accanto a quelli di produzione locale, si distinguono numerosi e pregevoli oggetti esotici provenienti da paesi del Mediterraneo orientale, dalla Grecia e dall’Etruria”. 25AA.VV., La ceramica attica figurata nelle Marche, Ancona 1991, p. 110. In particolare ci sono avori “di stile spesso ancora orientalizzante, tutti o quasi di importazione”, probabilmente dalI’Etruria, “d’ispirazione fenicia e nordsiriana, sia essa o no mediata dalle botteghe degli incisori etruschi”. 26Bisi Anna Maria, Componenti siro-fenicie negli avori piceni, in La Civiltà Picena – Studi in onore di Giovanni Annibaldi, Maroni, Ripatransone (AP) 1992, pp. 128-139. “La continuità e la varietà di tali importazioni attestano l’importanza della via di penetrazione offerta dalla valle del fiume Esino”.
Alcune tombe di fine VI sec. e del V sec. a.C. hanno restituito “numerosi esemplari in ceramica attica figurata e bronzi di produzione etrusca, greca e/o megalogreca. Dopo Numana, Pianello di Castelbellino è l’unico centro piceno che ha restituito il maggior numero di vasi attici a figure rosse, alcuni dei quali di grandi dimensioni […]. Da Pianello proviene inoltre un cratere a figure nere […]. che deve essere considerato come una delle più antiche importazioni attiche nel Piceno”. 27AA.VV., La ceramica attica… , cit., pp. 20-25 e 110-115. La Civiltà Picena… , cit., p. 288.
Questi rinvenimenti nella valle dell’Esino, compresi quelli avvenuti a S. Maria di Monsano, a Moscano, a Attiggio di Fabriano e a Matelica, insieme a quelli analoghi fatti nelle altre vallate appenniniche delle Marche (Chienti, Potenza, Musone, Misa, Cesano, Metauro, Foglia, Conca), testimoniano una fiorente penetrazione commerciale che, risalendo le stesse vallate e superando i passi appenninici, arrivava alle valli degli affluenti del Tevere.
Tra l’Etruria e la costa adriatica vie naturali di questo commercio erano costituite dall’Esino e dal Sentino, mentre Numana e Ancona sostenevano “non solo il ruolo di centro mercantile aperto verso le aree periferiche del territorio piceno, ma anche di “terminale di usate vie di comunicazione con il versante tirrenico” e quindi di base dei traffici tra Greci ed Etruschi”. 28Luni Mario, Ceramica attica nelle Marche settentrionali e direttrici commerciali, in La Civiltà Picena…, cit., pp.331-363. Edvige Percossi Serenelli, Le vie di penetrazione commerciale nel Piceno in età proto-storica. Nota Preliminare, in Picus, I, 1981, pp. 135-144.
Giovanna Maria Fabrini, La ceramica attica figurata nelle Marche. Annotazioni in margine alla mostra anconetana, in Picus, II, 1982, pp.103-117.
Tutti i reperti rinvenuti in questa contrada, o per lo meno quelli rimasti dopo i danneggiamenti subiti durante il secondo conflitto mondiale, sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Ancona.
Un luogo di forte interesse archeologico, poco più in alto della necropoli di contrada Molino, è individuabile in via Mattonato, l’attuale scorciatoia per Castelbellino, un tempo l’unica strada per raggiungere il paese. Anche se in tempi recenti sono venuti alla luce frammenti ceramici di decorazioni in rilievo o frammenti notevoli di pavimenti in mosaico, ben più consistenti sono stati i ritrovamenti nella seconda metà del Settecento.
Testimoni ed artefici di alcuni scavi furono sia il Menicucci che il Lancellotti che sul terreno di proprietà della famiglia Berarducci, zii materni dello stesso Lancellotti, ebbero modo di riportare alla luce importanti testimonianze. Al Menicucci, che ne fece precisa relazione, i ruderi emersi sembrarono “vestigj di un’antichissimo Tempio”, individuati “anche vestigj di quattro stanze […] e tutte […] hanno il pavimento di belli mosaici. Vi sono anche trovati dei basamenti di colonne intonacati di rosso”. Il tempio, con l’entrata a rivolta a nord, secondo lo stesso Menicucci, doveva essere dedicato alla dea Iside, ne poteva far fede “un bellissimo lavoro di bronzo a tutto rilievo” che secondo il Lancellotti che lo aveva trovato, rappresentava appunto un sacrifico alla dea. Questo reperto non visto dal Menicucci, era stato donato qualche anno prima dai Berarducci ad un antiquario francese, il Menicucci tuttavia lasciò una dettagliata pianta e descrizione degli scavi e dei ruderi in via Mattonato.
29Colucci G, Antichità Picene, vol. XV, Fermo 1792, p. 227. La relazione del Menicucci è stata studiata da Bresciano Tesei, Testimonianze e vestigia di un antichissimo tempio in contrada Mattonato-di Castelbellino, 1987, pp. 7, ds. La stessa relazione con il disegno del sito, è stata integralmente pubblicata in “Quaderni Storici Esini”, II-2011, p. 120. L’erudito sacerdote di Massaccio, Menicucci, cultore di storia locale e di archeologia di cui scriveva o ragionava frequentando assiduamente archivi e verificando, quando possibile, di persona luoghi e reperti, annotava con cura anche notizie di fatti quotidiani e ritrovamenti di cose antiche. Per quanto riguarda Monte Roberto, scrive nel febbraio del 1774: “Si à veridica relazione, aver un contadino ne’ mesi passati trovato una cassetta d’argento con entro un vitello d’oro massiccio nella sua possessione vicino a Monte Roberto il vitello è di grossezza come un coniglio e pesa circa libre novanta. Ne à dato relazione alla Camera, e l’à soddisfatta circa quello che dovea, un cornetto del medesimo l’à venduto, insieme con la cassetta, l’altro ancora ritiene in casa”. 30Menicucci Francesco, Sylva Hystorica Massacciensis (1773-1805), Cupramontana, Archivio Parrocchiale S. Leonardo, Fondo Menicucci, p. 4. La riproduzione e la trascrizione del manoscritto, a cura di Riccardo Ceccarelli, sono state pubblicate da Arnaldo Forni Editore di Bologna per la collana “La Pieve” (N. 9) di Cupramontana nel 1999. Il testo trascritto è a p. 15.
Il Menicucci questa volta non aggiunge altro: non vide direttamente il reperto, né riuscì ad indicare una data o un periodo presumibili del reperto stesso, si fidò di quanto gli veniva riferito (“si à veridica relazione”), scrive comunque che furono informate del ritrovamento le competenti autorità amministrative e fiscali (la Camera Apostolica) pagando quanto prescritto. Storia vera o fantasia raccolta dallo storico di Massaccio? Alcuni elementi, la data del ritrovamento, la notizia datane alle autorità, la tassa pagata, la parte venduta, la fanno indicare come un racconto di un fatto corrispondente al vero; altri invece come il vitello d’oro che avrebbe dovuto pesare almeno 32 Kg (salvo errori del Menicucci nell’indicare le 90 libbre) configurano il racconto a quello di un “tesoro” attinente alla fantasia popolare, non nuova, allora e come sempre, a “tesori ritrovati”.
Autentico o falso che sia, il fatto, o meglio, questa notizia lasciataci dal Menicucci, ci fa intravedere come il territorio di Monte Roberto abbia restituito di volta in volta ‘oggetti o tracce di una antica ed operosa presenza umana.